mercoledì 28 ottobre 2015

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 5 marzo 1998 - Quinta parte

Segue dalla quarta parte.

Avvocato Filastò: Ora, con questo stralcio, rispetto al quale io mi sono doluto all'inizio del mio impegno professionale in difesa di Mario Vanni, voi vedete se avevo un po' ragione. Non se ne dovrebbe parlar più, ora, di loro. Nemmeno di quella splendida ragazza botticelliana che era la Carmela Di Nuccio. 1982. Francesco Vinci. Come entra nel "metabolismo lento", nella simulazione di questa indagine, Francesco Vinci? Beh, a proposito di Francesco Vinci in questa indagine avrò delle cose da dire al momento opportuno. Ora vi dico che se c'è un soggetto di questa lentissima ed estenuante indagine, distrutto, è Francesco Vinci. Distrutto due volte. Distrutto, catabolizzato, in senso metaforico, come indagato dall'indagine stessa e dai delitti | successivi; quando viene scarcerato e prosciolto. Distrutto, catabolizzato in senso reale, non metaforico, cioè ucciso, da chi? E Perché? Voi, qui, assistete subito ad un fenomeno importante, un sintomo significativo grave di questa indagine, sugli "amici di merende". Confessione, no? Testimonianza oculare. Benissimo, i nodi si sdipanano tutti. Trovato il bandolo della matassa, tutto torna a posto. Allora, voi - voi, non io; anche io, eh, anche io, ma per altri versanti, tutt'altri versanti - dico che l'omicidio di Francesco Vinci ha a che fare con i delitti del "mostro". Lo dico, sì, anch'io. Certo che lo dico. Ma io lo dico dal punto di vista di chi ha letto le carte del processo del 1968; e ha trovato che Francesco Vinci, un giorno - al dibattimento, interrogato, Presidente Coniglio - Francesco Vinci va, riferisce quello che aveva già riferito in istruttoria: di aver fatto un certo incontro alle Cascine del Riccio di Signa, in cui c'era una certa persona che minacciava Barbara Locci. E Francesco Vinci, quindi, qualcosa sapeva, forse, di una certa persona. E Francesco Vinci muore, in quel modo. Bene, non sarà come dico io. Non sarà questa la ragione dell'uccisione di Francesco Vinci. E allora qual è? Qual è? Da chi e Perché? Il signor Lotti, il quale ce lo presenta e ce lo fa apparire a San Casciano, così - con la barba, senza la barba, non lo riconosce - ci spiega che rapporto c'è, che relazione c'è? L'accusa. Il Pubblico Ministero nella sua replica lo farà, forse. Per ora, no. Qual è la relazione? In che modo viene metabolizzato, nel senso di anabolizzato, il Francesco Vinci, in questa indagine? A che scopo? Con riferimento a quale linea di indagine, a quale linea di pensiero, a quale ricerca? Perché più che trovate le cose vanno cercate e bisogna sapere cosa cercare. Ucciso dagli "amici di merende" perché non parlasse? Di che? Vedremo - mi toccherà farlo a me - quando ne parlerò più approfonditamente, vedremo quella che, insomma, a furia di arrovellarmi, sono arrivato a definire un'ipotesi del Pubblico Ministero - dell'accusa, diciamo meglio dell'inchiesta, dell'indagine: il Pubblico Ministero, il dottor Giuttari. Sono le pagine, sono le pseudoindicazioni, sono gli accenni di indicazioni, sono i conati sono più ambigui meno affidabili, di questo processo, tutto quello che riguarda e che ruota intorno a Francesco Vinci. 1984, gennaio 19 84. Due giorni prima che scatti il mandato di cattura a danno del secondo Mele, Giovanni Mele, e di Mucciarini, il misterioso omicidio di una coppia venuta da Lucca - due giorni prima, due giorni prima - con un'altra calibro 22, non guella un'altra. L'azione è perfettamente identica. Mele e Mucciarini, la pista è quella del clan dei sardi, sono simmetrici alla coppia Pacciani-Vanni. Presentano delle analogie impressionanti. È l'antecoppia. Sono anche loro frequentatori di prostitute. C'è persino la lettera - per dire la simmetria; questo è un processo che presenta degli aspetti di analogia impressionanti, sembra che qualcuno si sia divertito a scrivere un romanzacelo - c'è persino la lettera che uno scrive a quell'altro per dirgli: guarda, regolati. Stava diventando il cardine dell'accusa, questo biglietto. Poi arriva il delitto dell'84: fine anche della coppia Mele e Mucciarini. Chiuso con il clan dei sardi; sembrerebbe, almeno. Ma poi compare nell'interregno Salvatore Vinci, ancora partecipe del clan. Viene messo in carcere e processato per il suicidio della moglie. Si riesuma questo suicidio, si dice che è un omicidio, vien processato là in Sardegna per questo omicidio; viene assolto. Viene indagato come "mostro", anche lui e viene prosciolto dall'accusa per l'omicidio della moglie e prosciolto anche come "mostro". E poi, scompare questo signore; non si è saputo più nulla di lui. Si arriva al 1989, quando, dice, il computer partorisce Pacciani. Dice. E io so che non è vero. E se sarà necessario, tirato per i capelli perché implica delle cose un po' sgradevoli, lo dimostrerò. Che Pacciani è stato sospettato come "mostro", al momento di entrare in galera come violentatore delle figlie. Il sospetto c'era di già su di lui. Mi assumo la responsabilità di quello che dico, perché c'era la trasmissione televisiva che documenta questo fatto, alla quale io partecipai. Dove ci fu una fase finale, ci fu uno che telefonò e disse: 'senta, signor Augias, a me mi risulta che il "mostro" è già dentro.' Beh, sai com'è, investigatori presenti dice: 'ma un momento, dentro il "mostro"? No. C'è uno che è dentro per altri motivi'. E chi era? Si era alla fine dell'87, non poteva essere altro che Pacciani. Morte di Pacciani: dissoluzione, distruzione dell'accusa nei confronti di Pacciani da parte di una Corte di Assise d'Appello, con una sentenza che è un capolavoro; ed infine, poi, la distruzione di Pacciani è completa perché è morto. Morto. Morte naturale, per caritàI Presidente, mi fa fare una pausa?
PRESIDENTE: Bene.
Avvocato Filastò: Grazie.
PRESIDENTE: Bene, un quarto d'ora.
Avvocato Filastò: Grazie. 

« DOPO LA SOSPENSIONE »

PRESIDENTE: Prego, avvocato Filastò.
Avvocato Filastò: Grazie, Presidente. Mentre preparavo questa discussione, Signori, ho avuto diverse perplessità. Una ve l'ho già accennata prima, ci ritornerò, e un'altra riguardava l'ordine degli argomenti che avrei affrontato; ordine che è importante da un punto di vista logico, costruttivo. Il processo è complicatissimo. Si trattava per me di scegliere, tra l'altro, fra tanti aspetti che riguardano questa causa. E via via che studiavo - ho riletto tutte le carte, tutto il dibattimento - il pensiero tornava sempre a lui, a Mario Vanni. Tentavo di definirlo con una parola e non mi riusciva. Poi voi sapete che cosa è accaduto: si è sentito male, dopo che aveva ottenuto gli arresti domiciliari; è caduto; l'hanno portato...
Mario Vanni: Due o tre volte in casa, sì.
Avvocato Filastò: ...l'hanno portato all'ospedale...
Mario Vanni: E rimasi senza parlare.
Avvocato Filastò: ...e rimase senza parlare. E io lo andai a trovare all'ospedale di Ponte a Niccheri.
Mario Vanni: Sì. ..
Avvocato Filastò: Eh, ora... Lui balbettava, appunto, non riusciva ad articolare. Ricordo che stava cercando, vero Mario?
Mario Vanni: Sì.
Avvocato Filastò: ...stava cercando di tagliuzzare un pezzo di pollo.. . 
Mario Vanni: Si, sì.
Avvocato Filastò: ...e non gli riusciva, infatti lo tagliai io. Ecco, allora mi venne in mente il termine: "paziente”. Paziente secondo il significato comune della parola, cioè a dire di persona dotata di pazienza. E ci vuol pazienza, Mario. Signor Mario, ci vuol pazienza. Ma in un modo o in un altro ce la faremo.
Mario Vanni: Grazie.
Avvocato Filastò: Starei per dire: "no pasarán", solo che lei è dalla parte di "arriba España", vero?
Mario Vanni: Uhm.
Avvocato Filastò: Eh? Che strana circostanza essermi trovato a difendere col cuore, proprio, facendolo volentieri, onorato di farlo, questo signore che si proclama cristiano e... fascista!
Mario Vanni: Fascista.
Avvocato Filastò: Paziente, quindi; anche, però, nel senso medico del termine come ammalato, bisognoso di cure. E così allora mi sono sentito io, esaltandomi: contemporaneamente medico più che avvocato. Medico chiamato al capezzale, davvero avvocato, "advocatus", chiamato. Chiamato al soccorso da una persona colpita da un male. E questo male è un processo assurdo, estenuante, tormentoso. Quel processo che, come ho detto prima, ha provocato questo evento straordinario di un Giudice, di un Presidente che dice: un momento, scrivo un libro paragonandolo alla ’’Storia della Colonna Infame” di Manzoni. E quindi, ho deciso, affrontando il vivo del processo, di cominciare da lui, perché il primo dovere di un medico è di occuparsi del suo paziente. Dicevo, prima, che questo caso giudiziario presenta delle singolari analogie, e ho detto anche che una è autentica: Lotti assomiglia a Stefano Mele; del processo successivo al delitto del 1968, confesso anche Mele. Confesso non solo, ma anche chiamante in correità, anche lui. Chiama in correità Francesco Vinci, chiama Salvatore Vinci, un certo Carmelo Cutrona, e poi, di nuovo, Francesco Vinci, e poi, di nuovo, l'altro Mele, Mucciarini. Anche lui, Stefano Mele, un deficit intellettivo grave, a livello di grave oligofrenia. Perizia, in quel processo, sulla sua capacità di intendere e di volere, perizia che si conclude affermativamente: capacità di intendere e di volere grandemente scemata; vizio parziale di mente. Ma qui la simmetria, l'analogia, si arresta, e qui la bilancia pende a danno di Lotti. Niente perizia. Perizia ammirata, no? Avente ad oggetto la sua capacità di intendere e di volere o meno: non l'ha chiesta neppure il suo difensore. Dice il collega, un collega della parte civile, che non si devono criticare i giovani colleghi. Un giovane collega è il difensore di Giancarlo Lotti, il quale si è risentito, a un certo punto, per alcuni miei interventi nei suoi riguardi, riservandosi - mi è parso, non so bene se ho capito bene - lamentele in qualche sede, non lo so. Aspetto, come si dice, impavido. Nel caso avrò da dire qualcosa sul perché e sul percome di certe interruzioni da parte mia e prese di posizione, fra cui questa. Metta in conto anche questa il giovane collega. Perché? Qual è il motivo difensivo per cui non solo il difensore di Lotti non ha chiesto la perizia psichiatrica ai fini di valutare la capacità di intendere e di volere del suo difeso? Il quale sarebbe il succube, no? Sarebbe il dominato, no? Sarebbe il passivo, no? Sarebbe l'omosessuale plagiato, no? E come mai questo difensore si accontenta di una consulenza proveniente dall'ufficio del Pubblico Ministero che non solo non riguarda il quesito specifico sulla capacità di intendere e di volere, ma sul punto, sulla passività dice esattamente l'opposto? Lo vedremo. Ne dovremo parlare. 

martedì 27 ottobre 2015

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 5 marzo 1998 - Quarta parte

Segue dalla terza parte.

