venerdì 29 maggio 2015

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 23 febbraio 1998 - Seconda parte

Segue dalla prima parte

P.M.: Abbiamo già due situazioni oggettive, che ci portano a credere questa versione. Primo: nasce da contestazione, l'ho detto più volte. Secondo: è una ricostruzione dei fatti perfettamente in linea con quello che erano già le conoscenze relative all'autore, o agli autori, o alla dinamica soggettiva di questi delitti. Cioè, il racconto di Lotti è perfettamente coerente a quello che sapevamo già. Cioè, chi era coinvolto in questi fatti, Pacciani Pietro, con quelle ulteriori indicazioni di quella sentenza di I Grado, di cui abbiamo più volte parlato. È chiaro che, in una situazione di questo genere, siamo venuti davanti a voi, in questo dibattimento, in una situazione in cui è chiaro che, per l'imputato Lotti, la situazione processuale poteva essere definita già - come ho accennato nella mia relazione introduttiva - nella fase pre-dibattimentale. Perché le prove, questi elementi c'erano già tutti. Sapete che c'era un incidente probatorio, con le sue dichiarazioni. C'erano gli elementi oggetti che nascevano da quelle autopsie e dalla ricostruzione obiettiva dei rapporti di Polizia, delle annotazioni, delle relazioni della Polizia Scientifica. Quindi il dibattimento, per quello che riguarda la posizione Lotti, che come abbiamo visto è una posizione che va esaminata, essenzialmente e in primo luogo, dal punto di vista della sua responsabilità penale; era una situazione già completa, era possibile già addivenire a una decisione. È il Codice che non permette che per questi reati si vada al cosiddetto rito abbreviato. Ma se era possibile, sicuramente era una situazione da rito abbreviato. C'erano già tutti gli elementi. Questo ve lo dico per mettere in evidenza di come il dibattimento abbia portato qualcosa ancora in più, e lo vedremo. Perché i sei giorni di esame dell'imputato Lotti e tutta l'istruttoria dibattimentale che ha riguardato i riscontri testimoniali e oggettivi, è stato qualcosa in più. Parlo, ovviamente, sempre per ora della posizione Lotti. Quindi tenete presente che il dibattimento ha offerto un ricco materiale in aggiunta. Eh, anche questa è cosa da non trascurare. Perché il materiale è successivo, è stato acquisito nel contraddittorio delle parti, ma era un materiale che già esisteva ed è un materiale che è giunto alla fase della piena prova, sulla quale abbiamo una continuità di impostazione, una corrispondenza totale a quello che era emerso nelle indagini e a quello che è emerso nel dibattimento per questo fatto. Dicevo, ma che strano. È credibile nel momento in cui Lotti non si attarda a riferire cose che già sappiamo e che lui non sa. Ma si dedica, con molta attenzione, spontaneamente, a raccontarci fatti che ignoriamo, che sa solo lui. Ecco la genuinità. Mi riferisco a quell'episodio ulteriore - oltre quello del rapporto omosessuale con Pacciani quell’'episodio, qualunque tipo di rapporto sia stato non ha importanza, di quell'incontro in macchina, la sera, che sarebbe stato fatto con questo Butini e che il Pacciani e Vanni lo avevano visto e lo avevano impaurito e intimorito. È un episodio che, nell'economia del suo racconto, non solo è genuino e dobbiamo credere, non dobbiamo credere tanto come sia andato l'episodio, se il Butini, se c'è stato un rapporto omosessuale o meno; dobbiamo crederlo nel momento in cui ci fa un racconto, su fatti che noi completamente ignoriamo e quindi sono nell'economia di questa ricostruzione assolutamente ininfluenti. Ma ci spiega il suo stato d'animo dopo quel fatto. Che bisogno avrebbe di inventare. No, lui ha proprio l'opportunità, necessità, la voglia di raccontare quelle che sono state le sue impostazioni soggettive, le sue impressioni, le sue paure davanti a una situazione di questo genere. Poi le adopra per dire: per questo mi hanno costretto. Però la situazione obiettiva è di questo tipo. Quindi è un episodio sul quale, riscontri o no, che sia utile o no, che sia vero in toto o che ci abbia raccontato solo le sue impressioni, quello che ha capito, quelle che sono state le paure che gli sono derivate. È un episodio che ci ha raccontato lui. Il Butini esiste. Noi non sapevamo chi era. Ha determinate caratteristiche. È persona che lui conosceva. Quindi, nell'economia del suo racconto, capite che, anche su questo, non solo va creduto, ma va letto nei termini giusti. Che importanza ha capire se c'è stato un qualcosa di più o un qualcosa di meno. Non è quello che interessa oggi. E così lo stesso identico discorso, è sempre per un episodio che Lotti ha raccontato, dei quali noi non sappiamo nulla. E le possibilità di riscontri sono parziali. Quella lettera che, con dovizia di particolari, il Lotti racconta è stata spedita dopo l'omicidio dell'84 a quella Manuela di Vicchio. Altro episodio che la persona che non inventa non aveva bisogno di tirar fuori se era un episodio inventato. No, la dovizia di particolari, voi ve lo ricordate come sono andate le cose. La settimana dopo, qualche tempo dopo, è stata confezionata la lettera, si è andati a impostarla a Vicchio. Più che credibile sotto il profilo di una economia di delitti di questo tipo. Abbiamo il riscontro poi dal fatto che nell'85 effettivamente una lettera è stata mandata. Questa dell'84 non l'abbiamo trovata. Dopo 10 anni come si fa a trovare una cosa di questo genere. Ma in questo racconto, ci spiega il Lotti: guardate, le cose, come le so io, andarono in 3 questo modo, ma non perché mi sono state raccontate. Nell'episodio della lettera alla Manuela io ho partecipato, personalmente, sono andato, mi hanno acco,.. mi hanno costretto ad accompagnare Vanni a impostare. Era una certa Manuela. Non l'abbiamo trovata questa lettera. L'unica Manuela che abbiamo trovato - sarà quella o no -ha negato la circostanza, in una situazione di credibilità che è quella che è, per quello che riguarda quel benedetto pomeriggio, di quelle ragazze Rontini Pia e le altre che si sostituivano o meno nel bar. Chiaramente è rimasto un episodio che noi non abbiamo potuto, a distanza di tempo, assolutamente chiarire. Non lo abbiamo potuto chiarire perché non ne sapevamo niente. È questo il punto. Ci ha fatto un racconto su circostanze che noi ignoravamo e quindi era impossibile assolutamente inventarle, per fare contenta la Giustizia. Allora, anche qui: se la racconta così e se noi abbiamo la oggettiva situazione, nella quale è più che credibile - perché effettivamente una lettera dopo è stata spedita - dobbiamo pensare che tutto quel racconto a cui Lotti dice di aver... a quell'episodio a cui Lotti dice di aver partecipato, è più che vero. Nell'economia del processo ha l'importanza che ha. Non si può assolutamente dargli nessuna importanza diversa da quella di un racconto, con i riscontri che sappiamo, ma lo dobbiamo valutare esclusivamente dal punto di vista che è un racconto di persona che ci dice cosa ha fatto lui. Ecco qua l'importanza. Non è che noi avevamo una lettera, una Manuela e quindi era facile inventare. Un altro episodio ancora, che ha le stesse identiche caratteristiche. Voi sapete, avete avuto il racconto diretto dal Lotti, di quell'episodio relativo alla pistola, o comunque quel luogo dove, a dire del Lotti, in quella casa, dietro la piazzola di Vicchio in alto, in quel determinato percorso, che poi sappiamo. In quella casa c'era una buca dentro un anfratto, dentro una stanza, in cui nascondevano qualcosa, in cui lui, Lotti, ha pensato che nascondessero qualcosa dopo l'omicidio: la pistola o cos'altro. Anche questa circostanza com'è venuta fuori? Perché gli dobbiamo credibilità e perché dobbiamo oggi riconoscere che ha raccontato cose di sua spontanea volontà. In questa seconda fase è sicuramente un imputato che ha, non solo collaborato, ma che ha cercato di aiutare gli inquirenti. Come andò? Eh, si trattava di un giorno in cui si faceva - se ne dà atto nel verbale di sopralluogo che è agli atti - si faceva il sopralluogo per vedere esattamente il percorso che quella notte, a dire di Lotti, avevano fatto allontanandosi dopo l'omicidio, dalla piazzola di Vicchio, nel momento in cui la macchina di Pacciani e Vanni era davanti e lui era dietro con la sua. Dice: in questo percorso, per quel che mi ricordo, il momento non lo ricordo. E poi vedremo meglio in quale situazione si colloca, prima di quella fonte dove poi quei testi Caini e Martelli lo avrebbero visto. Ci fermammo... Si fermarono, fermarono le macchine e andarono su a piedi e nascosero qualcosa dentro uno stanza, che ci descrive. Ecco, questa casa, dove sarebbero - a dire del Lotti - avvenuti questi fatti e dove Lotti ci ha portato, è una casa che noi non conoscevamo, non l'avevamo mai nemmeno ipotizzato che potesse esistere un luogo di questo tipo. Capite, anche questo è un elemento di una certa importanza, di una certa rilevanza. Ma come, un Lotti che durante il sopralluogo certe cose le ricorda, certe cose non le ricorda, da solo dice: ma guardate, in quella casa là io ci sono stato. Ci porta e da solo... come vi ha raccontato il dottor Giuttari diffusamente, le cose andarono così. Scese dalla macchina. Una strada impervia, una strada dove con le macchine non si poteva veramente andare. Un modo di avvicinarsi alla casa, durante il sopralluogo, chiaramente di persona che conosce i luoghi. Si avvicina alla stanza, sa come entrare. Eh, anche questo è un episodio che, non solo completamente sconosciuto, ma sicuramente si inserisce nella sua mente, nel suo ricordo, come un episodio legato a quella notte. Di più non sa. Ma vi immaginate un Lotti... un Pacciani e Vanni che si allontanano dal luogo dell''omicidio; che si fermano a depositare un qualcosa, quanto vogliano mettere al corrente Lotti dei dettagli. È chiaro che Lotti ha visto; quello che ha visto ci racconta. Quello che ha visto personalmente ci racconta nei dettagli; non ha visto cosa è stato messo, e su quello dice: ‘io non lo so'. Il classico modo di raccontare di Lotti. Ecco: 'le cose che ho visto nei dettagli; le cose di cui non so darvi spiegazione specifica cosa c'era, chiedetelo agli altri'. Anche questo episodio che motivo aveva di essere svelato da Lotti se non fosse stato vero? Che bisogno c'era di fare questo racconto che nasce sul posto, sul luogo. Evidentemente non ci ha pensato prima. Vede la casa, dice: 'guardate, così'. Eh, in quel verbale di sopralluogo si dà atto, minuto per minuto, circostanza dopo circostanza, come andarono le cose. Ci meravigliammo tutti, c'ero anch'io. E gli andammo dietro; e Lotti conosceva benissimo i luoghi. È persona quindi, un imputato che si comporta in questo modo, incapace? È persona che non capisce, che non si rende conto? 

