mercoledì 8 luglio 2015

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 23 febbraio 1998 - Dodicesima parte

Segue dalla undicesima parte

Quali elementi di fatto abbiamo per verificare se questa spiegazione che abbiamo oggi è una spiegazione che ci consente ima verifica sul movente di queste dinamiche. Sicuramente questo, al di là del serial-killer o meno, è un elemento forte, obiettivo, che l'indole di chi ha commesso questi delitti è un indole sicuramente perversa. Cioè, è pacifico che la commissione di questi reati, nel modo in cui sono stati commessi, al di là del perché o a quale specifico fine, sono delitti che hanno a monte degli esecutori con una indole particolarmente anomala. Direi, il processo ha dimostrato la perversità delle condotte degli autori, sia dai racconti che ci sono stati fatti, sia dall'esame degli elementi oggettivi. Si mettevano in mano o in testa a un serial-killer; ora abbiamo la chiarezza che si tratta di perversioni di più persone. Si ricava, questa perversione, dalla dinamica dei delitti, dalla presenza di un qualche motivo che ha a che fare con una sfera sessuale sicuramente anomala e deviata. Si capisce dall'oggetto di questi delitti. Quindi è sicuramente una personalità perversa di chi li ha commessi. Io non sto ora a rielencarvi quali sono le perversioni tipiche degli imputati Lotti, Vanni, Faggi, nei limiti di quella che è la prova della sua responsabilità. Credo di avervi detto parecchie cose sul punto. E vedete come queste perversioni, nei limiti che noi conosciamo, sono perversioni che hanno sicuramente una patente di corrispondenza con la dinamica materiale. E però è una sessualità perversa e deviata da sola sufficiente a spiegarci i delitti? Noi vorremmo, ovviamente, una spiegazione più dettagliata. Avremmo, saremmo ancora più tranquilli, anche perché non è detto che sempre un soggetto perverso debba per forza tenere simili condotte. Sennò, con tutte le perversioni che conosciamo essere presenti nel genere umano, chissà guanti delitti dovrebbero esserci. E allora vediamo se, al di là della perversione sicura, quantomeno di Faggi, nei limiti che sappiamo; di Lotti e Vanni con tutte le consistenze probatorie che abbiamo, se abbiamo qualche elemento ancora di verifica che ci possa consentire di dire: beh, il movente è in qualche modo chiarito, è in qualche modo un movente che ci consente di dire, questi signori si sono mossi in un ambito personale soggettivo molto particolare. Ma è l'operazione che abbiamo fatto tutti. Siamo partiti da Lotti, gli abbiamo chiesto: ma scusa, ma come mai ci andavi? Come mai facevate queste cose? E Lotti, sia pure nell'ottica di dire: 'erano loro che mi portavano, erano loro che mi hanno costretto” due volte ha detto sempre la stessa cosa - 'perché mi garbava, perché ci garbava, perché a quello di Calenzano gli garbava vedere uccidere'. Cioè, il concetto, la riprova che di perversione si trattava a monte in queste condotte, è proprio in queste parole. Ma c'è qualcosa di più. E' una perversione, è una condotta che il processo ha provato derivare da un impulso di questi autori ; una soddisfazione di un impulso per assistere, per essere presenti, per compiere un evento eccezionale, o c'è qualcosa di più? Cioè: 'Lotti, ma ne sai qualcosa di più? Ma sì, ho capito, vi piaceva. Ma perché lo facevate? E Lotti, con una naturalezza che ha lasciato gli inquirenti sconcertati - se lo ricorderà il dottor Giuttari che, dal primo momento, mi parlava di queste cose e era talmente sconcertato perché diceva: 'ma come può essere?', quindi nessuna prevenzione. Lotti, fin dal primo momento, a questa domanda, ha sempre detto: 'eh, perché Vanni e Pacciani mi dicevano che si andava a fare un lavoretto '. Cioè, è un termine, "lavoretto", che nel suo lessico la dice lunga, ma è molto chiaro. Cioè, tutte le volte in cui gli si è chiesto come mai andassero a fare questi omicidi, Lotti ha sempre dato la stessa risposta: 'io che ne so, a me mi garbava, a quello gli garbava. Io ci sono andato, mi hanno costretto. Però questi mi dicevano che andavano a fare un lavoretto'. E su questo Lotti si ferma, eh. Dice il lavoretto, dice poche altre cose - e lo sappiamo - però non è che il Lotti/ come sempre inventi. Dice: 'io so questo. A me mi dicevano questo e questo riferisco a voi. Siate voi a controllare, a verificare. Mi dicevano che qualcuno pagava per fare questi omicidi. Oltre le perversioni, qualcuno pagava'. Lotti, per carità! Cosa ci vieni a dire? Non aprire scenari di cui noi non sappiamo nemmeno come fare a districarci. Però l'inquirente, l'investigatore, i loro riscontri... Ma se è un lavoretto, se pagavano, andiamo a vedere. Quel riscontro forte, oggettivo - Pacciani è morto, non ci potrà dire nulla di più - però, signori, il riscontro oggettivo è lì, è nelle carte. Avete quegli elementi obiettivi sulla sussistenza di un patrimonio mobiliare e immobiliare di Pacciani sconvolgente. Se non c'è una dimostrazione più ovvia e più chiara e lampante, che Lotti dica su questo la verità, io non so cos'altro offrire ad una Corte di Assise. Ma comunque non compete a me. Io, il mio lavoro e qli investigatori, lo abbiamo fatto. La valutazione io la posso dare da inquirente; quella da giudice, la dovete dare voi. E qual è questa verifica incontrovertibile del fatto che forse, probabilmente, possibilmente, usate tutti gli avverbi che volete, ma noi a questo elemento obiettivo ci dobbiamo, con questo elemento ci dobbiamo, come si dice, oggi, confrontare. j Noi siamo stati increduli nel vedere j questo patrimonio, perché era un patrimonio che era nel forno, va be', ma quelle sono valutazioni che lasciano il tempo che trovano. Qui, guardiamolo questo patrimonio. Eh, Lotti dice: qualcuno pagava per acquistare i feticci e qualcuno aveva del denaro. Mah, è vero? Non lo sappiamo. Noi abbiamo solo la sicurezza che un patrimonio anomalo Pacciani lo aveva. È un riscontro incontestabile, perché è un patrimonio mobiliare veramente consistente. Negli anni dei delitti, proprio quegli anni che ci interessano: '80, '78, '79, '85, abbiamo una consistenza di 150 milioni in titoli postali nascosti nel forno. Abbiamo un patrimonio immobiliare ancora più consistente: due appartamenti restaurati, entrambi; le autovetture. Tutto acquistato in quegli anni lì. Abbiamo un patrimonio sicuramente incompatibile con la attività professionale e personale di Pacciani. E guardate che è un valore non certo modesto, perché 150 milioni, o 100 milioni degli anni '80 sono una cifra, due appartamenti, ridotti male o ridotti bene sono veramente notevoli. Per un personaggio che è stato 20 anni in carcere, fra le figlie e la precedente detenzione. Cioè, gli anni in cui questo signore aveva la cosiddetta capacità lavorativa massima, di fatto, lavorava poco. E quindi è un dato oggettivo sul quale noi ci confrontiamo solo come dato oggettivo di riscontro a quel discorso sicuramente incompleto. Perché Lotti, come sempre, dice: 'io questo so; di più non so'. Ma sicuramente oggi oggettivo. Quindi è vero ciò che dice Lotti sul punto. È vero che noi dobbiamo crederlo quando ci fa questo discorso, perché gli dovevamo quel debito di credibilità che vi ho cercato di portare tutti i giorni in quest'aula. E un debito di credibilità su un elemento oggettivo che deriva da quegli accertamenti di Polizia Giudiziaria relativi al patrimonio di Pacciani, sul quale Pacciani ovviamente non ha mai detto niente. Non è stato interrogato, non