Avvocato Filastò: Beh, insomma, voglio dire, sui posti bisognava andarci, abbiate pazienza. Per quelle cose che vi ha detto il collega Mazzeo, che le ha constatate insieme a me, perché io prima che lui incominciasse a discutere i giorni precedenti, dico: Antonio, si va a fare un giro? Io c'ero già stato, avevo visto i posti, eccetera. L'ho portato a fare tutto il giro... 'guarda, vedi, qui siamo sulla strada, vedi come siamo? Qua, lo stesso. Qui, che ti dice questo? Siete sempre in tempo, però, eh. Individualmente lo potete fare. Anzi, sono anche belle gite. Per modo di dire, insomma. Posti proprio... L'unico posto veramente squallido è Travalle. Travalle è squallido, perché è un posto di estrema periferia, insomma; questa campagna piatta, le montagne sopra, ma piatta, inurbata, queste costruzioni, casette intorno, tutte casette intorno; questo torrente vicino che si chiama Marina, come sempre, eh, c'è un torrente dappertutto. Torrente un pochino... un po’ nascosto, un pochino... Ma sempre, anche lì, terreno scoperto, chiaro, leggibile, anche di lontano. Gli altri posti sono posti, voglio dire, tu vai a San Casciano, San Casciano è un paese delizioso. Ha queste bellissime mura; di per sé è il classico paese toscano, poi di vecchio stile, dove si mangia benissimo, fra parentesi. Perbacco, nella trattoria Da Nello si mangia ottimamente. Non parliamo di Vicchio. A Vicchio c'è, si capisce, la Casa del Prosciutto, dal punto di vista gastronomico, voglio dire. Se ci andaste, prenotate prima; bisogna prenotare almeno due settimane prima, perché è sempre pieno. Vorrei sapere come ha fatto Lotti ad andare a mangiare là, di tonfo, eh. Però, se non trovate posto lì alla Casa del Prosciutto, potete andare un po' più su. Anzi, più su, per una strada piuttosto impervia, sterrata, alla Casa di Caccia. Perché è un posto di cacciatori, Vicchio. E lì, alla Casa di Caccia, dove fanno la lepre dolceforte splendida, ecco, lì, fra l'altro è dominata un po' la zona... c'ha un panorama vertiginoso, bellissimo. Insomma, poi dopo, perché no? Suggerimento, vedremo se è il caso. Va bene. Scusatemi la digressione. Bene. Allora, il nostro è un processo grave, complicato, estenuante; e c'è chi ha tentato di definirlo con 'una espressione e l'espressione è: "metabolismo lento". Queste due parole insieme costituiscono una definizione. Il copy-right appartiene ad una parte civile; il Pubblico Ministero se n'è innamorato e secondo lui questa espressione definisce questa indagine. Beh, sul "lento" sono d'accordo. Accidenti al lento! Dal primo delitto, 1968, sono passati - siccome era di agosto - pochi mesi meno di trent'anni. Credo che questo non sia mai accaduto; accetto smentite. Ma credo che un'inchiesta che procede -sia pure per tappe e per vari processi - per trent'anni, al mondo non sia mai successo. Ed ancora sento dire: 'non sarebbe finita.' Pacciani è stato perquisito dopo morto, voi sapete, no? Si è visto alla televisione, i Signori andavano via con le mascherine sul viso, perché dentro era una situazione indescrivibile dal punto di vista igienico, dell'odore e tutto il resto. Pacciani solo, questo vecchio. Hanno portato via, ho visto, un sacco di sacchi con della roba dentro, quello che hanno trovato. Ma, a parte questa perquisizione postuma fatta a Pacciani, c'è sempre il misterioso medico acquirente dei feticci. Tramonta il mago, risorge il medico. Il quale medico è, in realtà, una specie di cometa che percorre il cosmo di questa inchiesta. Ogni tanto qualche medico appare; uno pare si sia suicidato... Dunque, "metabolismo". Però, quello che proprio non condivido è la parola, è il sostantivo. Sull'aggettivo ci siamo, ma sul sostantivo no. "Metabolismo". Il termine io sono andato a cercarlo sul Battaglia, Il Grande Dizionario della Lingua Italiana che cita Panzini. E Panzini dice: "È un termine di fisiologia. Indica l'insieme delle trasformazioni che i tessuti organici viventi subiscono per effetto della nutrizione. E si intende tanto il processo di assimilazione, anabolismo, come il processo di distruzione, catabolismo." Bisogna stare attenti alle metafore. Io lo so, perché faccio anche un altro mestiere oltre che l'avvocato. La metafora è un strumento difficile da usare. Troppe metafore stuccano, e poi trovarla bene, azzeccata, è difficilissimo. E qui, in questo caso, mi sembra particolarmente infelice e ambigua, perché la parola significa una cosa che è quella che evidentemente intende il collega della parte civile, suscitando l'immediato consenso del Pubblico Ministero, è la sua esatta antitesi. La sua esatta antitesi. Se si voleva, con questa parola "metabolismo", intendere che l'indagine aveva anaboliticamente - cioè a dire mediante il processo che si chiama anabolismo, di assimilazione - assimilato dei fatti, persone, imputati, eccetera fino a raggiungere la verità, non è vero nulla. Almeno fino al 1991 è falso. Per almeno ben 23 anni, fin tanto che non spunta Pacciani, che poi è tutto da vedere, insomma, mettiamola così. Sto parlando dal punto di vista del Pubblico Ministero che usa questa espressione e utilizzo questa metafora e questa espressione del Pubblico Ministero per rendere il mio discorso più gradevole - intendiamoci - e condurvi a fare una certa critica di questo mastodontico impianto processuale che avete sotto gli occhi. Per 23 anni l'indagine è stata catabolica, cioè a dire non ha assimilato nulla, non ha prodotto nulla: ha distrutto. Ha distrutto se stessa e ha distrutto delle persone. E vediamo se è vero. 1968. 1968. L'indagine provoca un errore giudiziario spedendo, questo non l'ho mica detto solo io, l'ha detto anche questo rappresentante della Pubblica Accusa, dottor Canessa, nella sua introduzione - come si chiama? Relazione Preliminare - nella sua Relazione Preliminare al processo Pacciani e poi, anche, persino nella requisitoria finale, quando ha chiesto la condanna di Pacciani. Che c'entra Stefano Mele? E' stato Pacciani. Quattordici anni di galera comminati a Stefano Mele, di cui dodici interamente scontati. E oggi? Oggi, in questa indagine che riguarda gli amici o "compagni di merende", a che vi serve? In che modo voi potete assimilare lo Stefano Mele? Addirittura vi si chiede di non assimilare nemmeno — il fatto. Vi si chiede di espellerlo dalla vostra cognizione. Quindi, quella indagine a quell'epoca distrusse se stessa e ha distrutto un uomo. Perché questo poveraccio per quanto fosse - è un termine brutto "poveraccio" - questo uomo, questo ometto, questo individuo meschino, anche lui, con delle caratteristiche che lo fanno assomigliare a Giancarlo Lotti in un modo impressionante, salvo quelle fisiche perché quello è un ometto piccino, questo è massiccio, 9 0 chili e rotti. A che vi serve tutta quella... il catabolismo di quello spezzone di questa inchiesta infinita che comincia allora. A che vi serve? A niente. Vi servirebbero delle cose, delle cose ci sarebbero, ma non sono quelle che vengono esaminate. E state tranquilli: non ve ne parlerò. Ne ho una voglia pazza, però non lo farò. Sto facendo l'avvocato, difensore di Vanni io, qui. 1981, giugno. Fionda in galera Enzo Spalletti per quattro mesi. Lo mettono dentro non come "mostro", ma in quanto falso testimone. E certamente, eh; hanno anche ragione. Lui va al bar, dice: 'ho ; visto i corpi'. E poi, dopo, gli chiedono: 'chi te lo ha detto?' "L'ho letto sul giornale." Sul giornale no, perché su il giornale c'è il giorno dopo. Non si è mai saputo cosa abbia visto questo Enzo Spalletti, eh. Mai, mai, mai, mai più, mai più, mai più. Nessuno glielo ha più chiesto, nemmeno al processo Pacciani, nemmeno chiamato al processo Pacciani. Non si dice qui, dove non si parla nemmeno di un delitto avvenuto quattro mesi prima rispetto a quello che è del capo d'imputazione, con le identiche modalità, la stessa arma, le stesse identiche modalità, le stesse escissioni, la stessa scelta di tempo, di luogo, tutto; c'è tutto. Eppure, questo no. Di questo non se ne parla. E Perché non se ne parla? Sarà che non collima con gli "amici di merende", il 1981? Sarà che è meglio tenerlo lontano, Enzo Spalletti? Ad un tratto abbia a dir qualcosa, finalmente, di quel che ha visto? Come il suo amico Fosco Fabbri? Che lui un poliziotto lo aveva incontrato, eh, e lo aveva minacciato con una pistola. Fosco Fabbri, l'amico di Spalletti. Fate conto che non vi ho detto niente, non ho detto niente. Mi capiterà ancora. Mi capiterà ancora, e voi mi scuserete, di uscir dal seminato. Mi capiterà. Mi sono imposto di non farlo, ma come si fa? Comunque, non in questa indagine. Spalletti che viene scarcerato dal "mostro", quattro mesi dopo -guardate gli intervalli, le cadenze - è il termine più breve. E non ne poteva più, Spalletti, di stare dentro e voleva parlare, beh. Quindi, non solo: Spalletti non ci serve, l'indagine su lui e sull'episodio del duplice omicidio di Scandicci - Carmela Di Nuccio e Giovanni Foggi - è espunta; è espulsa da questo processo che vede non solo la eliminazione d'ufficio del serial-killer della provincia di Firenze, ma anche l'abolizione d'ufficio di ben tre duplici omicidi. E qui, scusate, una riflessione. E ora che è morto Pacciani, che quei tre precedenti gli erano stati addebitati, come la mettiamo? Quelle vittime di quei tre precedenti duplici omicidi? E il risarcimento? E il diritto dei familiari di Stefania Pettini - pronuncio questi nomi qui, ora, perché ce ne siam tutti dimenticati di questi nomi: di Stefania Pettini, di Pasquale Gentilcore, di Carmela Di Nuccio, di Giovanni Foggi, di Antonio Lo Bianco, di Barbara Locci - di far sapere la verità, ai loro parenti? Vorranno sapere la verità, vorranno sapere chi li ha uccisi. 