giovedì 28 maggio 2015

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 20 febbraio 1998 - Prima parte

Presidente: Allora, Elisabetta, prendiamo atto della posizione delle parti. Ah, Zanobini? 
(voce fuori microfono)
Presidente: Ah, va bene. Allora, Vanni presente, con i suoi difensori Mazzeo e Filastò. Bagattini e Fenies per Faggi, sempre contumace. Zanobini per Corsi, assente. Diamo atto che si presenta Lotti Giancarlo, che vedo ora che siede accanto al difensore Bertini. E poi l'avvocato Curandai per gli altri e l'avvocato Pellegrini per le parti civili. Allora, Pubblico Ministero.
P.M.: Sì, Presidente, grazie.
Presidente: Possiamo riprendere.
P.M.: Senz'altro. Signori Presidente, signori Giudici. Stavamo esaminando ieri i tempi, i modi della ammissione di responsabilità da parte di Lotti Giancarlo e avevo evidenziato loro che questa ammissione di responsabilità avviene in due tempi: una prima che è ancora caratterizzata da una parte di reticenza e una seconda nella quale invece si tratta di una confessione sicuramente spontanea, E mi preme, a questo punto, sottolineare ancora - come ho fatto bene ieri - che la parte in cui Lotti si decide, in buona sostanza, a confessare le sue responsabilità, in un primo momento solo per i fatti dell'84 e dell'85, avviene perché c'è una forte contestazione di elementi obiettivi. È solo per quel motivo che matura questa convinzione e quindi quella era la costrizione. E quindi dobbiamo riconoscere tutti che, stando così le cose, si arriva a questa svolta, in questo processo, in questa indagine, unicamente per il lavoro puntuale, specifico, attento della Polizia di Stato. Dobbiamo tutti riconoscere alla Squadra Mobile di Firenze, al suo dirigente, dottor Giuttari e al dirigente della Squadra Omicidi, il dottor Vinci, e a tutti i ragazzi di quella squadra, che gli elementi che hanno poi portato a quella ammissione sono elementi che sono stati evidenziati da un'indagine puntuale di Polizia. Solo, esclusivamente per questo, c'è stato questo assaggio, questo mutamento di impostazione del Lotti. Che da teste diventa indagato. E, solo successivamente - facevo presente ieri - si arriva a quella che è invece la fase delle ammissioni spontanee. Cioè quella fase in cui Lotti oramai ha capito che l'unica soluzione è dire tutta la verità, perché una mezza verità non serve né alla Giustizia, né a lui come oramai indagato, imputato. E a questo punto della indagine, lo abbiamo ricostruito in quest'aula, allora Lotti effettivamente si siede al tavolo e racconta tutto ciò che ulteriormente sa o ha vissuto personalmente. E ci parla quindi, diffusamente, con dovizia di particolari, anche di quegli altri due omicidi di cui è imputato: quello dell'83 e quello del 1982. Giogoli e Baccaiano. Qui effettivamente, in questa parte della sua ammissione, Lotti va. da solo. Nessuno ha da contestargli niente, non abbiamo ancora elementi specifici, come gli altri omicidi. Questo lo abbiamo visto bene in quest'aula e quindi è giusto oggi riconoscerlo. Perché per quei due omicidi, '83 e '82, c'era solo la ricostruzione oggettiva. Come sono andati i fatti ce l'ha spiegato Lotti e abbiamo potuto poi verificare in questo dibattimento che dice la verità anche su quello. Ma attenzione, è importante anche in questo momento riconoscere che, nella confessione, nel dirci: guardate, io ero presente in quei due episodi, vi spiego perché e ce l'ha spiegato. Niente so dei precedenti, dei due omicidi dell'81 e di quelli ancora pregressi che, come sappiamo, sono commessi con la stessa arma. Lui, dei due omicidi dell'81, sa solo degli elementi per uno di questi, di quello di Calenzano e ce lo racconta. Eh, anche qui dobbiamo crederlo. Ma non dobbiamo crederlo perché oramai è persona sulla quale noi abbiamo un debito di credibilità. No, perché ci spiega come obiettivamente sono andate le cose. Ci spiega che la maturazione di questa complicità con i due oramai amici, Vanni e Pacciani, che risale nel tempo, come minimo, a metà degli anni '70, a volte ci ha detto '78, ma comunque sicuramente prima. Ci potrebbe far credere che lui è coinvolto nei fatti dell'81. Però ci spiega come mai, solo dall''82 in poi a Baccaiano, è stato coinvolto. Gliene avevano parlato e solo nell'82, a seguito di quell'episodio in cui fu costretto a subire quelle attenzioni particolari di Pacciani, ebbe poi il coinvolgimento totale. Lui diceva: non ci credo, sempre cercato di .farci capire di come, anche in questo fatto, era marginalmente invischiato. ma poi andai, vidi e mi resi, conto. Allora qui vediamo come, in una fase di questo genere,, è chiaro che, se avesse saputo qualcosa di ; specifico del resto, lo avrebbe detto. Lui sa solo quello che ci ha raccontato di quell'omicidio di Calenzano dell'81, che vedremo fra un attimo. Ma il fatto che del resto non sa nulla, ci fa capire come è, anche in questo, credibile. Perchè se uno, come vi è stato fatto credere, con illazioni pure e semplici, avesse inventato,, poteva inventare l'81, l'80, se c'era, o tutto quello che doveva essere inventato di questo sodalizio. No, qui le illazioni non hanno più assolutamente spazio. Qui, chi continuasse a fare illazioni in quest'aula davanti a voi, come è stato fatto nel corso del dibattimento, dicendovi: guardate, qui c'è un suggeritore. È qualcuno che deve portare elementi oggettivi per fare questi discorsi, perché noi abbiamo dimostrato in quest'aula che le cose stanno in modo ben diverso. Per le illazioni ci sono solo responsabilità di chi le fa. Non si può assolutamente inventare o gettare il dubbio su chi ha fatto queste indagini, sulla Polizia di Stato, se non ci sono elementi. I fatti oggettivi sono quelli che vi ho descritto. Ma non ve li ho descritti io perché mi è venuto in mente di descriverli così. Perché oggettivamente sono andati in questo modo. Allora noi abbiamo questo debito di credibilità totale, nei confronti del Lotti anche per questo comportamento molto chiaro e lineare e perché, quando si è seduto finalmente e veramente con l'intenzione di collaborare, ha descritto fatti, quelli dell'83 