venerdì 24 luglio 2015

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 3 marzo 1998 - Terza parte

Segue dalla seconda parte

Avvocato Mazzeo:  Che c'è qualcuno che fruisce di cose che forse non sono state pensate per lui. E comunque è così. Ma allora, però, siccome voi siete la legge oggi; qui, voi siete la legge, e voi dovete giudicare se è vero quest'uomo o se è falso. Se è vero, quando dice che lui è colpevole, magari; e se è falso, quando dice che sono colpevoli quegli altri. Eh, non potete andare contro la legge, non potete andare contro la legislazione premiale, è inutile stare a fare il Don Chisciotte contro i mulini al vento. Io ve la illustro soltanto, ma tocca a voi dire che questo è credibile, tocca a voi dire che questo qui è sincero. E ce ne vuole, eh. Perché, per illustrare brevissimamente quelle osservazioni di cui vi parlavo, di quel giurista Padovani e "La soave Inquisizione", dice: "È di questo autore l'ammonimento circa i rischi legati all''utilizzazione di uno strumento di pressione sull'imputato, sia di carattere coercitivo, sia di carattere premiale. È possibile infatti che l'imputato, per sfuggire alla coazione" - la tortura mi viene in mente, ma noi siamo civili, eh - "o per guadagnare la ricompensa, che è la stessa cosa, fornisca informazioni false, o effettui chiamate di correo calunniose. Carmignani assimila poi il meccanismo premiale alla tortura. Addirittura, questo, lo assimila alla tortura. Il contenuto è del tutto diverso, ovviamente. Non la minaccia, ma a speranza; non la minaccia del dolore, ma la speranza del premio; non la violenza, ma la mitezza. E infatti, se è mitezza maggiore di quello che viene elargita, diciamo, da qualche tempo al chiamante in correità che viene coccolato come una gallina dalle uova d'oro che le fa poi periodicamente, no? Secondo le situazioni. "La progressione delle rivelazioni...", è stato detto in questo processo. Per cui, chi chiama in correità non è testimone, quindi non giura di dire la verità, quindi non corre il rischio di prendersi una condanna per falsa o reticente testimonianza - perché non è testimone - e quindi è al sicuro da questa cosa. Però, a maggior ragione, secondo una certa logica distorta, potrebbe dire quello che gli pare, e noi dobbiamo stare li a bocca aperta a credergli, come oro colato. È una condizione assurda, questa. Che strumento è, questo, per arrivare a capire qualcosa? A fare quell'esercizio di capire, dedurre, vedere, costruire, che ci viene negato dal Pubblico Ministero e che invece è la funzione che vi tiene qui da un anno. E quindi, dicevo, questo autore. Dice: "Assimila, poi, il meccanismo premiale alla tortura", dice. "Il contenuto è del tutto diverso: non la minaccia, ma la speranza; non la violenza, ma la mitezza. Ma la logica è la stessa, ispirata all'intervento sull'imputato che viene sollecitato a trasformarsi in mezzo di prova. Con questa differenza soltanto: che la tortura aspira a convertire in criterio di verità il dolore; e la impunità ispira ad ottenere lo scopo medesimo col piacere. Che la prima cerca la confessione; la seconda l'accusa." Io ti torturo perché tu confessi; io ti do un premio perché tu mi accusi quegli altri,. L'una, dannosa a chi la emette; l'altra a un terzo dannosa. Questo Carmignani è un signore dei primi anni dell'800, addirittura, guarda un po'. Quanto difficile, quindi, il percorso del Magistrato che si ritrova, per sua disgrazia - ma per maggior disgrazia degli accusati - in questo scorcio di secolo a dover fare, tenere un percorso logico e morale, vorrei dire anche, che deve fare i conti con tutte queste insidie che si annidano in una chiamata in correità. E che la chiamata in correità, poi, va a diventare in una specie di aritmetica delle prove, concetti anche qui studiati quando si studiava la storia del diritto, Medioevo, l'aritmetica delle prove: "Unus testis, nullus testis". Un teste non vale niente. La meccanica delle prove, cioè la confessione per cui sei colpevole. E non è così, è molto più complicata la cosa. Sennò perché sono passati otto secoli? Per confrontarci un'altra volta con una ipocrisia? Ora noi siamo tranquilli, non ci vergogniamo più, non