venerdì 23 ottobre 2015

giovedì 22 ottobre 2015

mercoledì 21 ottobre 2015

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 5 marzo 1998 - Terza parte

Segue dalla seconda parte

Avvocato Filastò: Ora, in questo richiamo insistito del Pubblico Ministero alla tranquillità io ci ho visto una specie di invito a diffidare - sarò un po' paranoico, ma far questo mestiere lo si diventa un pochino; non paranoico: paranoide, meglio - un invito a diffidare, come dire: attenzione, non fatevi contagiare dal turbamento che cercherà..- Non lo ha detto lui, eh, lo dico io, questo, lo invento, immagino. Un anatema rivolto a voi, di questo tipo: attenzione, non fatevi contagiare dal turbamento che cercherà di provocarvi la difesa. Tranquillità. Contrario: turbamento. Il processo era fatto, addirittura fin da prima che interveniste voi. Non c'era che da fare un mediocre controllo: otto mesi, insomma... Lo avete fatto, è stato fatto, la confessione è confermata, la chiamata di correo c'è; chiamata di correo che, sembrerebbe, almeno a sentire il Pubblico Ministero, sembrerebbe quasi la stessa cosa della confessione. Non è vero niente, vero. Sono due cose completamente diverse, eh. Da analizzare l'una e l'altra, i documenti distinti, anche. Il testimone oculare ha confermato. "Alibi inoppugnabili", vi ha detto. Questo è testuale - aperte virgolette -: "Alibi inoppugnabili" - chiuse virgolette - non ve ne sono stati presentati. — Si ricorda, Vanni, la prima volta che ci siamo visti in carcere?
Mario Vanni: Si.
Avvocato Filastò: Icché gli chiesi? Gli chiesi: Vanni, ma lei è in grado di dirmi in dove l'era in quei giorni? Lei che fece? Che mi disse?
Mario Vanni: Io un me ne rammento.
Avvocato Filastò: E che vuoi, che mi doveva dire? Mi guardò con l'aria... Mamma mia, non avrò mica sbagliato a chiamare questo avvocato? Ho trovato uno un po' scemo, ho trovato? Si doveva portare gli alibi inoppugnabili risalenti a quanti anni prima? 17? 12. 12, per l'ultimo; poi ci sono quelli di prima, no? Questo signor Faggi, che un alibi inoppugnabile sembra l'abbia portato, addirittura documentale, è un fortunato. Però è una persona che fa un certo mestiere, si prende gli appunti, ha trovato l'appuntino, è risalito. Vanni, lei prende gli appunti, Vanni, di quello che fa?
Mario Vanni: Eh?
Avvocato Filastò: Quando lei faceva le gite facendo il postino, si appuntava le gite lei?
Mario Vanni: No…
Avvocato Filastò: No. No, eh?
Mario Vanni: (voce fuori microfono)
Avvocato Filastò: Eh, mi pare anche a me. Quindi, gli alibi non sono stati presentati; Vanni, l'alibi non ce l'ha. E quindi perché sbattervi a lavorare inutilmente? Niente turbamenti, niente - aperte virgolette -: "Civilissima arte del dubitare" - chiuse le virgolette -. È una frase di Bertrand Russell. Ecco, io non nego - anzi, perché dovrei negarlo? Anzi, sono orgoglioso di questo - che a volte il difensore, il quale, come voi sapete, parte sempre svantaggiato, per tante ragioni, storiche, eccetera, questo. Non è mica in America dove... Quello che non ho sofferto - e dico proprio sofferto nel senso di anche annoiato, insomma -per tentare di fare, di ottenere la copia di una sentenza passata in giudicato. Perbacco, a voi la porterò... l'ho portata oggi, mi toccherà darvela oggi, tardiva, Presidente. Ma insomma, mi pare non essere il solo a fare produzioni tardive, però. Per l'archivio il '69 non è più in Tribunale, si trova alla Fortezza. E alla Fortezza ci va un ometto solamente di mercoledì. Siamo cosi, eh, vero dottor Canessa? Vero?
P.M.: Per tutti è mercoledì.
Avvocato Filastò: Per tutti è il mercoledì.
P.M.: Anche per il P.M. è lo stesso.
Avvocato Filastò: Ma anche il P.M.
P.M.: Non ha un canale privilegiato.
Avvocato Filastò: Esattamente.
P.M.: Anche la Corte, se lo volesse.
Avvocato Filastò: Lo so. Però, altri canali privilegiati, però, il P.M. ce li ha, diciamo la verità.
P.M.: No…
Avvocato Filastò: I Carabinieri, poliziotti, tutta questa gente qua... Il P.M. questi canali ce li ha. Buoni o cattivi che siano, però ce li ha. Quindi, svantaggiato per tante cose… Quindi, molto spesso, il difensore tenta di percorrere proprio questa strada, cioè a dire quella di sostituire il turbamento, indurre i Giudici ad esercitare quella civilissima arte del dubitare di cui parla Bertrand Russell. Proprio quel turbamento rispetto alla tranquillità; il dubbio rispetto alla certezza. A parte che io personalmente non ritengo esportabile nelle nostre latitudini non solo italiane, ma direi europee - per tante ragioni storiche che qui sarebbe assolutamente assurdo nemmeno affrontare inizialmente - quella teoria, o l'idea del ragionevole dubbio del diritto anglosassone, degli americani che tante volte si vede nei film americani alla televisione; non la considero esportabile da noi. Perché da noi il principio cardine casomai, da questo punto di vista qui, sta in quella espressione latina che dice "in dubio prò reo". Che è tutto un programma, eh. Basta pensarci un momentino, è tutto un programma.
P.M.: Reo.
Avvocato Filastò: Reo, e beh. "In dubio prò reo". È bellissimo, no? È un po' come la storia che tutti... - scusate, eh, un momento la regressione - che ammazzare una donna, non è un reato, nel nostro Codice penale. Lo sapevate questo? Perché l'articolo 575 dice: "Chiunque cagiona la morte di un uomo..." Bah, insomma, per dire. Questi retaggi antichi che noi abbiamo nella nostra prassi giudiziaria, nel nostro modo anche di pensare, sono incredibili. Me ne sto occupando in questo periodo di tempo, perché mi affascina, anche perché ho avuto il piacere di conoscere un grande storico del diritto. Lo conoscevo già prima, aveva fatto addirittura l'esame: Italo Mereu. E siamo entrati un po' in amicizia, ogni tanto ci incontriamo, parliamo. E mi si apre un mondo. Va bene, comunque... A parte questa diffidenza, il mio impegno qui è diverso. Sono convinto che, lavorandoci sopra, seriamente, esaminando, analizzando e applicando la legge, alla fine il Giudice del processo contro Mario Vanni è in grado di raggiungere la convinzione tranquilla della innocenza di Mario Vanni. Ed è questo il lavoro che intendo fare ora. Non intendo turbarvi, non intendo mettervi dei dubbi. Intendo sistemarmi al vostro fianco, rimboccarmi le maniche e lavorare tranquillamente con voi. E se, Presidente, in quello che dico, nelle citazioni che faccio, nelle indicazioni di carte che vi do, Ella, o chiunque altro, nota una forzatura, qualcosa che non torna, qualcosa che non corrisponde, accetto l'interruzione. Dai Giudici l'accetto, dagli altri no. Potrei essermi sbagliato, potrei aver letto male. E sarà un lavoro complesso, Presidente, Signori Giudici, e non breve. Mi dispiace. Anche lì, questione di scelta. Avrei potuto discutere questo processo con tre battute, davvero. Anzi, due. Beh, insomma, a Scopeti, a Vicchio, seguendo la strada del Pubblico Ministero, eh, inseguendo i suoi dati processuali, c'è la prova che Vanni non c'era. Basta. C'era Lotti? Boh, fatti suoi, insomma. Ha confessato, e beh, paghi, eh! Frigo, per Vicchio; Caini e l'altro testimone, sempre per Vicchio; i due coniugi, testimoni perfetti, che vanno a trovare gli amici Ruffo - in questo momento, perché questo sta anticipando - per Scopeti; Lorenzo Nesi, per Scopeti. Conosce quest'uomo da 40 anni e non lo vede sulla pretesa macchina di Pacciani. Ma che altro volete? Quanto ci ho messo, 10 minuti? Il resto è tutto ciarpame, eh. Ma poi ho detto: no, non è nel mio stile, non si fa, non va bene. E soprattutto non mi piaceva. Non mi piaceva, non mi divertiva a me discutere così il processo. E continua a non divertirmi. Quando lo affronterò, sotto questa angolazione -ci sarò costretto, tirato per i capelli, li ho abbastanza lunghini - eh, lo farò proprio con molta, molta, molta riluttanza. Dopo avervi tre-quattro volte, compresa questa volta che credo sia già la seconda, avvertito: non ci credo affatto. No, questa è una cosa proprio che fa l'avvocato, un tecnico, colui il quale, a un certo punto, è stato chiamato da un poveraccio che rischia : l'ergastolo e che gli ha detto: mi difenda, avvocato, con tutti gli strumenti che lei conosce e con tutti gli argomenti che lei conosce, affrontando tutto quello che c'è da affrontare nel processo. Altrimenti, no, io proprio, questa cosa, fare il cane addosso a qualcuno, alla parte civile, a Lotti, non ci tengo proprio. Non mi piace, mi disgusta. Un individuo sporco, un individuo meschino, un individuo bugiardo, un individuo che non vale niente. Un... però è un uomo. È un uomo come tutti, insomma. Quindi, un lavoro fatto di molte citazioni e di carte. Quelle che sono ora, perché ora siamo alle carte; di moltissime letture, perché a me mi hanno insegnato a discutere i processi così, non con gli aggettivi qualificativi; con l'analisi. Ed è una analisi che va fatta ora. Attenzione, altra cosa, altro avvertimento, poi ho finito con questo pistolotto. Mi immagino che ne avrete un pochino piena l'anima, eh. Ma scusatemi, scusatemi. Va fatta ora questa analisi, dopo l'immediatezza del dibattimento. Nessuno di voi ha... Vedano, il nostro è un sistema perverso, in queste cose. Sapete, da noi un processo può anche non finire mai. Tempo fa ero a discutere una causa in Cassazione, c'era il collega di Palermo - in questo momento non mi ricordo - il quale stava discutendo dopo 25 anni una causa di omicidio che era arrivata al VII Grado, al VI Grado di giudizio. E c'è anche questo, come dire, sentimento. Io credo, non lo so, non l'ho mai fatto questo lavoro che state facendo voi ora, ma mi immagino che ci possa essere anche, come dire, una sorta di liberatoria. Uno dice, va be', se ho sbagliato io, poi tanto c'è 1'Appello, dopo tanto c'è la Cassazione, poi si vedrà. No, no, no, no. Ora, ora, ora è il momento giusto. Ora, ora, ora che voi avete ancora nelle orecchie le deposizioni dei testimoni; ora che voi avete visto le persone, che avete toccato con mano, almeno parzialmente. Veramente avreste potuto far di più, eh. Lo dico subito, eh, Signori. No, tanto lo faccio a tutti, anche a voi, scusate. Io, sui posti, ci sarei stato, eh. Almeno quei sopralluoghi li avrei fatti. Comunque, il dibattimento è dibattimento. La speranza di trovare una Corte, un Presidente, un Giudice a latere, della, non solo integrità -perché l'integrità ce l'hanno tutti - ma della intelligenza dell'acume, della cultura, perché per fare un processo di questo genere, ci vuole anche quella, del dottor Ferri e del dottor Carvisiglia, non è una cosa che si trovava sempre. Quindi, applicatevi, scusate. Ne vale la pena. Voglio dire, non fosse altro che per una cosa. È un caso di una complicazione inaudita. Ma scusate, avevate mai, prima di ora, prima di questo caso, avevate mai sentito parlare di un giudice, il quale si dimette per scrivere un libro, per paragonare una certa inchiesta alla "Storia della colonna infame" di Manzoni? È quello che è avvenuto, no? Il dottor Ferri. La comprensione in anticipo. Per scrivere questo splendido libretto, bellissimo, pieno di indicazioni, pieno di umanità, pieno di cultura, ben scritto. Bellissima prosa, quella del dottor Ferri, fra l'altro. Per dire questo: ma come, io mi devo ritrovare alla fine della mia carriera a un processo in cui i meccanismi, le strutture ideologiche, le strutture di ricerca sono le stesse analizzate e criticate dal Manzoni in occasione del processo agli untori? Ma insomma, un po' straordinaria come cosa è, vero? Potete non essere assolutamente d'accordo né con l'iniziativa, né col Giudice, né con le sue idee, però è il segno, il sintomo di qualcosa di straordinario che c'è in questo processo; e questo voi lo dovete avere, eh. Lo dovete avvertire. Benissimo. Io sapete perché dico questo? Perché, come ho ripetuto prima, certe vostre ordinanze mi hanno lasciato perplesso; le appellerò tutte, una per una, nel caso, eh, nella dannata ipotesi... Io spero di non doverlo fare, Vanni. Mamma mia, speriamo di no. 

martedì 20 ottobre 2015

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 5 marzo 1998 - Seconda parte

Segue dalla prima parte.