e del 1982, che obiettivamente ha descritto di sua spontanea volontà. Ha spiegato come e perché era presente e ha dato la possibilità di verificare che ciò che ha detto è la verità. E quello che è più importante, per questo debito di credibilità che abbiamo, è che ha spiegato, narrato, per quella che è la dinamica materiale di questi ulteriori delitti, l'83 e l'82, ha spiegato circostanze che noi non conoscevamo, assolutamente. E abbiamo potuto, ex post, verificare che diceva il vero. E quindi, siccome ha spiegato delle circostanze che nessuno sapeva, capite, chi glielo faceva fare di inventare. Ecco un altro elemento che deve essere molto ben presente davanti a voi. E dall'altra parte, ha... non si è dilungato su circostanze invece che noi conoscevamo, sulle quali poteva benissimo darci ulteriori elementi. Ad esempio, molto onestamente - anche questo è un fatto che dimostra quanto questo imputato sia stato leale con la Giustizia, fra virgolette -dice: io, di quella lettera di cui mi parlate, spedita nell'85 a quel magistrato donna, la dottoressa Della Monica, di cui voi dite, mi dite voi inquirenti, voi investigatori, che avete un sacco di particolari, che era un pezzo di un lembo del seno della ragazza. Io non so niente, l'hanno fatto evidentemente loro. Capite che, se era uno che aveva una verità preparata, non aveva altro di meglio che dare conforto inventando su questo fatto. No, è stato leale. È venuto, dice: 'io di quello lì non so assolutamente niente. È inutile che mi chiediate'. E, coinvolto com'era, evidentemente si tratta di una circostanza che è stata gestita da altri. Perché, come sapete, lui, al contrario, ha raccontato fatti che noi non conoscevamo, a proposito di queste lettere. Le vedremo fra un attimo. Quindi, capite, una persona... io ci ritorno su questo discorso, perché mi ha veramente dato fastidio che si sia insistito sul fatto di una verità che qualcuno gli ha suggerito. Ma se uno gli suggerisce, gli suggerisce quello che già si sa. È elementare. No, quello che già si sa, se Lotti non sa niente, giustamente ha détto: io non so niente, cosa volete da me, chiedetelo... Proprio è cascato dalle nuvole. Ci ha spiegato allora, sedendosi a quel tavolo di cui parlavo, perché si è unito a loro. All'inizio, per quanto riguarda l'82, dice: sì, li conoscevo. Li conoscevo da tempo. Andavo a casa di Pacciani. Un giorno dipingeva la casa, è successo questo benedetto episodio. Non sappiamo gli esatti contorni, però la cosa sicura di questo episodio è che il Lotti si è sentito costretto, soggiogato, si è sentito nelle mani della persona che gli aveva fatto quelle avances, o aveva tenuto quel comportamento. È chiaro che quindi ha dimostrato e ha spiegato il perché si è trovato in quella situazione. È sufficiente per dire, sulla base di quello, vieni con noi a vedere, o a fare un omicidio, a fare da palo. Assolutamente no, per carità. C'è una componente di partecipazione attiva, di coscienza e volontà di andarci inequivocabile, di cui il Lotti deve rispondere. È dal suo punto di vista che ce lo racconta: guardate, io mi sono sentito obbligato. Poi, privilegia quindi, in questo contesto, l'aspetto della costrizione: mi sono sentito costretto. Ma non ha dubbi a dire: no, ci sono andato. E qualche frase, qualche frase se la lascia scappare in questa fase della contestazione in cui gli si dice: ma cosa ci sei andato... ma perché ci sei andato? Ma come è possibile? Eh, dice: un po' mi piaceva anche vedere. Non ci credevo. Io qualche coppia in qua e in là l'ho guardata. Ecco che, con le difficoltà sempre, o con la attenzione che ha a difendersi - perché, anche qui è un altro elemento, è persona sicuramente attenta a proteggere se stesso -: "Mi hanno costretto. Io non avevo capito bene cosa si andava a fare. Mi parlavano di cosa facevano". Ecco le frasi che vengono fuori molto chiaramente. "Io non ci credevo. Ci sono andato per vedere. Sono stato più indietro con la mia macchina. Ho visto. Poi sono stato coinvolto" definitivamente, tanto che per quel delitto successivo, dell'83, Pacciani ha voluto in qualche modo legarmi indissolubilmente a loro, costringendomi, nei modi che ci ha descritto, a sparare perché così io c'ero dentro fino al collo come loro. È ovvio che nell'economia, nella dinamica di un delitto di quel tipo, non è tanto la massa di fuoco che può avere armato, prodotto la mano di Lotti. È il coinvolgimento. Tant'è che poi sappiamo, in quel racconto, è stato il Pacciani a prendere la pistola e a finire l'opera. Perché Lotti ci dirà: io non so se li ho presi. Con tutte quelle descrizioni che vedremo fra un attimo. E allora vedete che si siede davanti a questo tavolo, racconta, spiega; spiega cose che noi non sappiamo. Ma insomma, anche il solo pensare che un imputato, oramai imputato, con tanto di difensore, e che viene sottoposto a interrogatori, non solo i ammette i fatti, ma dice di sua spontanea volontà: ho sparato anch'io. Signori, ma insomma, cosa altro vogliamo da un imputato che è comunque persona che ha capito a quali conseguenze può andare incontro. No, è persona che addirittura nessuno poteva pensare, ma nemmeno ipotizzare che avesse lui stesso sparato. E quindi capite il debito di credibilità che a questo punto abbiamo nei confronti di questa persona, imputato, che risponde davanti a voi, che pagherà sicuramente le conseguenze. Ma il debito di credibilità che abbiamo è quanto è impossibile ancora oggi pensare a ipotesi che sono solo illazioni. Non ci voglio più tornare, ma è una cosa che ce l'ho dentro fino dal primo momento di questo processo, quando sento dire, ho sentito dire: c'è un suggeritore. Gli elementi oggettivi li avete voi. Ci direte, al momento opportuno, qual è la verità ricostruita in questo dibattimento. Questo è l'iter, questo è il procedere di questo imputato. Abbiamo quindi già degli elementi, e ne avremo tanti altri, io voglio andare sicuramente per ordine, per crederlo, sulla base di questi semplici elementi che nascono dalla sua condotta, al di là degli elementi obiettivi, e dei riscontri che vedremo più avanti. 