era la sede ancora. La giustizia degli uomini si è fatta da parte, su questi fatti, involontariamente. Qualcuno pagava davvero? Questa è la domanda che noi ci possiamo fare. E noi dobbiamo solo pensare che Lotti ci ha detto quello che sapeva, come sempre. Quindi c'è, oltre la perversione degli esecutori materiali, qualcosa in più? Una ipotesi, solo una ipotesi. Noi dobbiamo rimanere agli elementi di fatto. Ci fermiamo qui, è giusto fermarci, perché noi, è un processo ad autori materiali. Questo processo ha provato la responsabilità precisa e individuale degli autori materiali dì questi fatti. Che poi ci fosse un qualcosa al di fuori, è una cosa che non è stata scandagliata e non era il compito di questa Corte di assise fare. Se sarà da fare, nessuno lo sa. Noi rimaniamo agli elementi obiettivi di credibilità di Lotti. E quindi, al termine di questo processo, io vi ricordo alcune circostanze: tutte le prove che avevamo chiesto di esperire in questo processo, tutti i fatti che ci eravamo proposti di chiarire, sono stati dimostrati, puntualmente. Così come sono state esperite con esito positivo tutte le prove ulteriori, sia di prova generica che di prova specifica. Non c'è stata nessuna defezione, nessuna ritrattazione di confessioni, di testimonianze. E non c'è stata nessuna controprova, nessun alibi di ferro portato da chicchessia. Qualcuno vi doveva dire, tipo il marchese Corsini, che Lotti vedeva i marziani. Questa era la prova. Quel signore della ambulanza vi doveva dire che lui aveva visto il cadavere del Mainardi in una certa posizione. E l'abbiamo visto com'è andata quella prova lì. Quel signor Calonaci che ha visto il poliziotto... Queste sono state le controprove offerte in questo processo; il resto è valutazione soltanto degli elementi di prova fortemente robusti, forti, chiariti con tutte le circostanze che ora ho cercato di elencare, comprese quelle ulteriori testimonianze venute fuori nel dibattimento. Ora dobbiamo e dovete solo valutare obiettivamente i fatti in un processo in cui vi dicevo e vi ho spiegato all'inizio, ci siamo trovati di fronte ad una prova diretta, sicura, certa, riscontrata nel quale le prove che già c'erano, come fonti nel corso dell'istruttoria, sono diventate oramai schiaccianti contro gli imputati. Allora concludevo nella requisitoria del processo Pacciani, con una indicazione di sensazioni che mi era sembrato quel dibattimento aveva portato. Vi dicevo che, per quello che era Pacciani in quel dibattimento, era emerso - perché all'epoca, come imputato, e voi sapete perché si conosceva Pacciani - era emerso, in quel dibattimento a mio avviso, che si trattava di un uomo che si era contornato di altri uomini come lui, vecchi, dentro squallidi. Che aveva dominato i cosiddetti "compagni di merende”, che lo temevano. Con i quali, dicevo, aveva condiviso sicuramente parte delle sue perversioni. Guardate, già all'epoca, come si dice, venivano visti questi fatti: era un uomo sconosciuto, triste, pericolosissimo, che era, aveva primeggiato su tutti gli altri. Era un mondo su cui era stato aperto un varco in quel processo, nel quale tutti, in quel primo processo, avevamo avuto difficoltà ad entrare; un mondo che non pensavamo - dicevo - esistesse nelle nostre colline, nelle nostre campagne. Un mondo che per fortuna era apparso marginale; in cui nessuno di noi aveva voluto credere, nel quale erano maturate quelle perversioni. È, direi oggi, alla fine di questo dibattimento, direi che quelle intuizioni... e allora, se intuizioni erano di quella Corte di Assise, del lavoro di allora, sono intuizioni che hanno portato davanti a fatti che oggi sono interamente confermati in pieno. 

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