Avvocato Filastò: E infine consapevole e contemporaneamente perfettamente responsabile del suo potere. È questo che più che altro mi affascina del vostro lavoro in questo momento: questa vostra potestà, quasi divina. Nessuno, nessuna cosa al di sopra di voi: né l'opinione pubblica, cosiddetta; né la stampa, più o meno forcaiola su questo fatto, su questi fatti; né gli apparati burocratici; né l'ansia di chi vuole trovare il colpevole, anche legittima, dei parenti delle vittime. Tanto al di sopra da essere terribilmente solo, ciascuno di voi; solo. Con se stesso con la sua coscienza, anche quando giudica in collettivo: solo. Certo, certo. Ed è a questo mio affezionato Giudice che parlo, rispettandolo profondamente. E vi dico che in questo processo siamo in pochi ad amarlo, questo Giudice, e in pochissimi a rispettarlo, ahimè. Rispettarlo nel senso di, prima di tutto, evitare con mezzi - non voglio usare aggettivi - con mezzi discutibili, di captare la suggestione sua, di tirarlo da una parte con le suggestioni, con i sottopensieri, con i misteri, con le indagini che si devono fare - dottor Giuttari, vero? - e che sono in corso e che non si sa ancora a che punto sono arrivate. Con il dire: beh, aspettate e vedrete, per ora noi si indaga sui maghi, sui misteri, sui filtri, sul dottore. Eh, ma non disturbate il manovratore per ora: segreto istruttorio, chi vivrà vedrà. Questo è un processo a uno; uno? Accidenti, uno. Poi ci sarà l'altro, eh, poi vedremo, eh. Abbiate fiducia, aspettate vedrete. E questa cos'è? Questa cos'è se non un'inammissibile suggestione. E guardate non è che io vi sto inventando le cose, perché c'è nella prerequisitoria del dottor Giuttari, c'è proprio un punto preciso, dice: 'ma questa storia?' 'Questa storia, abbiate pazienza, noi stiamo indagando, dobbiamo vedere, segreto istruttorio. Salvo poi leggere sui giornali notizie filtrate, non si sa bene come, informazioni, leggere le cose più assurde, le cose più assurde, cose più ripugnanti dal punto di vista intellettuale. L'ipotesi del disseppellimento della bara del mago Indovino, Salvatore Indovino - che poi chi l'ha detto che era un mago? Ma insomma, lasciamo perdere - per vedere se per caso la pistola era andata a finire nella bara. Non lo so da chi venissero le informazioni. Forse se lo sono inventati di sana pianta i giornalisti, può darsi benissimo, non lo so. Ma voi capite, questo clima suggestivo, che si è dovuti arrivare qui, in questo processo, no, dove si discute le cose serie che sappiamo. Si è dovuti arrivare qui, si è dovuto sentire - mi dispiace, non c ' è stamattina perché non mi piace parlare delle persone quando non ci sono - l'avvocato Colao, nella sua requisitoria finale, parlarvi dei feticci messi da Pacciani a seccare sulla porta della sua casa. Ma voi sapete che questa storia dei feticci messi a seccare ha formato oggetto di una indagine, eh, sono state interrogate delle persone. Come i pomodori, come i fichi nel Sud, vero? Si fa. Come le sorbe. Perché anche le sorbe si mettono a maturare al sole. Le sorbe. Mi toccherà parlare anche di sorbe in questo processo. Di questo Giudice che dicevo, scevro, ho l'impressione che il Pubblico Ministero ne avrebbe fatto volentieri a meno, se la legge glielo avesse consentito. Che significa questo, Avvocato Filastò: che in un giudizio abbreviato il Giudice non c'è? Sì che c'è, certo che c'è; e può essere anche che quel Giudice sia quel Giudice ideale che dicevo. Certo è che quel Giudice è dimezzato, almeno, eh. Le prove non si svolgono davanti a lui, non si dipanano sotto i suoi occhi, non vengono raccolte direttamente dalle sue orecchie. Sono prove che appartengono allo scritto, addirittura in una forma, prevista dal nostro Codice, che è persino, come dire, meno garantista - però è un termine sbagliato, che io non amo per tante ragioni – del vecchio processo, quello che si svolgeva appunto su delle prove già raccolte da Magistrati e sulle quali i Giudici del dibattimento avevano lo scopo soltanto di effettuare un controllo. Almeno loro un controllo lo facevano: i testimoni li risentivano. Nel giudizio abbreviato tutto questo non avviene. E così, se la legge glielo avesse consentito, così i ha detto il Pubblico Ministero, avrebbe voluto - questo Pubblico Ministero - risolvere il caso sotto il profilo della posizione dell'imputato Giancarlo Lotti, vale a dire 3/4 del processo, come vedremo. Ne resta 1/4, vero, fra l'altro. Una volta risolto quel problema, c'è quell'altro quarto del processo che riguarda la chiamata di correo di cui mi toccherà di occuparmi, ve l'anticipo subito. Sono stato fino a ieri l'altro, sono stato ad angustiarmi: 'gliene parlo di questa cosa qui, o no? Gliela faccio questa ipotesi alternativa, o no?' Scusate il termine volgare. 'Parlo ai Giudici di questo?' Poi alla fine ho deciso di sì, per dovere il professionale, contro la mia profonda convinzione, in qualche modo forzando quella che io ritengo essere una componente fondamentale della mia vita, vale a dire l'onestà intellettuale. Cosa che mi ha sempre fatto un sacco di nemici, creato un sacco di problemi e di grane, fra parentesi. Anche perché io qui sono chiamato da Mario, figlio di Mario...
Mario Vanni: Eh, sì.
Avvocato Filastò: ... a difenderlo. Ma prima ce n'era un altro.
Mario Vanni: Eh?
Avvocato Filastò: Prima ce n'era un altro di avvocati, no?
Mario Vanni: Sì.
Avvocato Filastò: Il quale aveva la sua idea, che io rispetto, che io devo rispettare. Ma, insomma, non anticipiamo. Basti dire che non è stato facile per me affrontare questo processo e questa discussione. Molto complicato, davvero. Come è molto complicato questo processo, rispetto al quale, con tutti i problemi dei quali vi ha parlato ieri l'avvocato Mazzeo che riguardano proprio Lotti, Pucci, si poteva fare a meno del dibattimento. Giudizio abbreviato: c'era l'incidente probatorio, quell'incidente probatorio, vero. E io non ripeto nulla di quel che ho detto, ma ve lo ricordate, è tutto verbalizzato. E ho detto determinate cose su quell'incidente probatorio. Non ne tolgo nemmeno una virgola. Qualcuno si è risentito, ho sentito il capo degli uffici dei Gip ha fatto addirittura una presa di posizione sul giornale: 'l'avvocato Filastò si permette...'. L'avvocato Filastò, quando parla qui dentro, vero, nei limiti ovviamente della correttezza, della veridicità, della critica sacrosanta, dice quello che vuole. E non lo smonta nessuno. Nemmeno le più o meno larvate, chiamiamole, minacce del Pubblico Ministero. Quando dice: 'eh, questa cosa stava... qui ci sono solo delle insinuazioni, qualcuno se ne prenderà la responsabilità...', ma si capisce. Eh, perbacco! Fate, procedete, dite. Cascate male, da questo punto di vista; purtroppo è una cosa di famiglia, che devo fare? Meno male che c'è la legge. Meno male che c'è la legge che dice: no, guarda, si tratta di un processo di questa... no, bisogna farlo il dibattimento. E non funziona mica sempre, Presidente. Sa che, tempo fa, dovevo discutere in Corte di Appello un processo di omicidio risolto col rito abbreviato, a Pisa. Per dire, vero? Va bene. Vi ha già accennato il mio collega a questo richiamo costante, insistito, del Pubblico Ministero alla tranquillità dei Giudici. Tranquillità, tranquillo. I sinonimi sono: calma, quiete, pace, sicurezza, certezza, fiducia, cautela. Così leggo nel dizionario dei sinonimi di Gabbrielli. D'accordo, d'accordo, d'accordo. Anche io desidero che i Giudici arrivino alla loro decisione con calma e con quiete intellettuale. Ma che, soprattutto, questa calma, questa quiete intellettuale, questi Giudici la provino dopo la decisione. Quella quiete che si ha quando si è consapevoli di avere lavorato, sofferto, dubitato, approfondito. E, solo dopo, si raggiunge questa consapevolezza di aver preso l'unica decisione possibile. Non prima. No, come ha l'aria di ritenere il Pubblico Ministero, parlando di prove tranquille, di fatti I in contrapposizione con i dubbi, con le critiche. Non è che a questa tranquillità i Giudici possono arrivare senza sforzo - come vi ha detto - in un processo di questo genere. Tranquillamente, fino a dichiarare quasi inutile il dibattimento, o inutile del tutto il dibattimento, per quanto riguarda la posizione di Lotti. Se voi lo seguiste su questa strada, il Pubblico Ministero, voi non raggiungereste la tranquillità nel senso di quiete intellettuale, bensì raggiungereste qualche cosa che non è sinonimo di tranquillità. E' cosa diversa. Non è sinonimo di quiete, è una cosa diversa. E' l'acquietamento, è l'acquiescenza; che a sua volta la parola acquiescenza ha altri sinonimi. E i sinonimi sono: conformazione, rassegnazione. A che cosa? A quel che vi ha detto così bene il collega, citando Robespierre: alla forma, al nome delle cose. “Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus", dice Umberto Eco. La forma, il nome; confessione, testimonianza oculare. Certo, è più facile arrivare all'adattamento, alla disposizione, alla acquiescenza, che alla autentica tranquillità. In questo processo si arriva alla tranquillità col lavoro duro. E ve lo consiglio, di farlo, caldamente ve lo consiglio; lo consiglio a quel Giudice leale, almeno, che dicevo prima. Perché l'acquietamento o l'acquiescenza, attenzione Giudici, perché dura poco, dura. Poi non fa dormire la notte, si trasforma in tormento. Quando ciascuno di voi tornerà al suo lavoro, vedrà le persone che vede tutti i giorni, parlerà in casa, in famiglia non di quello che avete deciso, perché è vietato dalla legge, ma dentro continuerà a restargli questa spina. Quindi, fatelo; e, guardate, non è facile. Ve lo dico sinceramente. Io sono diventato matto. Io è settimane che non fo altro. Non vi accontentate dei ricordi, del dibattimento, delle impressioni. No. D'altra parte io so che il Presidente ha questo scrupolo. Mi conforta, questo, sono sereno da i questo punto di vista. Per fortuna, ora, questo sistema della trascrizione, così bene fatto da quel signor Tinnirello là, che è bravissimo, ha organizzato questa cosa come non avviene mai in nessun altro Tribunale d'Italia, eh. Voi avete questa fortuna, di avere una struttura di questo genere, che è la migliore. Io giro poco, ho visto. La migliore. Voi avete queste trascrizioni e potete... è duro, è lungo, ma l'avete già fatto sicuramente, avete già cominciato a farlo, ma rifatelo. Non c'è quasi limite. Naturalmente son ben importanti, perché voi vi rimetterete a rileggere tutta quella mattinata di udienza che alibiamo perso tutti qua, insieme, per sapere se Butini Graziano è finocchio oppure no. Di quello ne potete fare a meno, ne potete fare, vero? Non è finocchio: basta, fine del discorso. Però che c'è bisogno di andare a sentire, a rivedere tutto quello che, dice, ma lo toccavano, non toccavano, sotto i glutei, non i glutei? Insomma, accidenti. Una mattinata umiliante, umiliante. E non la sola, eh. Ce ne sono state altre. 

venerdì 16 ottobre 2015

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 5 marzo 1998 - Prima parte

Presidente: Allora, Nicla, diamo atto c'è Vanni col suo difensore, i due difensori. L'avvocato Mazzeo mi sostituisce anche Bagattini per Faggi. Fenies, Zanobini per Corsi. E Bertini per Lotti. Lotti c'è stamattina? No. 
