mercoledì 7 ottobre 2015

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 4 marzo 1998 - Decima parte

Segue dalla nona parte.

« DOPO LA SOSPENSIONE » 

Presidente: Prego, avvocato Mazzeo.
Avvocato Mazzeo: Ecco, questa difesa si avvia a concludere la disamina, sotto il profilo della intrinseca falsità del racconto del Lotti, esaminando altri pochi argomenti che non sono di contorno e quindi in ordine ai quali - come insegna la Corte Suprema - non è ammissibile l'errore, non è ammissibile la contraddizione, non è ammissibile la falsità. Uno di questi argomenti riguarda i feticci, i cosiddetti feticci. Voi ricordate, nella sua orazione finale, il Pubblico Ministero ha, sotto il profilo del movente, pur sottolineando che il movente - i Giudici togati conoscono la Giurisprudenza sul punto, che peraltro non è univoca - non è elemento indispensabile, pregiudiziale, in ordine al giudizio; vero è anche che c'è Giurisprudenza pacifica che ricorda come il movente può diventare un elemento fondamentale, specie quando ci si trova di fronte a vicende di natura indiziaria. E stante, nella fattispecie, la presunzione relativa di non credibilità del chiamante in correità - presunzione relativa di non credibilità stabilita dalla legge - il movente, ad avviso di questo difensore, è decisivo. E sui feticci. Abbiamo modo di apprezzare, quindi argomento decisivo: movente sadico sessuale. Due. Abbiamo, nella prospettazione dell'accusa, abbiamo la presenza di due moventi contestuali. Vi è stato detto: questi sono... Il "mostro di Firenze" non esiste è stato detto. Il "mostro di Firenze" non esiste, bisogna farla finita. Manco si stesse parlando di... Il "mostro di Firenze" è un essere umano. Ma nell'uso delle parole da parte del Pubblico Ministero sembra quasi che il "mostro di Firenze" sia una specie super-io, di super-uomo, eccetera. "La mano unica non c'è." "Sono dei campagnoli, delle persone normali ma anche perverse." E qui veramente ci addentriamo su un terreno estremamente minato. Io mi limito a ricordare queste parole e a sottolineare, senza nessuna ironia, come sia difficile, veramente, fondare una opinione certa, come è richiesto in un processo, e non un'illazione, su questa storia della mano unica o delle più mani. Sentite queste parole: "Il coltello usato" - ascoltate eh, Signori della Corte - "e la meccanica dei movimenti dell'autore nel produrre le lesioni e le escissioni, dimostrano che: primo, l'autore è probabilmente destrimane; usa uno strumento di tipo tagliente, probabilmente monotagliente; terzo" - va be', il secondo è stato saltato - "più importante, l'analisi delle lesioni e delle escissioni di parte della regione genitale di tre delle vittime di sesso femminile dimostra che, al di là delle identiche caratteristiche tecniche di produzione delle stesse, vi sono inequivocabili analogie tra le lesioni, portando così ad avallare," dicono i periti, "l'ipotesi che l'azione sia di una stessa persona e ad escludere il concorso di complici. Non solo l'arma, ma le lesioni e le escissioni dimostrano un unico autore. Si cercherà così di dimostrare con questo, quanto infondate siano quelle voci che hanno lamentato come l'indagine, anziché nei confronti dell'odierno imputato, non si sia rivolta verso più autori, non si sa se membri di sette od altro. L'autore è unico, ce lo prova l'arma, ce lo prova l'azione. Vedremo nei dettagli, quando sarà il momento, come e perché è la stessa mano." Queste sono parole del Pubblico Ministero, dottor Canessa, in sede di relazione introduttiva nel processo Pacciani di I Grado. Le dico senza ombra di intento speculativo - visto che qui invece, questo processo si fonda su presupposto che non c'è la mano unica - per sottolineare a voi, Signori Giudici, quanto difficile sia. Quanto difficile sia acquisire certezze quando ci si addentra in una vicenda di questo genere, con riferimento al discorso compagni di merende, complici, mano unica. Lo stesso Pubblico Ministero, convintissimo fino a poco tempo fa della mano unica, sono sue queste parole, ora vi ha portato... 