si usano più nella nostre carceri le tenaglie. E però si usano dei sistemi che poi, nella sostanza, ai fini della ricerca della verità, equivalgono alla stessa cosa. Ma il vostro lavoro può essere fatto può essere fatto, può serenamente essere fatto. Può serenamente essere portato a termine. Stavolta si, lo uso io il termine "serenamente", avendo come criterio un sano buonsenso comune, un tenere i piedi per terra, un valutare quello che vi sta succedendo sotto gli occhi come se fosse un qualche cosa che può succedere a voi. Un criterio, nell''arco della vostra vita. Pensate sempre questo: la disgrazia del Vanni potrebbe essere la disgrazia di ciascuno di noi, facendo i debiti scongiuri. Perché peggio di questa, penso, non se ne possa immaginare. Un amico di merende che, alla fine, si sveglia la mattina e ti accusa. Ecco perché il processo fa opera sempre di civiltà. Di civiltà senza aggettivi. Onestà intellettuale, onestà. Civiltà giuridica, civiltà. Proprio perché dà una indicazione, dice a tutti i consociati: state tranquilli, chi giudica è consapevole; chi giudica è uno di voi, e chi è giudicato è uno di voi. Io ho apprezzato, sotto un profilo strettamente letterario oserei dire, insomma, ecco, estetico, i tentativi commoventi del rappresentante della accusa di dipingervi quest'uomo come una belva umana, insomma, no? E secondo me lui non ce l'ha !,le physique du ròle", come dicono i francesi. Poi ci si arriverà. Sai, Pacciani, in qualche modo ha un pedigree, era stato assassino, eccetera. In qualche modo, il lavoro, era un po' più facile. Ma per il Vanni, il Pubblico Ministero ha dovuto penare, eh. Perché, voglio dire, dire che è uno... è un sadico, ha una personalità sadico-feticistica, perché va con le prostitute e gli garbano certe cose piuttosto che altre, è come paragonare un topolino ad un elefante, vero. Eccolo qui l'esercizio del buonsenso comune. Eccolo qui. Per questo siete chiamati. Perché quando non si esercita il buonsenso comune, tra l'altro c'è un rischio che coinvolge tutti noi, anche noi. Hitler disse una volta, badate se bisogna ricordarsi quello che ha detto quell'uomo. In sostanza disse una cosa che somiglia a questo: "Più grossa la spari e più difficile è smontarla." Ecco, tante volte, nell'arco di questo processo, io mi sono trovato a confrontami con quella battuta. La famosa propaganda, no? eccetera. Più grossa la spari e più difficile è smontarla, guarda. Perché la follia, in qualche modo, è espansiva, no? Coinvolge. La logica, diciamo, di no che dice... tanto per fare un esempio, no, poi ci torniamo. Perché io citerò testualmente quello che è stato detto. La logica di uno che dice - e lo dice il Lotti e lo dice il Pucci. È l'unica volta che questi due si ritrovano d'accordo nel dire questa cosa. Poi, per il resto, come sarà illustrato analiticamente, non si sono mai trovati d'accordo su nulla - è sul movente dell'omicidio della povera Pia Rontini. Su quello, invece, sono stati chiarissimi. Ecco, tanto per fare un esempio del rischio in cui si incorre quando non si fa esercizio di buonsenso comune. Ve lo ricordate cos'hanno detto, Signori Giudici? Perché questa va anticipata, questa. Io volevo dirvela dopo, ma l'esempio va dato, che il rischio è quello del ridicolo, dell'assurdità comica. Il rischio in cui, più volte, siamo incorsi e stiamo incorrendo, forse. Approcci tentati dal Vanni con la Rontini: Lotti parla per la prima volta di questi approcci nel verbale del 9 aprile '96. La ragazza avrebbe detto al Vanni - virgolette, queste parole, diciamo "Io, con te, un uomo anziano... puoi essere il mio babbo." E Vanni reagisce dicendo al Lotti: "Quella ninfomane, quella scema. Perché ha detto a me così?" E Lotti: "Se è giovane, non può pensare a te." Vanni allora disse che gliel'avrebbe fatta pagare. Vanni poi entra nel bar per fare la corte a questa povera ragazza. Quando tornò era arrabbiato: "Non doveva aver fatto conversazione come voleva." Dall'incidente probatorio pagina 58 e 59, Volume I e pagina 54 del Volume II. Ora, di fronte ad una affermazione di questo tipo, dico, il critico, il giudice, il critico per eccellenza deve porsi un problema. Dice: ma. . . L'unico