(voce fuori microfono)
Presidente: Non c'è. E l'avvocato Voena per le parti civili, mi rappresenta anche le altre parti mancanti. Allora...
P.M.: Presidente, chiedo scusa. Un attimo solo. Volevo ottemperare a quella richiesta, che la Corte aveva fatto giorni fa, di depositare gli originali delle agende del 1981 sequestrate al Faggi.
Presidente: Sì.
P.M.: Il verbale di perquisizione e sequestro dovrebbe essere già in atti, dal quale risulta un particolare in più. Cioè, che le agende relative al 1981 sequestrate al Faggi sono due, in realtà, non una sola. E c'è quella di cui si parla un po' nel 1'annotazione della Polizia Giudiziaria, e della quale vi ha riferito in udienza il dirigente della Squadra Mobile dottor Giuttari, che è questa, è l'agenda marrone.
Presidente: Si.
P.M.: Che, risulta dal verbale di sequestro, fu reperita nella scrivania nella stanza adibita a studio nella abitazione del Faggi. È quella nella quale c'è l'annotazione famosa, alle date 21 e 22 del mese di ottobre dell'81, relativo alla gita a Celano Fucino, di cui fra l'altro ha parlato il teste Felli e che è stata oggetto di discussione da parte della difesa a dimostrazione del fatto che se era a Celano Fucino, il Faggi sostanzialmente aveva un alibi per quel giorno. Un esame del verbale di sequestro ha consentito, tuttavia, di identificare che era stata sequestrata una seconda agenda al Faggi, la quale era, diciamo, conservata nella cantina, nel garage del Faggi. L'esame che è stato fatto successivamente, cioè in questo giorni, proprio su impulso della Corte, ha consentito di verificare un elemento che non era stato apprezzato a sufficienza, in un primo momento. Cioè, in guesta seconda agenda, sempre del 19 81, che fra l'altro risulta essere l'agenda vera perché è piena di indicazioni - mentre l'altra che lui aveva nella sua scrivania, in fondo contiene pochissime annotazioni per quei giorni - dicevo, questa agenda vera mostra che la situazione obiettiva è diversa. Perché in questa seconda, che io dico vera, comunque poi la Corte apprezzerà - essendo documento è già sequestrato - la gita al Fucino viene diciamo spostata, o comunque collocata in date diverse, nel 4 e 5 novembre. Cioè, l'indicazione è identica, però è in date diverse. E corrisponde sostanzialmente a quella testimonianza in aula del Felli, il quale diceva di ricordare che la venuta del Faggi a casa sua corrispondeva alla fine di ottobre, primi di novembre di quell'anno, che era l'epoca della raccolta delle patate. Quindi direi, il dato obiettivo che risulta dai documenti ' sequestrati al Faggi, porta questa diversificazione di annotazioni, sulle quali poi in replica, ovviamente, il P.M. cercherà di fare le sue valutazioni, dal momento che è un elemento che è stato ancora meglio sviluppato a seguito della richiesta della Corte. Io mi sono premurato comunque di fare delle copie integrali di queste agende, che ho messo a disposizione già ovviamente dei difensori di Faggi, ne ho altre due o tre copie nel caso interessi a qualcuno degli altri difensori. Sono a disposizione. Per dovere, credo che sia opportuno che la Corte esamini anche — e per questo faccio la produzione - un'altra agenda: quella del '79, sempre sequestrata a Faggi e che era nel - come risulta dal verbale di sequestro - nel garage. Perché l'agenda del '7 9? Perché, come il teste Felli riferì in aula, le gite a Celano nel Fucino da parte del Faggi, le visite al Felli non sarebbero state una sola ma due. Il Felli colloca la seconda visita in epoca antecedente. Mi sembra di ricordare - ho riguardato il verbale - che dice negli anni '80-'81. Per la verità c'è, nell'agenda del '79, un'annotazione alle date del 23—24 ottobre del 19 7 9 di una gita a Celano nei giorni per l'appunto 23-24 ottobre. C'è una caratteristica: che questa annotazione è fatta esclusivamente a lapis, mentre tutta l'agenda, che contiene per la verità pochissime annotazioni, è scritta a penna. Anche questo sarà oggetto di esame da parte del P.M. in sede di replica. Anche di questa agenda io ho provveduto a fare copia, consegnandola ai difensori del Faggi. Se qualcuno ha interesse, degli altri difensori, io ne ho copia anche per loro. Deposito anche - per mero scrupolo, ma dovrebbe esserci già in atti, perché atto irripetibile - il verbale di sequestro di queste agende. Mi riservo poi in replica di spiegare il punto di vista del P.M.
Presidente: Va bene. Voglio solamente precisare che l'impulso della Corte era solamente relativo all'acquisizione dell'agenda '81 che non avevamo. Quindi, non sapevo dell'esistenza di questa seconda agenda.
P.M.: Sì, Presidente. Ecco, diciamo per non perfetto esame delle carte, non l'avevamo verificato a sufficienza, né la Polizia Giudiziaria, né il P.M. Però il dato obiettivo è che nel verbale di sequestro risulta chiaramente che furono sequestrate due agende dell'81 e credo sia mio dovere darle tutte e due; oltre che dovere è un elemento processuale molto importante, che cambia sicuramente quanto meno la discussione sulla posizione del Faggi. Perché qui c'è un alibi fallito. Ma questo è un elemento diverso, di cui i difensori di Faggi sono già a conoscenza. Essendoci anche l'altra annotazione sulla agenda del '79, ho ritenuto opportuno, per mio dovere, fornire alla Corte anche questo elemento obiettivo che risulta comunque da quel verbale di sequestro...
Presidente: Va bene.
P.M.: ...atto irripetibile, di cui la Corte doveva essere già messa...
Presidente: Va bene.
P.M.: ...non solo al corrente, ma a disposizione.
Presidente: Va bene. Un'altra precisazione. La necessità di questa agenda era in relazione a quanto affermò la parte civile, rappresentata dall'avvocato Voena, perché adduceva a un'annotazione proprio il giorno del delitto: 23 ottobre del '81.
P.M.: Esatto. Per correttezza, l'avvocato Voena... Ho fatto copie anche per lui e gli ho già depositato copie, di modo che, siccome ha concluso e ha diritto di replica, se crede, se ha qualcosa da dire, le carte sono a sua disposizione. 
Presidente: Certo.
P.M.: Tutti gli altri difensori che ne avessero bisogno, io ne ho copia. Ho interesse.
Presidente: Bene. Allora, possiamo iniziare. Avvocato Filastò, la parola a lei. Grazie.
Avvocato Filastò: Grazie, Presidente. Signor Presidente, Signori della Corte: buongiorno, prima di tutto.
Presidente: Buongiorno.
Avvocato Filastò: In questo processo, signori, si respira un'aria piuttosto viziata. Il processo è annoiato da un odore sgradevolissimo di saponetta da basso costo, da toilette, se mi capite. Accanto ai delitti, atroci, terribili, di cui si dovrebbe occupare questo processo, accosta questa sessualità "meschina", per usare un aggettivo che non è mio ma che è di Gabriella Ghiribelli: "mignotta sì, ma meschina no". Meschina, povera, triste. E questo odore fastidioso permane, a sproposito, come vedremo. Suggestivamente a sproposito in questo processo. E quindi consentitemi, prima di tutto, di aprire la finestra, fare entrare un po' d'aria più pura, comunicandovi una specie di atteggiamento, che è di questo difensore quando, una volta ogni tanto, i ritmi sono lenti. Lavorini, strage di Petriano, Italicus, 904. Gli capita a questo difensore di entrare dentro a uno di questi mastodontici processi di cui si nutrono a volte le nostre aule giudiziarie, con queste carte che non finiscono più, con questi armadi di carte.xE mentre lavoro, studio - sono abituato a studiarli i processi, mi hanno insegnato così - mi capita, come dire, di provare una specie di affetto per i Giudici che poi mi ascolteranno. Non voi, non personalmente voi. Un Giudice ideale - che mi auguro non metafisico, però - e son confortato in questo atteggiamento mentale dalla memoria di un grande giurista, umanista, grande scrittore anche, Piero Calamandrei. Il quale, su questo Giudice, ha scritto un bellissimo libro che si chiama "L'elogio dei Giudici". E questo Giudice ideale, vedano, rispetto al quale io provo questo sentimento di affezione, è un Giudice terzo, prima di tutto; e siccome la parola è significativa, però bisogna, dal significante, passare all'autentico significato. Terzo che significa? Significa non burocratico, prima di tutto. Significa separato, discinto da qualsiasi bureau, da qualsiasi ufficio, inteso come struttura, come istituzione. Significa non solo capace di ascoltare le ragioni delle parti, ma anche di esser libero - libero, davvero libero - da tutte le suggestioni, che tanto più ci sono, esistono, son nell'aria, insieme a quell'odoretto che dicevo prima, a quella piccola puzza di cui facevo riferimento prima, c'è poi questo clamore intorno a questo caso, che è dato da anni e anni e che riempie le cronache dei giornali, non solo, ma le conversazioni, le analisi, i discorsi, le opinioni. Chiunque di voi, prima, prima di diventar Giudici di questo processo, ha avuto la sua idea sul Pacciani, è inutile nasconderlo. Innocente o colpevole? Eh, come si fa? È difficile esser terzi da questo punto di vista, esser terzi anche nei confronti di Pietro Pacciani, defunto, è difficile; ma necessario, Signori, indispensabile per voi. Giudice terzo e instancabile, scrupoloso fino alla pignoleria. E fra poco vedremo fino a che punto ce n'è bisogno di questo sguardo attento, profondo, che guardi le carte - perché si tratta anche di guardare le carte - le legga, ma le legga bene, non come qualcuno, qui, le ha lette; sbagliando, incorrendo in un infortunio grave, prendendo poi spunto per dare lezioncine di deontologia agli altri da questo errore. E anche, se volete, immaginativo, quando occorre. Di quella immaginazione galileiana, sapete: "Se taluno ha una cosa da trovare, ha da far lavorar la fantasia e giocar di invenzione e indovinare." Lo disse Galileo Galilei questo. C'è bisogno anche talvolta di far quel salto, quella che un filosofo americano, pragmatista, chiama "abduction", abduzione; fondata, certo, fondata su dati obiettivi, seri. E poi, dove non si può arrivare, ecco, sì, anche questa. E mai preconcettuale, mai. Tabula rasa fino alla decisione finale, ma non soltanto sul tema principale; no: su ogni singolo argomento, su ogni singola questione, scevro da preconcetti e mai indifferente. Sopra Vicchio, o Ponte a Vicchio, sopra quella via Sagginalese, un po' più in là, un po' più su, su quei monti, che sono le propaggini dell'Appennino, c'è Barbiana, l'ho visto passando, la freccia: Barbiana. Io ci andavo, lo conoscevo don Milani. Un uomo straordinario. Don Milani sulla lavagna ai suoi ragazzi, quando cominciava la scuola, il primo giorno scrive: "I care it", mi riguarda. Non c'è niente che non vi riguardi in questo processo. - Qualcuno vi ha detto - voi sapete, c'è stata anche un po' di polemica - ma noi abbiamo questi delitti, il convento passa questo. L'accusa ha circoscritto la materia entro questi binari e qui dovete restare. No, no, no. "I care", vi riguarda. Vi riguarda il '68, vi riguarda il '74, vi riguarda l'81 di giugno. Eccome se vi riguarda. E non solo questo, ho fatto ora qui l’esempio più cospicuo. Ci sono altre cose che vi riguardano in questo orrendo processo, orribile, il pasticcio più perverso nel quale mi sia mai imbattuto in 35 anni di carriera. 