P. M.: (voce fuori microfono)
Avvocato Mazzeo: Vi ha portato invece un materiale che dovrebbe condurre il vostro giudizio, che è su direzione diagonalmente opposta. Ecco perché deve essere particolarmente attenta l'analisi, priva di spurie illazioni, sospetti, fumi, ombre. Cioè elementi tutti che conducono teoricamente verso direzioni le più diverse possibili. Insisto - non insisto io, insiste la ragione e la Suprema Corte di Cassazione - che un indizio, e anche il riscontro oggettivo, come vedremo, deve avere la connotazione, la caratteristica della certezza. Certezza che significa univocità, cioè a dire l'elemento che dovrebbe corroborare la narrazione - falsa, l'abbiamo visto - del dichiarante, deve essere un elemento, la cui interpretazione non può che essere una, deve essere unica. Perché sennò rimane a un livello di ipotesi di lavoro, di certezza, di suggestione, che deve rimanere fuori. Quindi deve condurre, tutti gli elementi che sono stati impropriamente - secondo chi vi parla -chiamati riscontri oggettivi. Non lo sono per la semplice ragione che il riscontro oggettivo, come ci insegna la Giurisprudenza della Suprema Corte, anche di Giudici di merito da qui a 50 anni risalendo, il riscontro oggettivo è una cosa diversa. Il riscontro oggettivo è un elemento che deve condurre verso l'accusato. Solo verso di lui. Deve collegare l'accusato al fatto di cui lo si accusa. E solo lui deve collegare. E allora parliamo di feticci. Sempre Lotti. Chiede il Giudice nell'incidente probatorio, volume II, pagina 12: "A che servivano?" Perché a che servivano è importante. Se noi abbiamo presente il movente di natura maniacale, sadica, feticistica, per l'appunto - perché feticcio è preso proprio dalla scienza della psichiatria in questo caso - il feticcio serve a qualche cosa. Se invece lo consideriamo, come anche stato contestualmente considerato, merce, merce di scambio, a fronte della quale si ottengono dei proventi di carattere economico, è tutta un'altra cosa. E allora Lotti risponde, sulla domanda a cosa servivano i feticci, domanda decisiva. Incidente probatorio, volume II, pagina 12: "Mah" - dice - "tagliavano. A me non mi hanno mica detto a loro perché gli servivano." E fin qui siamo sul generico. Chiede l'avvocato Colao, a pagina 13 dell'incidente probatorio, volume II: "Le ha mai viste lei queste parti?" Risposta del Lotti: "No." Poi andiamo invece all'udienza dibattimentale del 27 novembre, fascicolo 53, pagine 20-24. Dice così: "A me mi disse" - sta parlando del Vanni - "che gl'era un dottore." Ce lo dice per la prima volta all'udienza dibattimentale, eh, Signori. Una cosa di questa rilevanza. Che ha una diretta attinenza con lo scopo di questo processo, con lo scopo dei delitti, con la causale, col movente, chiamatelo come volete. Perché facevano questo? Salta fuori il dottore che sposta completamente, ontologicamente vorrei dire, sposta la direzione dell'indagine, poi. Perché un conto è fare un'indagine avendo presente il maniaco o i maniaci sessuali - ipotesi di scuola, che in casi del genere possono essere più d'uno -e un conto invece è indirizzare l'indagine verso un commercio. Allora, in questo insieme di cose si introduce una novità assoluta, soltanto il 27 di novembre del 1997: "A me mi disse Vanni che gl'era un dottore, ma lo conosceva però meglio quello di Mercatale, Pietro. M'hanno detto che questo dottore andava a Mercatale, da Pietro, per prendere questa roba delle donne e basta. Dice gliene pagava, questa roba qui, a Pie..." "Gliene pagava", pagava. Quindi il movente spostato di 36 0 gradi. "Gliene pagava, questa roba qui, a Pietro Pacciani." Udienza 27/11, per la prima volta compare questa specie di... questo dottore. Un dottore. Fa venire in mente il commendatore del Don Giovanni di Mozart che