mercoledì 27 maggio 2015

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 19 febbraio 1998 - Dodicesima parte

Segue dall'undicesima parte

P.M.: Dice di averlo conosciuto nell'estate '85 e di quell'estate ricorda: "Voglio aggiungere che ho avuto la sensazione che Giancarlo avesse qualcosa da nascondere. L'ho avuta quando eravamo soli; che però non aveva il coraggio di dirmi. Mi sembrava, in sostanza, che Giancarlo aveva qualcosa che gli rodeva dentro della quale, però, aveva paura lui. Gli ero vicina, gli dicevo che lo potevo capire, ma lui non sapeva se poteva fidarsi e raccontarmelo." Ora capite, noi non sappiamo l'oggetto di questo silenzio. E non possiamo altro che fare delle ipotesi. Però, nell'ambito delle ipotesi, gli elementi oggettivi sono: che la ragazza lo ha raccontato a noi tranquillamente di sua spontanea volontà. E che la ragazza ha percepito questo dato. Ora, pensare che il Lotti avesse un mistero che era quello, non so, che forse doveva pagare come a volte diceva per cambiare discorso, la rata della macchina o l'assicurazione, mi sembra non avrebbe portato una donna come Bartalesi Alessandra a oggettivizzare a noi e a voi questo racconto. Allora io vi dico: è quello che è, però nella storia di Lotti c'è questo passaggio, questa maturazione e questo rodersi dentro, questo voler dire e non dire qualcosa che non sa se ancora portarsi a lungo dentro. Qualcosa di cui si deve liberare, non trova la persona giusta a cui raccontarlo. Eh, io non vorrei sopravvalutare questo dato. Ci mancherebbe! Però non vorrei che passasse come un dato inesistente, inconsistente. È un fatto. Noi valutiamolo per quello che è, ma teniamo presente nel momento in cui si dice: Lotti sta zitto, Lotti parla. Ora lo sta per dire, ora lo dirà. Cosa ci dirà? E' una ragazza, per inciso, che ci racconta dei dati sempre obiettivi. Quindi Lotti lo ha conosciuto bene. Dice, ci racconta anche lei che ha difficoltà nei rapporti sessuali. Dice una cosa anche che, detta dalla Bartalesi, è un elemento che noi teniamo oggi presente per valutare Lotti. Dice: "Mi portò nella piazzola di Scopeti, conosceva perfettamente il luogo, comprese le radici degli alberi. E mi spostava, aveva paura che cadessi." Perché abbiamo visto, è portatrice di un handicap. Quindi, dice: 'mi ha portato lì, il luogo lo conosceva bene. Le radici degli alberi', ci dice la Bartalesi. Che è l'ultima persona che ci potrebbe fare questo racconto in un processo simile. L'ultima persona che ci può dare riscontro al Lotti circa la conoscenza di quelle esatte radici, dove poi era la tenda, o le radici lì nei pressi. Non è sicuramente quel metro, non sono i 10 metri, non sono i 20 metri, è il luogo Scopeti, dove lui va chissà perché con questa ragazza. La meraviglia della Bartalesi è nelle sue parole. Ma è un fatto anche questo. Allora, quando noi arriviamo a quella confessione famosa. Famosa perché oggi ha assunto le caratteristiche che ha assunto essenzialmente a carico della responsabilità di Lotti, abbiamo quasi la sensazione di poter credere che, in quegli anni, in quel momento, avesse qualcosa non dico sulla punta della lingua, ma era un tormento che non avrebbe tenuto ancora a lungo. Gli mancava solo la persona di cui fidarsi, gli mancava il momento. Aveva capito sicuramente che processi a Pacciani, Vanni che veniva interrogato, prima o poi si sarebbe arrivati a lui. Era un tormento che sicuramente non poteva tenere a lungo in una situazione che noi conosciamo di minacce reciproche, o comunque di telefonate come quella di Pacciani a Vanni che lo stesso Vanni ci ha raccontato. E quindi capite che, un Lotti, si trova in una situazione personale tale che sì, vuole nascondere, ma se poi arriverà un giorno qualcuno che glielo fa dire, o comunque qualcuno che si trova a contestargli qualcosa, probabilmente Lotti non si tirerà indietro. No, nel momento in cui si arriva alla confessione, il Lotti è lì, bello, tranquillo, duro. Non... Ci mette un po' a confessare. Finché non si arriva alla contestazione di tutti gli elementi che vi ho elencato: Pucci, Galli, Ghiribelli, telefonata, Nicoletti, si guarda bene, poi, nel confessare quella partecipazione a quell'appuntamento nella notte dell'8 settembre '85, le difficoltà non sono poche. Perché quello che c'è da dire è veramente grande, è veramente difficile. Altro che suggeritori! Io ritorno su quell'argomento. Perché è stato portato in quest'aula. Io lo voglio affrontare fino in fondo. In una situazione di questo genere si può correttamente, lealmente pensare a qualcuno che abbia suggerito a Lotti di dire qualcosa? Se avessi voglia, alzerei ancora la voce. Perché qualche volta è stata alzata. Ma i dati di fatto sono questi, non ho bisogno di alzare la voce. Come si può pensare che qualcuno abbia suggerito? Questo signor Lotti confessa e dice esclusivamente perché gli è stato contestato una serie di elementi oggettivi dalle quali non sa come venire fuori. Tutto qui, tutto qui. È una liberazione, non è una confessione. Ma come si può onestamente presentare a voi una ipotesi diversa? Ecco la confessione com'è parziale, frammentaria, reticente. Ma identificata in due parole sole: "Ero incastrato." Sono anni che lui sa che è incastrato, sono anni il Lotti che non sa come fare a venirne fuori; che prima o poi qualcuno gli renderà conto di quello che ha fatto. Teme che sia Vanni a parlare, teme che sia Pacciani; chiunque possa parlare, qualcuno che ha visto. Figuriamoci se pensava o sapeva, forse lo sapeva, chi lo sa? Ma ha parlato, perché incastrato, altro che pentito! In questa fase il signor Lotti, non solo è credibile, ma è persona che ha solo confessato. Vi ricordate quando all'inizio stamani vi facevo la differenza, ci sono due possibilità di confessione: la confessione spontanea, uno che si siede a tavolino e uno che invece confessa perché è costretto da emergenze e da indagini. È questa la... questo intendevo dire, a questo mi riferivo. Lotti non ha suonato il campanello di nessun investigatore, dicendo: 'beh, mi levo un peso perché la Bartalesi mi ci ha portato, o perché mi sono confessato, o perché a 50 anni io non resisto più a questo peso'. No. Si mette a sedere con difficoltà. Figuriamoci se ci si voleva mettere su quelle sedie della Questura di Firenze! Non mi ricordo se era in Questura, o se era in Procura. E comunque, su quelle sedie, perché qualcuno gli contesta: 'ma guarda, ma tu eri lì' - nessuno sa cosa avevano fatto - 'ma tu eri lì'. E lui, pian pianino, racconta. E quindi, quando Lotti dirà: "Ho dovuto ammettere ciò che oramai sapevano, ho dovuto ammettere che c'ero, mi hanno incastrato", signori, dice come sempre la verità il signor Lotti. Eh, questo è il senso di quelle due telefonate