commento adeguato mi pare quello che ha fatto un giornalista. Cosa rara, perché, specie in questa vicenda processuale, i giornalisti sono per lo più limitati a trascrivere le notizie che filtravano dalle Questure e dalle Procure. E non hanno fatto opera di giornalismo. Io ho sempre pensato che "Mani pulite" potevano farlo soltanto i Giudici, in Italia... i giornalisti. Altrimenti in America c'è stato "Watergate". Un Presidente degli Stati Uniti è andato giù per merito dei giornalisti. La corruzione l'hanno scoperta i giornalisti, in America. In Italia tocca ai Giudici, purtroppo per loro. Questo giornalista, invece, che si chiama Guarazzini ed è de II Giornale - un giornale che tra l'altro non leggo abitualmente - del 9 luglio del '96 dice, commenta quello che vi ho letto. Cioè a dire che Vanni... seriamente quest'uomo, che all'epoca avrà avuto 60 anni, andava a cercare, a fare approcci, a fare la corte, a fare conversazione, a ritenere lui e Pacciani di poter, diciamo, proporsi, proporsi, come cavalier ser… Vediamo, come si può dire, non lo so - mi sembrano inadeguate anche le parole - nei confronti di una ragazza ventenne, va bene, commenta cosi, dice: "Proviamo con il movente reso noto ieri. Pacciani e il "vicemostro", Vanni, uccisero per vendicarsi, perché rifiutati dalle ragazze che in precedenza avevano spiato in atteggiamenti intimi con i fidanzati." Questo, ce lo sta dicendo il Lotti, ce lo ha detto anche il Pucci. "Credibilissimo" - dice il giornalista - "I due Casanova, entrambi aitanti sessantenni, con l'alito al Chianti e le panze rasoterra, non appena vedevano una bella ventenne fidanzata, gli si proponevano" - no? Eh, beh, certo, no? E che diamine - "certi di farla stramazzare perduta d'amore." E noi siamo stati qui a sentire queste cose, eh. "Pia Rontini nell'84 non volle saperne e pagò l'affronto con la morte." Eh? Eccolo qui il rischio, il rischio del ridicolo. Che cos'è il ridicolo? Il ridicolo è una inversione del buonsenso comune. Il ridicolo è una inversione del buonsenso comune. È quando noi non lavoriamo più col nostro cervello, ma vediamo non ciò che è, ma ciò che vogliamo vedere. Lo ha detto Bergson in questo bel libro che si chiama "Il Riso", che non è commestibile, ma è il riso, ridere. E dice: "L'assurdità comica che cos'è? È una inversione del tutto speciale del senso comune. Essa consiste nel pretendere di modellare le cose su una idea che si ha e non le idee sulle cose che si vedono. Essa consiste nel vedere davanti a sé ciò a cui si pensa." Il coltello nella cucina del Vanni. Quando sono entrati pensavano già qualcosa. Hanno visto ciò a cui pensavano, invece di pensare a ciò che si vede. Non hanno pensato ciò che hanno visto. "Restare a contatto con le cose" - dice questo filosofo, premio Nobel - "e con gli uomini vedere soltanto ciò che è e pensare soltanto ciò che è coerente... Coerente. Gli approcci sentimentali del Vanni con la Pia Rontini, vi sembrano coerenti? "Esige uno sforzo ininterrotto di tensione intellettuale." Vi ricordate che vi diceva il Pubblico Ministero? "Non dobbiamo affannarci a capire." Eh, no, proprio il contrario. "Esige uno sforzo ininterrotto di tensione intellettuale. Il buonsenso è proprio questo sforzo. È un lavoro. Ma staccarsi dalle cose e tuttavia percepire ancora delle immagini. Romperla con la logica e tuttavia unire ancora delle idee." Romperla con la logica e unire le idee. La rompiamo con la logica e uniamo l'idea del movente dell'assassino della Pia Rontini dovuto al rifiuto agli approcci. Non è che un gioco. Vogliamo giocare? "O se si preferisce, pigrizia. L'assurdità comica ci dà dunque dapprima l'impressione di un gioco di idee. Il nostro primo movimento è , quello di associarci a questo gioco. E ciò allevia la fatica di pensare." Esattamente quello che ci chiedeva il Pubblico Ministero: non dobbiamo affannarci a pensare; guarda, impressionante: "E ciò, allevia la fatica di pensare." E invece, no. Perché il lavoro che non vi siete scelto - parlo ai Giudici non togati - di decidere del destino delle persone, perbacco, hai voglia se richiede la fatica di pensare, eccome! 

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