giovedì 15 ottobre 2015

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 4 marzo 1998 - Sedicesima parte

Segue dalla quindicesima parte

Avvocato Mazzeo: Vi ricordate il delitto del '74 che, chissà perché non fa parte di questo processo? "Introduzione nelle cavità anale o vaginali di oggetti che feriscono, contundono." E poi sapete che aggiunge il professor Fornari? "Asportazione dei genitali e delle mammelle." Ma qui ci aveva in mente "il mostro di Firenze". Perché quello nel '74, ha fatto quelle operazioni orrende di introduzione negli orifizi, eccetera. Poi, a partire dall'81, comincia con le - diciamo - le eufemistiche escissioni alla zona genitale; e poi la progressione - per usare un termine usato per altre cose - dalle escissioni... Quindi introduzione nelle cavità vaginali; poi escissione nelle parti genitali; poi escissione esportazione delle mammelle. E' un crescendo, un crescendo. Logico, eh. Descritto, studiato. "Mutilazione corporea, introduzione nella cavità anale o vaginale di oggetti che feriscono o contundono, asportazione dei genitali e delle mammelle.” E poi, si arriva in questo crescendo mostruoso - appunto, la parola è questa - "suzione del sangue, vampirismo, nutrizione con le carni della vittima, cannibalismo." E chi lo sa? Boh! Potrebbe essere anche il nostro caso. "Questa può essere indifferentemente" – aggiunge il professor Fornari - "un uomo, una donna, un bambino, o un animale." "L'omicidio per libidine..." Abbiamo presente le due contestuali e assolutamente incompatibili motivazioni che ci ha illustrato il Pubblico Ministero: personalità sadica, omicidi... "Per piacere ci piaceva farlo, ci piaceva vederlo fare." Molto terra terra, descriverlo in questo modo, ma sono le parole dei protagonisti, no? Del Lotti, e, però, anche scopo di lucro. E allora, parliamo della prima. "L'omicidio per libidine è il termine con cui si è voluto designare l'espressione estrema e fortunatamente eccezionale..." - perché non è una casistica eccezionale quella di cui vi state occupando? Quanti precedenti ci sono qui? -"asportazione del pube, delle mammelle. Quindi espressione estrema e fortunatamente eccezionale di sadismo sessuale - personalità sadica del Vanni - che in siffatti soggetti non rimane mai un atto isolato, purtroppo, tranne che vengono presto arrestati." Ahimè non è stato così, ce ne sono state un sacco di persone, in questa storia; ma erano tutti innocenti. Come ha, con molta lealtà, riconosciuto lo stesso Pubblico Ministero. "Tranne che vengano presto arrestati, cosa tutt'altro che frequente" - attenzione Signori: cosa tutt'altro che frequente - "dato l'aspetto formalmente corretto e il comportamento ineccepibile di questi soggetti, guando si trovano tra gli amici, sul lavoro e nella famiglia. Infatti, si tratta di persone che uccidono ripetutamente ad intervalli di tempo variabili con una coazione al ripetere che viene fermata solo o dal loro arresto o dalla loro morte". Fornari: "Trattato di psichiatria forense", Torino 1997, pagina 347. Addirittura, qui si parla di persone dal comportamento ineccepibile; mentre invece, la personalità sadica, "sadismo sessuale-feticista del Vanni" viene in qualche modo supportata da "indizi" del Pubblico Ministero che, invece, denoterebbero una personalità non proprio ineccepibile. "Ineccepibile tra gli amici, sul lavoro e nella famiglia". Esattamente il contrario, proprio diametralmente opposto: come paragonare un topolino ad un elefante. Ecco, alcuni dati qui, oggettivi, che sottopongo alla vostra riflessione, con riferimento proprio a questa storia, a questa tematica del movente. Siccome il Pubblico Ministero, anche nella sua esposizione conclusiva, ha insistito nell'ipotesi del commercio dei feticci, no, s'è detto, la suggestione, il patrimonio del Pacciani, lui che regalava soldi alla nipote è diventato riscontro oggettivo, no. Dice: commercio dei feticci. Allora, io vi dico, per cortesia, volete gentilmente, nella vostra sentenza, spiegarvi se la ragione non è quella esemplificata dal professor Fomari, la ragione di questi omicidi. Cioè a dire: personalità sadica sessuale, feticista, che arriva in un crescendo all'asportazione e al cannibalismo. Se noi abbiamo a che fare non con una situazione di questo genere, ma con una situazione di commercio. Il sadico-sessuale- feticista, non fa commercio dei suoi feticci, no, mi pare evidente. Se li tiene per sé, se li conquista, sono le sue prede. Allora, se abbiamo invece a che fare con una situazione di commercio, proviamo a immaginare invece, no... addirittura mi pare che qualche collega che mi ha preceduto della parte civile, abbia, con una fantasia di cui gli devo dare atto, introdotto una differenziazione, addirittura, di personalità, tra Pacciani e Vanni e Lotti. Mi pare sia stato detto qualcosa su questo genere che, in Pacciani era prevalente l'int... tra questi due, sadico-sessuale-feticista e commerciale, era prevalente l'interesse commerciale, infatti c'ha un sacco di soldi. In Lotti, doveva essere prevalente l'elemento sadico-feticista-maniacale, in Vanni, pardon; e in Lotti, invece, era l'utile idiota. Ora, questa... siamo tutti bravissimi, partendo da una premessa sbagliata, ad arrivare a conclusioni disastrose. Perché disastrose? Perché non hanno un mi ni hip di appiglio nella realtà di questi fatti e di questo processo. Allora, pensiamo un attimo al fine commerciale. Intanto il fine commerciale fa a pugni, ma proprio a pugni, eh, a pugni sul muso col fine sadico-sessuale-feticista, perché il feticista il feticcio se lo tiene, perbaccoI Perché gli ricorda il piacere intenso che ha provato e lo ripete. Studiato, studiatissimo anche questo. E poi per altre ragioni, molto più... molto meno psichiatriche ma molto più fattuali. Come si spiega, in una causale o movente di tipo commerciale, come si spiega l'invio alla dottoressa Della Monica del brandello di seno della povera signora francese? Perché? Non si spiega. Dice: ma erano due scopi co... coesistenti. No, signori, ma smettiamole, eh, di fare due parti in commedia! E allora insisto, come si spiega l'uccisione di coppie in un movente di tipo commerciale, in cui l'oggetto dell'interesse è rappresentato esclusivamente dalla donna? Siamo d'accordo su questo, no. Le escissioni le subisce solo la donna, gli squartamenti, i feticci. Perché mai allora andare a cercare sempre delle coppie? Mai donne sole. Se lo scopo era di fare soldi, molto più facile, molto meno pericoloso aver a che fare con un doppio omicidio, con uomo che può reagire molto meglio di una donna. Ricordiamo Baccaiano. Si dice, poi si vedrà se era vero, che inizi di reazione ci sarebbero stati. Questo nella ricostruzione, che io non condivido, del Pubblico Ministero. Ma perché, insomma, uno che vuol fare commercio di guesti reperti anatomici deve indirizzarsi, esclusivamente poi, eh - esclusivamente - verso coppie e mai verso donne sole, dove la cosa è molto più facile, molto meno complicata. E che è, un autolesionista questo? Qui bisogna spiegarlo. La spiegazione l'ha data magnificamente, secondo me, il commissario Perugini. Io dico, se lo scopo era di commerciare dei feticci, perché mai prendere di mira proprio delle coppie? Inspiegabile e più rischioso. Vi ricordate il dottor Perugini cos'ha detto? Dice: "All'assassino" - dice - "interessa non la donna in sé, ma la donna inserita in ima situazione di coppia." E questo non c'entra niente con l'intento commerciale. "È una fantasia precisa" - il dottor Perugini la chiama - "fantasia sadica, talmente intima che" -dice lui - "è difficilmente condivisibile con altri.” Lasciamo perdere, però l'in... Allora, l'intento commerciale, qui bisognerà spiegare, l'invio del brandello di seno alla dottoressa Della Monica. Perché prendere di mira delle coppie e non delle donne sole? Guardate, questo è un macigno, eh. E' un macigno che si frappone fra voi e la vostra decisione di avallare un movente sul genere di quello che vi è stato proposto. E poi perché adoperare sempre la stessa arma? Come dicevo prima. Ancora una volta, se l'intento è commerciale, ma che sono dei matti autolesionisti questi? Dire la stessa arma, significa, l'ha detto il dottor Perugini: sono io, guardate, sono io, io sono un fenomeno e voi siete dei bischeri - come si direbbe a Firenze - perché un mi trovate, ma sono sempre io. Perché la stessa arma è una preziosissima informazione nelle mani degli inquirenti, e uno che abbia semplicemente un intento commerciale, di andare a vendere al dottore di San Casciano che si ferma nel piazzone, va bene, a chiedere indicazioni sulla strada del Pacciani, questi reperti che vengono pagati centinaia di milioni, ma che, ma per l'amor di Dio! Ma va a cercare donne sole, usa quello che gli pare, quello che gli pare, certo non la firma, certo non sempre la stessa pistola. E vediamo un po' come si fa a conciliare queste due cose. E infatti, il movente... c'è un principio di indagine poliziesca in base alla quale il movente è sempre debole quando non appare adeguato alle circostanze. Questo signore, John Douglas, è stato un funzionario della CIA e di quella scuola dove poi è stato anche il dottor Perugini, il quale, a proposito del movente - sta parlando un poliziotto, sta parlando un inquirente - fa una serie di osservazioni brevissime. Dice: "Il movente" - dice - "è uno dei punti più spinosi dell'analisi investigativa criminale e anche uno dei più critici. Se non si chiarisce perché è stato commesso un particolare delitto, è difficile arrivare a una conclusione significativa sul comportamento e sulla personalità dell'autore del reato". E quindi aggiunge poi: "Se una volta esaminato quello che è sulla base della scena e delle circostanze del delitto," - arriva l'inquirente: scena, circostanze del delitto, escissioni, asportazioni, squartamenti, esaminato questo, va bene - "se una volta esaminato quello che dovrebbe essere il movente ci si accorge che è debole," -movente commerciale: uno guarda questi poveri corpi femminili martoriati, gli viene in mente il movente commerciale, gli parrà un po' debole, sulla scena del delitto? O situazione di coppia, no - "se una volta passati al setaccio tutti gli altri motivi 'logici'" - tra virgolette, va bene -"non si riesce a individuarne nessuno di convincente e adeguato alle circostanze, allora è il momento di avventurarsi in territorio psichiatrico." E qui il territorio psichiatrico, non campagnoli, uomini normali, ma con delle perversioni che sono qualche cosa di più rispetto al vizietto di provincia; no, Signori, no, qui il territorio psichiatrico è una cosa seria. Era un obbligo, è un obbligo per voi. Lo era per gli inquirenti, lo era per voi a maggior ragione. Esaminare questo aspetto che è assolutamente incompatibile con l'aspetto commerciale. Perché se noi diciamo che questi erano dei sadici - vogliamo dire questi perché ormai si sta usando il plurale e dice che erano più di uno, va be' -dei sadici-sessuali feticisti, il feticcio non lo vendono, le coppie non le aggrediscono, quelli che vogliono vendere, aggrediscono le donne sole. Quindi, il movente proposto dal Pubblico Ministero non so che... che è molto importante perché... e poi è la luce che deve illuminare il resto del percorso, eh, perché sennò porta in direzione diametralmente opposta, non soltanto è debole in questo caso, ma è addirittura contraddittorio. Ancora peggio, quindi, che debole. È equivoco, contrasta con questi dati. E quindi, conclusivamente, nell'esposizione, nell'orazione del Pubblico Ministero egli si è permesso di far proprie, dice lui, una espressione adoperata da uno dei disgraziati parenti delle vittime, il quale, con tutta la comprensione che gli si può dare, ma certo anche col grado di obiettività che gli si deve riconoscere stante la sua posizione, ha detto: 'sento sapore... sento finalmente sapore di Giustizia', e il Pubblico Ministero l'ha fatta propria: "Sento finalmente sapore di Giustizia". Signori, io sento lezzo, tanfo, di errore giudiziario. Un'altra volta, sarebbe l'ennesima, Signori, perché se esiste l'esigenza di assicurare alla Giustizia i colpevoli, esiste un'esigenza moralmente e giuridicamente superiore. Vi ricordate la massima giuridica: "In dubio prò reo"? Non è il nostro caso, non c'è neanche dubbi qui. Ma quella massima indica che l'esigenza non solo morale ma anche giuridica superiore è quella di impedire che un innocente sia condannato. C'è una graduatoria. E perché è un'esigenza morale e giuridica superiore a quell'altra? Detto comune, no: "Meglio cento colpevoli fuori che un innocente dentro", parole molto povere. Ma il Legislatore l'ha fatta propria questa cosa. Perché se noi mandiamo condannato un innocente, commettiamo due ingiustizie, non una, due. L'ingiustizia nei confronti dell'innocente e l'ingiustizia nei confronti del colpevole vero. Perché in questo modo impediamo, facciamo sì, sostanzialmente, di fatto, dando una patente di positività alle indagini sin qui condotte, suggellate dalla vostra sentenza eventualmente di condanna, noi impediamo che in questo modo, va bene, le indagini proseguano, che ci sia almeno una speranza, che proseguano, che quella porta rimanga aperta verso un'indicazione finalmente precisa, chiara nei confronti del colpevole vero. Guardate, io ho visto in questo processo, ho visto, ho visto delle persone serie, innamorate del loro lavoro, leali, che hanno sofferto per anni su questa storia, il dottor Perugini, il professor De Fazio con tutta la sua equipe; ho visto delle persone sinceramente, sinceramente, interessate alla verità. Una sentenza che rappresentasse una patente, un passaporto per questa ennesima indagine, dopo tutte le altre che sono andate in malora, significherebbe una doppia ingiustizia, significherebbe anche che quello può stare finalmente tranquillo se non è morto, e chi s'è visto s'è visto. Ma è mai possibile che in Italia ci debbano sempre considerare come dei bambini incapaci di ragionare, incapaci di conoscere la verità oltre ogni apparenza o suggestione? Non ve la prendete questa responsabilità nei confronti della verità e della Giustizia. Ovviamente non vi prendete questa responsabilità nei confronti di un innocente, ma non vi prendete anche questa responsabilità di un "de profundis" finale e definitivo nei confronti delle indagini, che saranno state sbagliate, saranno state sofferte, ma ci sono delle persone serie, competenti, leali, sincere, innamorate del loro lavoro, che forse potrebbero darcela una risposta. Tocca a voi decidere se deve essere chiusa quella porta oppure no. E allora quale viatico, quale viatico per voi che vi accingete a prendere la decisione? Non possono bastare le mie parole, no, proprio per quella misteriosità della funzione che vi andate, che vi accingete a svolgere: quella della Giustizia; questa statua enorme alla cui ombra, che è la Legge, voi dovete almeno a quell'ombra rimanere ancorati. Non possono bastare le mie parole. Forse può servire di più un'invocazione, un'invocazione alla misericordia, alla misericordia, che non è quella banalizzazione in mezzo alle tante in cui viviamo, che. . . secondo la quale la misericordia sarebbe la pietà verso il colpevole. No. Guardiamo il vocabolario, la misericordia ha un significato ben più alto, ben più misterioso. Misericordia significa: volgere l'animo all'infelicità, volgere l'animo alla sofferenza di chi andate a giudicare, e cioè non perdere di vista la sua umanità, nonostante tutti i tentativi che sono stati fatti per privarlo, spogliarlo della sua persona umana. Egli è come noi, è simile a noi e va giudicato con la mente oltre che col cuore, ma con la mente, in base non al fumo. Il proverbio dice: "Cento conigli non fanno un cavallo", ma senza cavalli non si arriva alla verità, qui. E questa invocazione, ovviamente, non è mia, ma riguarda proprio voi, è un'invocazione ai Giudici, ed è di un uomo che ha scritto pochissimo nella sua vita e che è sempre riuscito a mettere d'accordo laici e credenti e a far provare a tutti quanti una forte nostalgia per quello che noi uomini potremmo essere, per quello che potremmo fare di bello e di buono e che non riusciamo mai a fare. Si tratta di Francesco D'Assisi dalla "Lettera a tutti i fedeli", Capitolo V: "Coloro poi che hanno ricevuto la potestà di giudicare gli altri" - quindi voi - "esercitino il giudizio con misericordia, così come essi stessi vogliono ottenere misericordia dal Signore. Il giudizio, infatti, sarà senza misericordia per chi non ha usato misericordia." Vi chiedo l'assoluzione di Mario Vanni per non aver commesso il fatto. 
Presidente: Allora, si rinvia a domani mattina alle 9.00. Nuova traduzione del Vanni. L'udienza è tolta.

mercoledì 14 ottobre 2015

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 4 marzo 1998 - Quindicesima parte

Segue dalla quattrodicesima parte.