di cui avete la trascrizione, la telefonata con la Nicoletti e la telefonata con don Poli. "Ho dovuto ammettere che c'ero." Eccola la verità. "Quello è procuratore. Oramai l'ho detto. Se l'ho detto, è la verità." Ma insomma, è il linguaggio di Lotti. Cosa doveva dire all'amica Nicoletti? Quindi, anche la telefonata che vorrebbe essere presentata a voi come elemento di scandalo, di indagini... - mah, io non voglio usare termini che non voglio usare - è presentata: i fatti sono questi. Altro che pensare ad altro. Il Lotti, anche in quelle telefonate, dice la verità. Come si può onestamente, davanti a voi, distorcere il contenuto o la portata di quella telefonata, di quelle telefonate, trascritte o non trascritte. Facciamo, fate tutti il tutto quello che volete, ma è questo il contesto. "L'ho detto mi hanno incastrato": è vero, lo hanno incastrato. Un Lotti che usa il linguaggio che sappiamo, come ha fatto ad individuare così bene questo vocabolo, è così, perché è la verità, perché sa, sa quasi di, di film poliziesco. Mi hanno incastrato, è la sua logica.' Mi hanno incastrato, l'ho dovuto dire, che dovevo fare?' Però, c'è un però, no? È una riprova che questo signor Lotti si comporta come colui che ha incastrato e ammette ciò che gli viene contestato. Ecco, il punto fondamentale. Ammette ciò che gli viene contestato, non è un confesso, o un pentito che si mette a sedere. E' uno che ammette ciò che gli viene...tant'è che, in tutta questa prima fase, cosa fa? Ammette, esclusivamente, la sua partecipazione ai fatti dell'84, dell'85, e poi dell'84. Perché solo sui quei fatti, sia pure frammentariamente, abbiamo elementi da contestargli, qualcuno lo può incastrare. Abbiamo la possibilità di dirgli: 'guarda, nell'84, nell'85 è andato così. Nell'84 sappiamo che egli si ricontesta, 'ci sei andato in quella piazzola con la Nicoletti, ci sei andato con Pucci una settimana prima, hai riferito queste cose a Pucci, hai detto che poi ne avevate parlato con Vanni'. A questo punto, sempre su contestazione, Lotti, gradatamente, con le difficoltà che sono descritte in quei verbali, parla. Ma si ferma, si guarda bene di andare oltre ciò che gli viene contestato. Ecco, un altro elemento di forte oggettiva credibilità sostanziale delle sue dichiarazioni. Per carità, avrebbe ancora da dire di suo delle cose, le dirà, ma non le dice subito di suo. La sua confessione nasce da contestazione. Ma in queste ammissioni, per i soli 85 prima, 84 poi, sempre perché qualcuno gli dice 'guarda tu c'eri, ne abbiamo le prove'. Cosa fa? Minimizza fin che può la sua partecipazione. Anche questo è un atteggiamento che se uno continua ad usare la parola "inventasse", perché è stata portata in questo processo, io non la voglio assolutamente non usare. Se uno inventasse che bisogno avrebbe di stare a minimizzare la sua partecipazione.' C'ero, tanto devo dire così'. Abbiamo visto, bisogna vedere la confessione se qualcuno è stato indotto, se...vabbè potrebbe essere così. E allora, se così fosse, mi capite che non avrebbe senso che un Lotti si mettesse lì a fare distinguo: 'sì c'ero però, sì c'ero però'. E' un tutto un sì c'ero però. E, fin dai primi momenti nell'ammettere, fa quelle descrizioni, che poi gli sono contestate come contraddizioni. Perché' all'inizio dice "siamo andati nella piazzola nell'85, non li avevamo riconosciuti ci hanno minacciato, poi ci hanno voluto spara...ci stavano per sparare". Tutto una situazione in cui, fin che può, sta sempre più sulla strada - è un concetto ovviamente che uso per spiegarmi - cioè cerca in quei racconti di fare una partecipazione più simile possibile a quella che lui sa essere stata quella di Pucci. Cioè, 'io ero lontano, ho visto, ho intravisto, ma chi era, chi aveva'. Nel primo momento, noi avevamo paura, siamo stati minacciati, abbiamo visto poco, abbiamo intravisto... Reticenza costante, esitazioni, non certo una scelta volontaria. La scelta volontaria avviene subito dopo, cronologicamente nel tempo, un po' di tempo dopo. Ma all'inizio, il signor Lotti è una vittima. Si vuole dipingere come vittima, e questo è, come vi cercavo di dimostrare, un elemento forte per crederlo ancora di più. Perché non si siede e fa il racconto. Finché può, finché può, cerca di nascondere tutto ciò che può nascondere. Voi, degli omicidi dopo dell'83, dell'82...non sapete nulla. Io mi guardo bene, mi parlate dell'84, mi dite che ci sono stato, e non ve lo posso negare. Io, ovviamente, enfatizzo questo dato che voi avete, sapete che c'ero, e quindi ve la dico tutta. Ma, si guarda bene, fa...anche in una situazione in cui gli si fa capire che, è bene che la dica tutta la verità. Il suo difensore, in quel momento, gli fa capire che la deve dire, ci pensa, minimizza. Poi, finalmente, pian piano si decide e racconta 11 resto. Fa la confessione piena degli episodi, I così come sono avvenuti per quelli di cui aveva già parlato 84 e 85, e poi di quelli successivi: a 83 e 82, che Lotti ha raccontato dicendo che era presente nei modi che sappiamo. Cioè, solo ed esclusivamente in un secondo momento, ha modificato ulteriormente il suo comportamento. Perché ha capito - e in questo dobbiamo dargli atto che ha fatto una maturazione, una svolta sicuramente il difensore, se è stato il difensore, o lui stesso avranno avuto molto chiara la situazione - in quel momento, solo in quel momento, dopo tutte le contestazioni, ha raccontato fatti che assolutamente non conoscevamo. Presidente, io penso che oggi io mi potrei fermare qua, data l'ora. Vedo che sono venti alle due, e sicuramente io ne ho in abbondanza per tutta la mattinata di domani.
Presidente: Bene.
P.M.: Nel caso, ecco, vedremo... come orari come possiamo fare. Io, penso domani di riuscire a terminare. Però, vorrei far capire che ho necessità di andare molto lentamente e puntuale e loro...
Presidente: Si, lei si prenda tutto il tempo che vuole...
P.M.: ...loro, grazie Presidente.
Presidente: Eventualmente, abbiamo anche sabato mattina.
P.M.: Grazie. Volevo ipotizzare questa...
Presidente: Non c'è problema.
P.M.: ...questa situazione.  
Presidente: Okay. Allora, l'udienza è tolta a domani alle 9.30.
P.M.: Grazie.
Presidente: Nuova traduzione del Vanni. 
Avvocato: Signor Presidente, mi scusi. Eventualmente, se sabato mattina abbiamo degli impegni al Consiglio dell'Ordine.
Presidente: Non lo so se è sicuro, vediamo.
P.M.: Vediamo. Lo vediamo domani, nel caso rimanderei a sabato mattina...
Presidente: Io, io per far concludere il Pubblico Ministero, sono disposto anche a conclude...a fare il pomeriggio domani.
P.M.: Io preferirei eventualmente un'ora sabato mattina, comunque...
Presidente: Eh...tutto qui. 9,30, sì.
P.M.: Domattina 9.30.
Presidente: 9,30.
P.M.: Grazie.