compare finalmente, per la prima volta, nella scena finale e se lo trascina nell'inferno; non meglio identificato. Fascicolo 53, pagina 20-24. E poi gli si domanda: ma l'incontro con questo dottore, nel piazzone di San Casciano, ve lo ricordate? Nel piazzone ci terranno il mercato, ma per ben altre cose. Dice: "No, si trovavano nel piazzone." Dice: "Quando è avvenuto?" E lui dice, a pagina 24, siamo all'udienza sempre del 27/11: "Questo di preciso non è che mi ricordi bene." Quindi non riesce, in un primo momento, a collocarlo nel tempo questo incontro. Però poi, all'udienza del 9 di dicembre, pagina 45, prende sempre più corpo invece questo fantomatico commendatore. Perché lui ci dice: "Sì, sì." Risponde: "Sì, sì.", alla domanda se l'incontro è avvenuto dopo l’episodio degli Scopeti. E lui dice: "Sì, sì." E stavolta lo colloca invece nel tempo. E qui siamo a pagina 45, fascicolo 63, udienza del 09/12. E quindi qui abbiamo uno spostamento di prospettive vertiginoso. La parola è vertigine. È come se una inchiesta, va bene, iniziata avendo presente che il Giudice, nel giudicare... La Giurisprudenza dice: siccome il diritto, siccome la legge, siccome il giudizio si deve occupare prima di tutto dei comportamenti delle persone, se lo acquisisco, io Giudice, acquisisco la certezza che tu tizio hai ucciso, certamente che posso utilizzare il movente - quindi una ricerca sul movente la devo fare - per arrivare a capire perché, quindi a fondare anche la mia decisione sul perché tu hai ucciso. No? Tu hai ucciso per odio, hai ucciso per interesse, hai ucciso per gelosia, hai ucciso... Qui hai ucciso perché? Perché sei un maniaco, è dire una cosa; hai ucciso per interesse? Ma sono due cose completamente opposte. E anche su questa abbiamo il nostro dichiarante, il quale sembra che proprio - non voglio dire si diverta, ma insomma - sembra proprio che ce la metta tutta per confondere, per confondere, per confondere, non per chiarire. Per portare la nostra mente altrove. Il famoso coltello del Vanni, trovato non in un cassetto della cucina, ma nel forno. E questa Signori - non perché lo dico io - è proprio una suggestione. Perché far partire un sospetto, che rimane sospetto, l'abbiamo detto ieri, nulla di quel coltello tecnicamente conduce al coltello degli omicidi. È venuto il professor Maurri. Il Pubblico Ministero, trascinato evidentemente dalle sue convinzioni, ha alterato il pensiero del professor Maurri. "Ha detto perfettamente compatibile." Il professor Maurri non l'ha mai detto perfettamente compatibile, andate a rileggervi i verbali. E se l'avesse > detto il Lotti, che era perfettamente compatibile, non varrebbe niente. Perché questo ulteriore elemento, per fondare le dichiarazioni del Lotti, non può venire dal Lotti stesso, sarebbe troppo facile. Io dico una cosa e sono io stesso che me la confermo. Io sono la verità. No, che io dico la verità lo deve dire qualcun altro, lo deve dire un elemento esterno a me. E anche sul coltello, comunque, apprezzate queste descrizioni del Lotti, le varie descrizioni del coltello. Volume III dell'incidente probatorio, pagina 6 e volume I dell'incidente probatorio, pagina 79. Dice: "Mah, un coltello di quelli normali, non tanto grande." E fin qui, come si fa a connotarlo e a legarlo a questa vicenda? Poi a pagina 33 dell'udienza 27 novembre del '97, fascicolo 52, precisa: "Un coltello da cucina" - da cucina - "tanto piccolo non è." E siamo sempre molto nel vago. A che cosa ci aiuta questo riferimento? In che cosa conferma la narrazione del Lotti? Cosa conduce questo coltello... Cosa conduce, questo coltello degli omicidi che Lotti avrebbe visto, al coltello che è stato trovato nel forno da cucina del Vanni? Niente. Un'ipotesi, una suggestione, un desiderio degli inquirenti, finalmente di trovare una conferma, ma non certo qualcosa di certo, di univoco, di unidirezionale. 

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