Avvocato Mazzeo: Se voi andate a guardare, acquisiti agli atti, Signori, il verbale del 9 febbraio, dice: "No, io ho visto sparare, ho visto; io ho visto tutto." Quante volte lo ha detto e rideva anche. Qualcuno lo ha richiamato dice: 'Guardi, non c'è niente da dire, lo sa?' Dice: "Scappano quando vedono Pacciani inseguire sparando il ragazzo e Vanni entrare nella tenda." Versione numero 3, 9 febbraio 7 96: "Scappò via insieme al Lotti.” Poi dice: "No, Lotti rimase a guardare e lui lo aspettò davanti all'auto, vicino alla strada, per una mezz 'ora.” E insiste, glielo hanno chiesto diverse volte: "Ma è sicuro?" "Sì, sì, una mezz'ora.” Volume II, pagina 48-49 dell'esame dibattimentale. Poi: "Sentì sparare due colpi” - attenzione al due, eh, noi sappiamo ne furono sparati nove, tutto il caricatore - "sentì, sentì" - udire -"sparare due colpi." Volume II, pagina 47. E qui, una riflessione ci vuole. Siccome lui, poi vi dirà - e ve lo dico io — che sentì distintamente, molto distintamente il sinistro rumore che faceva lo strappo della tenda, con il coltello. Lo descrive in due modi diversi, ma insomma, lui c'ha un udito molto raffinato. Perché insomma, che è a una certa distanza, ha sempre detto, lui, che era a una certa distanza, come minimo, se non addirittura vicino alla macchina per una mezz'ora; però ha sentito questo sinistro rumore. E perché sente questo sinistro rumore? E poi sente solo due colpi di pistola, e non nove? Cosa è più forte? Il sinistro rumore del coltello che strappa la tenda, oppure i colpi di pistola? Colpi di pistola ne ha sentiti sparare due. Volume II, pagina 47. Poi dice: "Sentii grida di donna provenire da dentro la tenda." Questo lo dichiara nel verbale del 9 febbraio del '96. Però qui, nel Volume II, a pagina 41 dice, nella stessa pagina: "No, non sentii nulla." Poi dice: "Non ne sono sicuro." Quindi ha detto tutte e tre le cose: "Sentii", "Non sentii", "Non sono sicuro". Poi: vidi Vanni entrare nella tenda dall'apertura che vi aveva praticato. Verbale 9 febbraio '96: "Non lo vidi entrare." Volume II, pagina 38: non sa se Vanni andò nella tenda o dietro la tenda. Volume IV, pagina 21, qui. Poi dice, insiste: "Si sentì due spari appena ci fermammo per fare pipì." Volume II, pagina 63. Poi dice: "Vide il coltello?" "No, non vidi il coltello, ma sentii il rumore che faceva brrr." È trascritto così: b-r-r-r, così. Volume II, pagina 37. Però nel volume II a pagina 56, dice: "E poi si sentì fare zumm! come strappo, no, la tenda!" Vabbè, lasciamo perdere: brrr, zumm. Però, perché mai sente due colpi di pistola, se è così preciso e attento nel sentire lo strappo nella tenda? Oh, Signori della Corte! Poi: "Si guardò la coppia nella tenda fare all'amore anche all'andata, nel pomeriggio di quella domenica." Volume IV, pagina 7. Però, il 18 aprile del '96, aveva dichiarato: "Della domenica prima dell'omicidio, che eravamo stati e avevamo visto la coppia fare all'amore." Che, poi, le circostanze, spazio-temporali di questo vedere la coppia fare all'amore, io rimando alla lettura del verbale di questa udienza. Anche questo è assolutamente inverosimile: "Noi ci avvicinammo vicino all'apertura principale della tenda e stemmo lì a guardare questi due disgraziati.” Qualcuno gli fa notare: "Ma scusi, ma come è di pomeriggio, sole... non vi hanno visto." "No, no, eh", risposta proprio. Dice: "Ma loro erano impegnati a fare l'amore, figurati se guardavano noi!" Vanni gli disse che Pacciani aveva una pistola. No, non glielo disse. Volume IV, pagina 14. Poi parla di Vicchio e dice: "A Vicchio ci andò con il Lotti, prima", poi dice: "No, dopo l'omicidio," Volume III, pagina 54. Qui mi ero segnato "leggere", non lo leggo; leggetelo voi. Sul movente, però, è interessante. Volume I, pagina 62 e 69, testuale: "L'avrebbero ammazzati, perché la ragazza..." Ah, sta parlando di Vicchio. Questo è l'unico caso, forse, in cui Pucci dice la stessa cosa che dice il Lotti. Cioè, dice una cosa di una assoluta inverosimiglianza, ma addirittura è una cosa che offende anche le vittime. Ecco, sì. Oltre ad offendere l'intelligenza, la sensibilità ed il cuore di chi deve ascoltarlo. Ed io non voglio fare più ironie, come ieri, i commenti giornalistici, una volta tanto appropriati sui "Casanova con la panza rasoterra." Sapete che dice? "L'avrebbero ammazzata, perché la ragazza non voleva fare l'amore con loro." Mah, cosa ci tocca sentire? "Andavano a Vicchio a trovarla, ma lei non cedeva alle loro proposte e per questo la volevano ammazzare." Qualche amenità, invece va... amenità si fa per dire, eh. Qualche tragica precisazione, per così dire, di questo cosiddetto testimone. "Lui è venuto, si è presentato, si è sottoposto alla fila incrociata delle domande." E che vuol dire che sia venuto e che si sia presentato? Bisogna vedere cosa ha detto. E dice, ad un certo punto, il Pucci - anzi è ricorrente questa cosa - proprio durante l'esame, continuamente fa riferimento, ma dice: "Ma nel foglio icché c'è scritto?” Nel foglio sarebbe - si capisce - le precedenti dichiarazioni rese alla Polizia Giudiziaria o al Pubblico Ministero prima del dibattimento, e lui è un continuo dire: "Ma nel foglio, ma che c'è mica scritto così?” "No", dice il Pubblico Ministero. "No, no", dice Pucci. Pagina 52, fascicolo 31, udienza 6 ottobre '97. Sapete che dice? "No, lo voglio sapere icchè c'è scritto nel foglio. Lo voglio sapere, perché voi scrivete un monte di robe ; io non me lo ricordo." Ed insiste. Giustamente il Pubblico Ministero gli fa notare: "No, ma lei non si deve ricordare cosa c'è scritto qui, capito signor Pucci? Lei si deve ricordare se questi discorsi li ha fatti e se sono veri?" "Ma io non me lo ricordo." Poi ci torniamo eh, su questo 'non me lo ricordo'. "Però vede se non se lo ricorda ora, è un fatto" -dice il Pubblico Ministero - "se non se lo ricordava nemmeno prima, è un altro." E sapete che risponde il Pucci? "Non me ne ricordavo nemmeno prima, sicché..." "Non me ne ricordavo nemmeno prima" - pagina 53 -"sicché..." 'Ora che vuole? È da tanto tempo, chi se ne ricorda? Bah!' "Non me ne ricordavo nemmeno prima." E, nel frattempo, interviene il callido assassino che dice: "Sono innocente, io non ho fatto nulla, non sono stati boni di trovare il 'mostro'." Ed insiste il Pucci, lo dice Vanni che non sono stati buoni di trovare il "mostro", Signor Giudice a latere. "Ma allora la mi legga”- insiste il Pucci anche con il Presidente - "la mi legga, perché io non me ne ricordo, mica." "Presidente" - interviene il Pubblico Ministero -"parli piano, per cortesia. Abbia pazienza, sennò." Dice: "Con lui va parlato piano." Il Presidente se n'è accorto. "Non me lo posso ricordare." Il Presidente: "Vede che ha difficoltà, poi, a rendersi conto di tutto." No ed insiste, insiste il Pucci. "No, vu mi fate dire le cose che un le stanno bene, eh, abbia pazienza. Va bene, ma io non mi ricordo nemmeno icchè mangiai ieri sera. La si figuri se mi ricordo dell'anno scorso!" E può bastare. Ma quello che non basta è un'altra cosa. Sapete Signori della Corte - ve li do se volete risparmiarvi la fatica - quanti "non mi ricordo" ho rilevato nella deposizione, cosiddetta testimoniale, del Pucci? Quanti "non ricordo", sapete quanti? 123. 123, non uno, due, tre, tredici o ventitré: 123. Lo dico per i Signori Giudici popolari, esiste un reato che si chiama testimonianza falsa o reticente. Chi è reticente? È chi risponde, ma molto meno di 123 volte "non mi ricordo". In un unico contesto: 123, Signori della Corte. Ed il pubblico Ministero, sapete come lo definisce questo testimone nella sua esposizione conclusiva? Testuale: "Lucido, lucidissimo, attentissimo nel controesame; noi abbiamo nei suoi confronti un debito totale di credibilità." Qui cascano le bra. . . ma cosa ci può essere di enorme, di altrettanto enorme? L'invocazione di Marco Antonio davanti alla bara di Giulio Cesare? "oh, giudizio, ti sei rifugiato presso bestie brute e gli uomini hanno perso la ragione." 123 "non ricordo." Non mi risulta che si stia procedendo per testimonianza reticente contro quest'uomo. "Abbiamo nei suoi confronti un debito totale di credibilità." "Debito totale di credibilità", uè, ma non siamo mica al mercato, eh. Qui, non si tratta di presentare col dolus bonus, come bella una merce che è scadente. Qui si ragiona sulla carne viva delle persone. 123 "non ricordo", 123. Debito totale di credibilità. A voi, il giudizio. E, adesso, mi avvio alla conclusione con qualche breve notazione essenziale, fondata sugli atti, che si riferisce al movente. Come ha illustrato il Pubblico Ministero e come illustravo brevemente prima, la Giurisprudenza, ritiene che il movente non debba essere necessariamente un elemento decisivo, da prendere in considerazione ai fini del giudizio. Perché il Diritto si occupa dei comportamenti esteriori delle persone; per cui se si raggiunge altrimenti la prova che Tizio ha fatto questo, che questo è un reato, io posso arrivare a condannare Tizio senza lambiccarmi il cervello sul movente. Però, dice anche la Giurisprudenza costante: "La causale o movente" - va bene - "assume rilievo anche decisivo ai fini della individuazione dell'autore del reato; allorché si tratti di un processo indiziario, potendo essa, in tal caso, costituire oltre che di per sé un grave indizio" -di per sé, un momento, un grave indizio -"l'elemento catalizzatore e il filo logico per il coordinamento degli altri elementi positivi di responsabilità, o di colpevolezza emersi a carico dell'imputato; così da attribuire al complesso degli stessi, la necessaria" - la necessaria -"sicura univocità." Guardate che bel linguaggio anche quello giuridico, a volte. Somiglia un po' alla matematica. Il tentativo sofferto, doloroso, doloroso, del Giudice di fronte a gualche cosa che è immensamente più grande di lui: la giustizia; di cui la legge è solo l'ombra. Ma noi sappiamo che dobbiamo stare sotto l'ombra della giustizia, dobbiamo stare dentro la legge. Almeno questo possiamo farlo. E questa è Cassazione 17 maggio dell'83, Pardea: "Che comunque trova una serie di conferme, in ordine cioè, alla necessità del movente che diventa, a volte di per sé, specie nei processi indiziari, elemento necessario, indiziante." Cassazione 7 febbraio '96 - '96, questa è recente - numero 1428, Riggio: "In relazione all'affermata necessità di accertamento della causale." In guesto stesso senso, Cassazione 21 aprile del '94, numero 4589. Quindi, il movente. Si è illustrato prima come la pensa il Pubblico... come la pensa l'inquirente, ecco, in ordine al movente in questa vicenda. Non c'è la mano unica, non si tratta del serial-killer del "mostro", che poi non ha spiegato che cosa sarebbe questo "mostro", però dal tono e dal linguaggio che ha adoperato sembrerebbe che, chissà perché, nel linguaggio comune il "mostro" dovrebbe essere una specie di super io, super... di extra-terrestre. No, no. Cioè, è una figura disgraziatamente presente, presentissima nella nostra vita civile, nelle società civili è studiatissima - tra l'altro - perché ha delle costanti anche di comportamento. Comunque, dice: "No, non sono 'mostri', sono campagnoli, uomini normali con delle perversioni." Già questo ci fa addentrare ulteriormente in questa cosa. Perché nella memoria - per esempio scritta - del Pubblico Ministero del 23 dicembre del '97, quando egli insisteva perché fossero negati gli arresti domiciliari a Vanni, egli lo ha continuato a definire "personalità sadica". Ma, qui si dice delle cose. . . "Le parole sono frecce", dice la Bibbia, no? Le parole sono pistole cariche nei processi. Dico "personalità sadica" è una cosa ben precisa; non è che uno può dire "perverso, personalità sadica", e si rimane sempre, così, nel vaqo. No, eh. "Delitti" - li definisce nella sua esposizione finale - "delitti a sfondo sessuale." E siamo sempre nel vago. Però "personalità sadica" è un concetto molto preciso, molto preciso. Anche se non viene sviluppato dal Pubblico Ministero è un concetto scientifico, addirittura eh. "Personalità sadica", in questo caso - con riferimento agli esiti delle perizie medico-legali - è personalità sadica feticistica. E, però, siccome si diffonde, il Pubblico Ministero - sempre a proposito del movente - ha parlare degli indizi, secondo lui - ancora una volta quest'uso così improprio, così contro la legge della parola indizio - della personalità sadica del Vanni, io li ho elencati. Gli indizi, che secondo il Pubblico Ministero, sarebbero sintomatici di un concetto - come quello che poi illustrerò - di personalità sadica del Vanni, tale da renderlo verosimilmente capace di compiere le cose che vediamo, che abbiamo visto, che sono agli atti, sono: il possesso di falli di plastica, la preferenza per il rapporto anale, l'aver percosso la moglie in una circostanza, la frequentazione abituale di prostitute. Poi, ho sentito parlare di una stanza, di uno che apre una porta, un mago con un mantello rosso, non mi ricordo, non lo dico. C'è nella requisitoria del Pubblico Ministero, c'è però quest'altra. Ma, io, ancora una volta vi dico: Signori, questi non sono indizi. Queste sono suggestioni. La suggestione che fece vedere, nei Giudici di Milano della peste del 16 30, in quei signori intravisti da qualcuno - falsamente - a spalmare qualcosa di non meglio identificato sui muri, li ha fatti vedere come i propagatori della peste. E poi, non sapevano ancora che la peste, comunque sia, non si propaga così. Queste sono suggestioni. Si vuole, si vuole trovare, si vuole far entrare un quadro in una cornice prefabbricata e il quadro è o troppo corto o è troppo grosso; dei pezzi devono rimanere fuori: dei pezzi di verità devono rimanere fuori. Ma, insomma, che cos'è un assassino sadicosessuale? Perché - secondo la mia modestissima opinione - il Pubblico Ministero è come se avesse voluto paragonare con questi elementi raccolti, con questo frugare impudico nella vita privata di un essere umano - il processo è dolore, eh, si diceva; il processo è già la pena. Te sei, comunque, fregato quando ti fanno un processo - questo frugare impudico, questo immergere le mani in questi particolari e poi, come in uno specchio deformante allargarli o restringerli, secondo le proprie necessità investigative, è come se avesse voluto paragonare un topolino ad un elefante. Perché, Signori, sapete cosa dice il professor Fornari, che voi conoscete benissimo, perché è stato testimone in questo processo. Personalità nel campo della psichiatria forense di assoluta statura, e nel suo testo - che tra l'altro è del 1997 - "Trattato di psichiatria forense", sapete finalmente... la vogliamo fare una descrizione scientifica del "sadico-sessuale", "della personalità sadica-sessuale?" Ecco. Rimettiamoci ad un nostro testimone, il quale dice: "Il sadismo sessuale. Più complessi nella loro dinamica anche se rari" - più rari di questi omicidi - "rispetto al numero complessivo dei delitti commessi contro la moralità pubblica ed il buon costume, sono quegli atti di sadismo sessuale." Il Pubblico Ministero è partito da questo concetto, anche se poi non lo ha precisato, chiama Lotti perso... Vanni: personalità sadica. Quindi - "sono gli atti di sadismo sessuali, in cui il comportamento sadico è di per se stesso fonte di intenso piacere. Il fine, apparentemente dominante nel delitto che si compie, è quello di raggiungere un'intensa eccitazione sessuale; che non sempre, non necessariamente, culmina nell'orgasmo. Il piacere sadico è contemporaneo e accompagna in piena coscienza una serie di atti violenti, che si svolgono con manifestazioni crudeli quali: ferimenti, morsi, mutilazioni corporee, introduzione nelle cavità anale o vaginale di oggetti che feriscono, contundono."

martedì 13 ottobre 2015

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 4 marzo 1998 - Quattordicesima parte

Segue dalla tredicesima parte.