martedì 26 maggio 2015

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 19 febbraio 1998 - Undicesima parte

Segue dalla decima parte.

P.M.: È un tipo però che, fra tutte queste caratteristiche, ne ha un'altra: è curioso. Lo ha spiegato bene lui. Perché, nel momento in cui gli si dice: 'ma tu hai chiesto...'. Sempre, lui, tutte le volte ha dimostrato di avere chiesto qualcosa che non gli tornava, lo ha sempre detto, dice: 'io glielo chiedevo'. Dice: 'ma tu glielo hai chiesto a Vanni chi era questo? Glielo hai chiesto a quell'altro chi era quella persona? Gliel'hai chiesto cosa hai fatto?' 'Sì, io glielo chiedevo, glielo chiedevo, glielo richiedevo. Ma se di più non mi dicevano, che ci posso fare?' Io, a questo lo credo che fosse con gli amici e con quei conoscenti, curioso. Ma credo anche nel limite che ha trovato questa sua curiosità. Cioè, più in là non è andato. Io sono sicuro che, quando ci ha fatto quei racconti sui suoi colloqui con Vanni su certi fatti - che poi vedremo nei dettagli - il Lotti abbia chiesto; rientra nella personalità di uno come il Lotti. Però si arrende. Quando non glielo dicono, non glielo dicono. Da tutto questo emerge una caratteristica. E mi riferisco a quella caratteristica relativa ai suoi rapporti con le donne. È una caratteristica che, secondo me, va presa bene in considerazione nel momento in cui dovremo valutare questo aspetto della sua condotta. È una personalità, quella descritta, che indubbiamente si riflette nella sua sfera sessuale. Questo lo abbiamo capito da noi, ce lo hanno detto chiaramente i consulenti tecnici in quest'aula e per scritto, però è chiarissimo. E noi non possiamo, nel valutare, non tenerne conto. E ci ha raccontato, oltre i rapporti con le prostitute, le difficoltà dei rapporti con le donne, frequentava cinema a luci rosse, aveva o ha avuto, nei limiti che sappiamo, rapporti omosessuali. Lui ci tiene subito a spiegare che li ha subiti, che sono transitori, che sono stati occasionali, che li ha dovuti subire, appunto. Però è una caratteristica della sua personalità e del suo vivere questo tipo di rapporti che emerge poi chiaramente nell'elaborato scientifico dei consulenti. Anche questo non contestato da nessuno, ma spiegato bene in aula. "In estrema sintesi, è una personalità particolare” - ci dicono - "Ma la realtà clinica del periziando può essere identificata in quella di un uomo apparentemente immune da patologie" -era quello che ci interessava - "somatiche e psichiatriche di rilievo." Cioè, è una persona con le caratteristiche che ho finora descritto. "Ma orientato in senso omosessuale.” Cioè, i consulenti, dalla semplice anamnesi e da pochi altri elementi, hanno rilevato e ricavato questa sua omosessualità, eterosessualità, non lo so. Comunque un atteggiamento di questo tipo. Tant'è che, per dei consulenti che lo hanno visto una o due volte, è emerso chiaramente. E in più, è specifico il dato: "Lotti Giancarlo è connotato da forti istanze di carattere perverso, sicuramente tali da essere parte della sua personalità, delle sue scelte e della sua stessa interazione con l'esterno." Una personalità perversa. I consulenti tecnici, nei limiti delle loro conoscenze, lo hanno messo bene in evidenza. Direi che gli elementi obiettivi che noi abbiamo acquisito nel corso di questo dibattimento, ci permettono di dire che di questa perversione vi è ampia traccia in numerosi altri comportamenti. E i riscontri non sono quelli che vi ho finora elencato. E è più che comprensibile che siano venuti fuori nell'esame da parte dei consulenti. Questo è il Lotti. Chi frequenta una persona come Lotti? Lo dicevo all'inizio. Si tratta, a questo punto, di vedere qual è il suo mondo di frequentazioni. Finora abbiamo visto la sua personalità, la sua indole, il suo io; vediamo chi frequentava. Perché, vedendo chi frequentava, si può capire se abbiamo elementi oggettivi per capire chi frequentava al di là del suo racconto. Chi può frequentare - chiediamoci - una persona come questa? E noi lo abbiamo sentito univocamente da tutti i testi sentiti nel dibattimento a cui è stata fatta questa domanda. L'amico e gli amici sicuri erano, riferito da tutti: innanzitutto Fernando Pucci. Ma Pucci ce lo ha ammesso fino dal primo momento, ce lo ha detto. Ma è ovvio, un uomo di una pasta identica, sostanzialmente. Sembra, si dice, comunemente i tipi simili si cercano, poi si trovano, no? Dio li fa e poi li accoppia. Quei detti popolari che, in questo caso, mi sembra non stonino assolutamente. Ma chi frequenta poi - e su questo lo stesso i testi sono stati tutti indistintamente sicuri e tranquilli. I rapporti costanti sono, di un tipo così: con Vanni, con Pacciani, fissi. Con Pucci, fissi nei termini che sappiamo. Fissi nei termini che sappiamo, eh. Nessuno vuole dire niente di più. Tutti sapete quando, come e perché. Non voglio andare nei particolari di quando e come, dove si frequentavano, se andavano alla cantinetta a bere o non a bere. Le persone di riferimento che vengono fuori sono queste. Si è sentito parlare di un maresciallo, non maresciallo, Simonetti, morto; di un altro postino Dori Vanio morto. Che, mi sembra di capire da quel poco che sappiamo, non hanno nessun elemento per contrastare queste personalità. Sono tutte dello stesso tipo di personalità. Tant'è che il discorso "Compagni di merende" che io, mi è venuto veramente, come a tutti, a noia, è sicuramente un concetto che bene esprime questa situazione. E sono termini usati dall'imputato Vanni. E quindi, questo io sto cercando di sottoporre a loro come gli elementi obiettivi di una vicinanza fra questi personaggi - Lotti, Vanni e Pacciani, per quel che serve, e Pucci - sono elementi che prescindono dalla commissione dei delitti, eh. Su questi ancora non ci siamo; siamo in un vissuto di paese in cui queste sono le persone che vanno insieme a prostitute, vanno al bar, si incontrano, si frequentano, vanno a fare gite, vanno a mangiare un panino, a bere, non ha importanza. Comunque, il vissuto è questo. Cioè, Lotti - non ci si può meravigliare - queste sono le persone che conosce. E, anche questo, direi che, nell'individuazione di questi Lotti e Pucci che quella sera erano 11, in quella determinata macchina: il 128 rosso, non è poco. Perché non sono persone estranee. Il giro, se giro si può parlare, se di giro si può parlare in una vicenda che ha la portata che ha questa, è il giro giusto, si direbbe. Quelli sono. Cosa facevano, lo vedremo. Ma sono loro: andavano fuori insieme. Non c’è qualcuno che vi è venuto a dire: per carità, io non sapevo nemmeno che si conoscessero. Va bene che il paese è piccolo, ma è un coro unanime di persone: uomini, donne, grandi, bambini, dottori, preti, baristi, orefici, tutti. Il giro, gli amici, erano loro. Tutti, in paese, per carità, cosa facessero nessuno lo sa. Un paese santo come quello di San Casciano, glielo dobbiamo riconoscere, non ne esiste nelle deposizioni raccolte in questo dibattimento. Però, su una cosa, dobbiamo ammettere: i cittadini di San Casciano sono stati concordi. Il gruppo era quello. Se voi indagate su quelli e avete qualcosa da dire su quelli, noi di San Casciano non sappiamo niente, ma sicuramente loro, sono loro, sono quelli, lo sanno. Domandatelo a loro. Noi non ci si entra nulla; ma nessuno ci ha dipinto un quadro di amici diverso da questo. Eh, insomma, non parliamo dei delitti, ma non è poco. È importante anche vedere come si arriva al Lotti, perché ci si imbatte in Lotti. Non ci si imbatte casualmente. Il teste, dottor Perugini, che ha curato le indagini fino a tutta l'inchiesta che ha portato al processo a carico di Pacciani, vi ha spiegato esattamente sul punto che cosa era emerso. E mi sembra che dobbiamo riconoscergli, come sempre, non solo l'obiettività e la professionalità che si merita, ma dobbiamo anche mettere in luce fatti che vi ha subito detto - perché poi risulta dai verbali - che di Lotti, Vanni, Faggi, attenzione, come conoscenti o amici di Pacciani, se ne parla dal 1990. Cioè, di questo sodalizio di amici - siamo sempre fuori dai delitti - era un fatto di cui la Polizia Giudiziaria se n'era accorta nel momento in cui, nel 1990, si era cominciato a pensare a chi. poteva conoscere Pacciani. Non certo pensando a complici; si pensava, giustamente e correttamente, che, interrogando gli amici, si poteva sapere qualcosa su di lui. E così fu fatto. Già nel 1990 furono fatte, attenzione, perché serve poi - vorrei che memorizzaste questo dato -nel 1990, mese di luglio, vengono perquisiti; Vanni, Faggi. E interrogato Lotti. Cioè, non si va alla ricerca di estranei nel 1995; sono persone che si conoscono già dal 1990. Addirittura, due: Faggi e Vanni... Vanni non fu perquisito. Faggi viene perquisito. Nel 1990 vengono sentiti Vanni e Lotti. Fu perquisito Faggi, Allora capite che, nel momento in cui poi si incomincia ad avere davanti questa 128 rossa, coda tronca, che nell'85 è alla piazzola di Scopeti, caspita, è di proprietà di Lotti. E questo Lotti non è un estraneo. Eh, stai a vedere che è proprio un amico di loro. Ma se noi facciamo un attimo questa analisi del passato di queste persone, di questo sodalizio, e guardiamo Lotti — io gliel'ho contestato e vi ho fornito il verbale - c'è un verbale relativo al Lotti del 1990. Ce ne ha parlato il dottor Perugini come fatto storico. Questo verbale sapete come termina? In questo modo: 19 luglio '90, interrogatorio, primo e unico interrogatorio a Lotti in quegli anni. "La Polizia Giudiziaria non lo conosce; l'ufficio contesta al teste di essere poco spontaneo, gli chiede di riflettere e di essere più esplicito e meno reticente. Il Lotti dice che non sa dire altro, e giustifica il suo atteggiamento, dicendo di essere un tipo chiuso e taciturno." Nel 1990 il Lotti si presenta nello stesso identico modo, sappiamo perché. Però, già emerge così la sua personalità. È quindi una situazione in cui giustamente il dottor Perugini vi dice: 'io di più non avevo. Noi ci siamo fermati lì, perché queste persone le abbiamo sentite perché indagavamo solo Pacciani. Quindi loro... chiedevamo riscontri, chiedevamo qualcosa del vissuto di Pacciani. Ma quelli abbiamo identificato'. E tant'è che, il 19 luglio '90, furono sentiti sia Lotti che Vanni. È una persona che ha chiaramente paura, no? Ce lo ha spiegato. Tant'è che ora sì capisce - ce lo ha spiegato lui nei modi che sappiamo - si capisce che una persona così possa essere stata zitta per dieci anni, sostanzialmente dall'85 al '95. Anziché andare dai Carabinieri quella sera dell'85 come proponeva Pucci, abbiamo avuto un silenzio assoluto. Una compattezza tenuta in piedi da cosa non lo so. Sicuramente dalla minaccia che questi ci hanno raccontato. Eh, ma perché, ora che ce lo ha spiegato, come faceva Lotti a raccontare liberamente queste cose? Era interamente coinvolto. È chiaro che nel '90, quando viene sentito, la stessa Polizia che non sa assolutamente nulla, lo vede reticente, gli contesta che è reticente. Nel '90 non sapevamo nulla. È chiaro che quindi, quando ci si avvicina al Lotti e voi sapete in che modo poi il Lotti ha fatto la sua qraduale confessione, abbiamo un personaggio che la prima cosa che fa tiene lo stesso atteggiamento: 'io non so nulla. Cosa volete da me?' Eh, però, a quel punto, gli investigatori sono un pezzo avanti, lo sapete. E quindi Lotti non può continuare a dire che non sa niente. Perché è anche elementare. Cioè, a contestazione, questi personaggi non riescono a resistere. Ma perché davanti al dato oggettivo, dove c'è un elemento oggettivo che gli si contesta, non possono inventare, lo sanno che sono "incastrati", fra virgolette. E vediamo. E perché nel 1995 non si va più ad interrogare Lotti, come del '90, e gli si dice: 'ma tu conosci Pacciani?' No, gli si dice: 'guarda, caro signor Lotti, ci sono questi elementi oggettivi a tuo carico. Cosa hai da dire?' Gli si dice: 'guarda, Galli e Ghiribelli dicono che la sera, la 128 dell'85, la tua 128 era lì. Guarda, che abbiamo intercettato una conversazione telefonica fra te e Ghiribelli, sull'utenza del bar di San Casciano che tu sappiamo usi perché non hai telefono, nella quale tu confermi e dici: sì, eravamo andati lì a fare un bisogno'. Gli si dice: 'guarda, che Pucci ha raccontato che eravate lì, voi, la sera dell'8 settembre. Guarda, che Filippa Nicoletti, che noi abbiamo sentito che tu frequentavi perché è stata una tua' - non so bene cosa - donna, non donna, una prostituta da cui andava, una amica - 'una tua conoscente, fra virgolette, intima, dice che, per quanto riguarda Vicchio, proprio in quella piazzola, voi ci siete stati'. Ecco, a questo punto, in questo momento, solo con queste contestazioni, dati oggettivi fatti, specifici, tanti, numerosi, che il signor Lotti dice: 'sì, quella sera io c'ero'. Eh, però c'è anche un altro passaggio che noi non dobbiamo dimenticare per capire l'iter di questa confessione iniziale non certo spontanea. Voi ricordate - io non la sottovaluterei, ma la metto per quel che è, necessariamente in evidenza alla vostra attenzione - le dichiarazioni di Bartalesi Alessandra, la nipote di Vanni. Non sappiamo bene perché si sono frequentati loro tre nel '95, ma ha una importanza, diciamo, per quello che è. Prendiamolo come dato di fatto, questo. Questa Bartalesi, nel descriverci Lotti in modo identico al consulente Fornari. Bisogna riconoscere a questa ragazza che, con tutte le sue problematiche fisiche, è una ragazza quantomeno sensibile, intelligente e attenta, è una ragazza che aveva in qualche modo analizzato la figura del Lotti identica al professor Fornari. Ovviamente sapendone qualcosa di più. Perché, mi spiego, questa ragazza riconosce e racconta, senza che nessuno ne sappia niente, che con lei Lotti aveva avuto un rapporto di confidenza intima con dei limiti che erano nelle sue capacità sessuali, di rapporti sessuali. Ma è una ragazza, una che ha scritto un libro, una che capisce in qualche modo l'animo, perché lo ha dimostrato qui la sua sensibilità, è nipote di Vanni. Quindi ha delle, sicuramente delle difficoltà a raccontare tutte le cose. Ma queste le ha raccontate. Ha testualmente detto, io vorrei che rileggeste attentamente quella dichiarazione, perché mi sembra che sia una dichiarazione che viene da un terzo non consulente, ma che ha conosciuto Lotti quando noi, di lui, non sapevamo niente. È una dichiarazione che ci fa pensare ad un ulteriore elemento di tranquillità nel pensare a questa confessione. Perché sembra quasi - se voi la rileggete attentamente - che questa ragazza, non solo aveva capito qualcosa, ma aveva capito sicuramente cosa. Ha solamente detto delle sue sensazioni nel suo rapporto con Lotti, che oggi sono una conferma di tutto quello che sappiamo. Ma dobbiamo collocarle nel tempo e vedere che questa ragazza ha avuto questa confidenza con Lotti; le aveva vissute e capite in epoca ben antecedente alla confessione.
Segue...