Avvocato Mazzeo: Ci sarebbe... Io mi fermo, perché mi fido della vostra, del vostro giudizio, sì; della vostra assennatezza, sì; del vostro buonsenso comune, sì. L'altro indizio, l'altro riscontro oggettivo, non si sa bene di chi è e non si sa bene questo riscontro oggettivo, cosiddetto oggettivo, che male dovrebbe fare al Vanni, la cosiddetta omosessualità del Lotti. Riscontro oggettivo, l'hanno chiamato. E perché lo chiamano riscontro oggettivo, il fatto che Lotti è un omosessuale? Ma la cosa clamorosa, più tragica, è che i testi indotti dal Pubblico Ministero a riprova dell'omosessualità del Lotti, Bonechi e Butini, rileggeteli, Signori. A parte il fatto che, come riscontro oggettivo non riscontra un bel niente. Perché il riscontro oggettivo deve riguardare direttamente, come abbiamo detto prima, la persona dell'accusato e non la persona dell'accusatore. Può essere però sintomatico e interessante, delle bugie che vi racconta il Lotti, quando lui, in qualche modo, cerca di dare un movente alla ragione per cui lui si trovava sempre su questi omicidi. E dice: 'ma sa, io ho avuto un rapporto omosessuale con Pacciani. Io... Sennò lui mi minacciava...' Anche qui l'ambiguità, no? Ne dice due, sempre due, minimo. Su questa storia dice: 'io andavo lì perché mi minacciava, sennò, di svergognarmi in paese'. Gli è stato fatto sommessamente notare: 'ah, e sicché lei si rendeva corresponsabile di omicidi, squartamenti, duplici, efferati, semplicemente per la paura che qualcuno in paese - bontà sua - nei confronti dei suoi figli e dei suoi parenti che non guardava neanche di scancio, gli vada a dire che ha avuto un rapporto...'. Vada a dire, vada a riferire. Dicerie di paese. Ridicolo anche questo, no? Poi dice: 'no, perché lui mi picchiava, ci aveva un potere fisico su di me'. Ma anche sull'omosessualità del Lotti, eh? Ve lo ricordate cosa hanno detto? "Io finocchio non sono mai stato", dice questo. "Finocchio", chi è questo? Butini. Poi, a un certo punto, dice... Mi dispiace, ma questa è una favola. Usa una parola bellissima: "L'ho conosciuto al bar. Prima, Giancarlo. Siamo andati al cinema a luci rosse, per me l'è stata una persona per bene. È stato un amico com'è stato Mario Vanni. Ci siamo divertiti e basta. Pacciani non l'ho mai visto." E poi Butini dice: "Mi dispiace", dice proprio così, "Mi dispiace, ma questa storia dell'omosessualità l'è una favola." "L'è una favola", lo troverete. E allora, apprezzerete - con riferimento a quello che è l'insegnamento del buonsenso comune, della ragione pratica che guida sempre tutti i comportamenti della nostra vita; a maggior ragione i nostri comportamenti che sono così pesanti in una vicenda in cui siamo, siete chiamati a giudicare - quelli che sarebbero i cosiddetti riscontri oggettivi, che oggettivi a riscontri non sono. Stante l'insegnamento costante della Giurisprudenza di merito e di legittimità. Quelli che chiama riscontri testimoniali il rappresentante della Pubblica Accusa, è la cosiddetta testimonianza del signor Pucci. Il quale si presenta come un signore che era agli Scopeti. Quindi, lui è testimone, per la verità, perché sennò si continua a enfatizzare e si torna a non distinguere più la differenza che passa, ancora una volta, tra la suggestione, l'ipotesi di lavoro non verificata, eccetera. Questo signor Pucci, sarebbe, così come vi viene presentato dall'accusa, testimone. Cioè a dire: colui che ha visto. Prova diretta. "Io c'ero"; non: 'ho sentito dire', relativamente all'episodio degli Scopeti. Quindi, tutte le altre cose - se gli sono state fatte altre domande su altre vicende, su altri episodi, salvo un riferimento a Vicchio a ima sua presenza anche a Vicchio che poi esamineremo -sono situazioni che lui riferisce, come si suol dire in termine tecnico, de relato. Dice: 'me lo ha detto il Lotti...', e quindi è un serpente che si mangia la coda. Non riscontra un bel nulla. Laddove Pucci dice: 'questo me lo ha detto il Lotti', torniamo sempre al Lotti. Mentre noi sappiamo che il riscontro esterno deve essere, appunto, esterno a Lotti, esterno all'accusatore, esterno al dichiarante. E vediamo che ci dice questo Pucci a proposito della giornata. Io ho sentito che… Per la verità, io i verbali dell'esame del signor Pucci me li sono letti - io non ero ancora difensore del Vanni quando è stato sentito - e quindi me li sono letti recentemente. Mi ha colpito, però, nell'esposizione del Pubblico Ministero, nell'esposizione finale, l'uso delle parole. Il Pubblico Ministero lo chiama "un ragazzo", "un omino". Sono andato a vedere, ma avrà 60 anni, quanto ha? Però lo chiama "un ragazzo, è un omino", parole del Pubblico Ministero, che va preso per quello che è. Poi io ho letto e mi sono fatto un'idea. Io, come dice il Pubblico Ministero? Io ve la porgo per quello che vale. Ora vedremo se vale poco o vale tanto. Per me non è neanche un testimone, è un disastro. Però mi aveva colpito questo fatto Ma perché lo chiama un testimone fondamentale... Perché è l'unica cosiddetta prova diretta a riscontro delle dichiarazioni del Lotti che sappiamo, abbiamo visto quello che sono, e me lo chiama "un omino, un ragazzo", Dico: ma quanti anni ha questo? Perché lo chiama così? Poi vado a vedere che la sorella del Pucci, e così corrobora quest’uso del linguaggio da parte del Pubblico Ministero, no, perché, in pratica, parla di una persona molto limitata. Dice: "Perché a lui bisogna dirgli tutto." Dice. "Icché deve fare, icché un deve fare; se ha da andare a fare una visita, bisogna andarci noi." Teste Pucci, fascicolo 29, udienza 4 ottobre '97, pagina 79. "Poi viene a chiederci tutto. Se lui va a Mercatale viene a dirmi: 'Marisa, vo a Mercatale'. Ecco, capito com'è? Se va a farsi i capelli, mi dice: 'Marisa, vado a farmi i capelli', avverte che va via. Qualunque cosa, ha capito? Lui ci chiede tutto. 'Vado a riscuotere la pensione', ecco, tutto. A noi ci dice tutto." Fra l'altro vengo a sapere che poi ci ha la pensione e non sa neanche perché ce l'ha la pensione, ma insomma... Questo, per inquadrare. Ecco. Poi si vanno a leggere i verbali delle dichiarazioni del Pucci che riguardano, come teste diretto, la domenica degli Scopeti. E qui... Si fa presto, eh, signor Presidente. Non ci vuole tanto. Io rilevo, nello stesso contesto, eh. Perché lui è stato sentito, Pucci, il 6 ottobre '97 nella stessa giornata, 6 ottobre '97, 6 ottobre '97, 6 ottobre '97: mattina e pomeriggio. Ecco, sono quattro. Li chiamo volumi, io, insomma ecco, così come mi sono stati dati. Ecco. E allora, vengo a vedere. Proprio l'ho ricostruita tutta, eh, dall'inizio da quando è andato con il Lotti, è partito da San Casciano. Io sento, io constato in queste dichiarazioni che lui dice: "Si partì alle tre e mezza." Poi dice: "Si partì dopo cena." Poi dice: "Si andò dalla prostituta, Gabriella." Poi, dice: "No, si andò al cinema Arlecchino." Poi, dice: "Ci si incontrò con la Gabriella in via Fiume." No? Poi, dice, nello stesso contesto: "Si andò a casa della Gabriella." Poi cambia, altra versione. Dice: "No, si andò con la Gabriella in una pensione." Volume I, pagina 43 . Poi dice: "Dalla Gabriella venne Vanni, venne Vanni; no, non venne Vanni." Volume I, pagina 16. Volume I, pagina 43. Poi dice: “Ma agli Scopeti c'era la luna?" "C'era la luna, si vedeva proprio bene." Volume I, pagina 17. Poi dice: "C'era la luna crescente, quella buona, perché nascono i funghi." Volume I, pagina 26. Poi dice: "C'era albore." Albore. Attenzione, Volume III, pagina 7. Qui le domande le fa il collega, codifensore. E dice: "Ma scusi, ma lei da un verbale di dichiarazioni rese alla Polizia Giudiziaria, ha detto che c'era albore." E dice: "Ma che vuol dire che c'era albore?" Sapete cosa risponde il Pucci - tra l'altro conferma la perfetta conoscenza della lingua italiana da parte degli abitanti della Toscana, anche se illetterati - perché lui dice: "C'era albore." Traduzione del Pucci, pagina 7, del Volume III: "Vuol dire l'alba, mattina presto." Ed è vero, me lo sono andato a guardare anch'io sul vocabolario; se poteva avere altri significati. Preciso! Quindi, complimenti al Pucci per la proprietà del linguaggio. Il problema non era se Pucci conosceva una parola così aulica, oppure no. La conosceva e ne conosce perfettamente il significato. Quello che non torna, però, è che questo sposta completamente il discorso - rendendolo melmoso al massimo - dell'ora del delitto, di quando sono andati agli Scopeti; del resto in linea con quanto ha detto prima. "Si partì alle tre e mezza." "Si partì dopo cena." Allora dice: "C'era la luna si vedeva proprio bene; c'era la luna crescente, quella buona, perché nascono i funghi." Noi sappiamo che il delitto è avvenuto - diciamo - tra le 10.00 e mezzanotte, poi dice: 'c'era albore'. Gli si chiede: "Ma, che vuol dire albore." Dice: "Vuol dire l'alba, mattina presto." "Ah, allora quando tu sei andato lì, era l'alba, mattina presto." Poi sul cinema Arlecchino, pomeriggio a Firenze. Volume III, pagina 4 dice: "All'Arlecchino no, c'eravamo andati la domenica prima, no la domenica degli Scopeti." "Ma, insomma agli Scopeti perché vi siete fermati?" Sentite quante versioni. "Ci fermammo per fare pipì". Dice: "No, per curiosità si andò a vedere." "No" - dice - "ci fermammo proprio lì per riposarci". Pagina 58 e 59 del Volume II. "Ma l'idea a chi gli venne?" Dice: "L'idea venne a tutti e due contemporaneamente". Pagina 60 del Volume II. "Venne a tutti e due contemporaneamente." Alla fine, verbale acquisito agli atti. Verbale del 9 febbraio del '96, altra versione: "Ci fermammo per guardare una coppia." Comincia bene, eh, Pucci; qui proprio... Qui siamo in preda ai marosi, il timone si è perso e la nave è sbattuta da venti che provengono da tutte le direzioni. Cosa ci si può capire, finora? Io ancora non ho capito niente. Ho capito che questo non si può neanche definire un testimone. Mi martella la mente quella frase di Robespierre: "Voi vi aggrappate alle forme..." È un testimone, è lì, un pezzo di carne 60 chili, 70. È che avete perso di vista, io dico, la sostanza. Questa è la sostanza. Poi ancora dice: "Aveva sentito Lotti, Vanni, e Pacciani concordare di spiare delle coppie in auto." Verbale 9 febbraio '96. Poi, invece, nel Volume II, qui, quando è stato sentito, pagina 67 e 69, dice: "Mai sentito una cosa del genere." Poi, quando è stato sentito qui. Volume III, pagina 2, testuale: "Agli Scopeti vidi due uomini a bordo; a bordo di un'auto chiara, fermi, a pochi metri da una tenda. Scesero e vociarono contro di noi, minacciosamente.” Però, poi, dice subito dopo che non erano a bordo dell'auto. E come vociarono contro di loro minacciosamente? Dicendo: "Andate via, sennò vi si ammazza anche voi." Frase che sarebbe stata pronunciata prima del taglio della tenda, no, dopo il taglio della tenda. Volume II, pagina 44. Poi: vide Vanni tagliare la tenda. 'No, sentì solo il rumore del taglio.' Pagina 37 e 38, Volume II. Poi. 'La tenda non era tonda, ma a capanna.' E qui è proprio falso, eh. Non l'ha vista lui la tenda. Dice: "La tenda era tonda." Dice: "No, era a capanna." Volume II, pagina 36. Volume I, pagina 26, testuale: "Appena ci si avvicinò, vedemmo due persone tra la macchina, che ho detto, e la tenda: una..." Ascoltate che descrizioni, questa è letteraria. "Una era più bassa e tarchiata; e l'altra era più alta. Quello tarchiato aveva in mano una pistola; quello più alto aveva in mano un coltellone da cucina." E a me, scusate, mi è venuto in mente il capitolo XV del "Pinocchio": il Gatto e la Volpe travestiti da assassini che inseguono Pinocchio per pigliargli gli zecchini d'oro. Uguale Potenza dell'opera d'arte: quando era alla Regina Margherita, in collegio, forse non l'ha letto Pinocchio, ma qualcuno glielo avrà raccontato. Quando deve descrivere, deve dare un'immagine - potenza del Collodi - vien fuori: andate a Collodi c'è una statua. C'è quello basso e tarchiato, che è il Gatto, e c'ha la pistola in mano - di un artista, che non mi ricordo, Iorio Vitarelli, credo - e quello secco e alto, sarebbe stato il Vanni, è la Volpe, col coltellaccio. Proprio dice così Collodi, eh. Coltellaccio da cucina, da cucina. Questo lo dichiara nel verbale, reso alla Polizia Giudiziaria, dichiarazione del 9 febbraio del 796: "Noi si girò le spalle e si scappò, dopo che quello tarchiato ci disse 'vi ammazzo andate via'." Allora Pacciani gli dice: ‘Vi ammazzo andate via.’ 'E noi, noi cioè io Pucci e Lotti' - va bene - 'si girò le spalle e si scappò, quindi si scese lo stradello e si tornò verso la macchina'. Questo lo dichiara nel Volume I a pagina 27, nel Volume II a pagina 43. Però, poi, prima cioè, il 9 febbraio del '96 alla Polizia Giudiziaria aveva dichiarato che, invece, aveva visto anche sparare. Dice: "Scappano quando vedono Pacciani inseguire, sparando, il ragazzo, e Vanni entrare nella tenda." Allora, com'è questa storia? Cioè, qui dichiara che appena quello gli ha urlato dietro: 'andate via sennò vi ammazzo' - che è più che comprensibile - sono scappati. Quindi non hanno visto nulla, perché quando lui fa questo grido, il Pacciani, l'azione - diciamo - omicidiaria non è neanche iniziata.