lunedì 25 maggio 2015

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 19 febbraio 1998 - Decima parte

Segue dalla nona parte.

P.M.: E si potrebbe leggere il verbale di quelle sei udienze e vedremmo che la maggior parte dei vocaboli e dei verbi sono "coso" e "cosare", anche nei momenti in cui non deve inventare nulla. Ecco quindi che l'argomento usare "cosare" per inventare, è un argomento che non ha spazio. Ma c'è un altro elemento che nasce da questa sua difficoltà di linguaggio. È esattamente il corollario; uno che non capisce il linguaggio e non si sa esprimere, ha anche difficoltà di capire chi gli parla. Che non capisca spesso le domande è talmente chiaro che siamo stati più volte costretti a rispiegargliele. E c'è voluta - io lo devo riconoscere - tutta la pazienza del Presidente di questa Corte che, con la sua professionalità e esperienza, si è messo di volta in volta a spiegargli qual era il termine esatto della domanda. E quindi è evidente che molto spesso il Lotti ha queste difficoltà, sia di esprimersi che di capire e quindi dobbiamo anche partire da questo dato di fatto. Quindi è una persona che non solo si esprime male e capisce male, ma in tutti i suoi racconti tende a distinguere. È un po' quello che ha fatto Pucci, sono le persone elementari. Cioè distingue nettamente e vuole marcare molto chiaramente la differenza, ed è questa: le cose che lui ha visto personalmente, le descrive nei minimi particolari. Le cose che non ha visto, e sa de relato, le racconta, chiarendo bene che le sa per sentito dire, ma subito dopo dice io non so se sono vere, chiedetelo a chi me l'ha dette. E nel 99% dei casi si riferisce a Vanni. Cioè quando noi pretendiamo da lui una verità sulle cose riferite, la prima cosa che fa - e in questo dobbiamo dire che è elementare, ma anche onesto - dice: io la so così, cosi mi hanno detto, se è vero io non lo so, chiedetelo a loro. Le cose che ha visto: puntuale, irremovibile, circostanziato, sempre presente. Le cose che sa per sentito dire non c'è stato una volta che non abbia voluto mettere in evidenza la circostanza. Attenzione, io non lo so, così mi hanno detto. Per tutti, così abbiamo subito ben presente cosa sto dicendo. Episodio di Calenzano che era avvenuto... Me l'hanno detto. C'era Faggi... Me l'hanno detto. Io non c'ero, non ho visto. Su questo cosa gli ci voleva, nell'economia di uno che racconta, a dichiarare il falso, a inventare. No, la sua credibilità, al di là delle conseguenze che può avere o meno, è una credibilità di questo tipo: quello che ho visto, potete torturarmi - scusatemi la parola - e io ve le racconterò. E tortura è stata, per sei giorni gli abbiamo chiesto le stesse cose. Ma per sei giorni le ha dette nello stesso modo, perché le ha viste. Quelle che non ha visto, non c'è tortura - fra virgolette - che tenga, non lo sa, non lo dice, o comunque dice: a me me le hanno raccontate così. "L'hai visto quello, chi era?" "Mi hanno detto che era..." "Aveva la barba? Si chiama Vinci?" "Me l'hanno detto". Sempre così. "La tenda l'ho vista". "Ha tagliato, non ha tagliato?" "Io questo ho visto e questo vi racconto". Esattamente il contrario. Nel momento in cui ha visto scende nei minimi particolari e è sempre puntuale. Su quello che ha sentito dire fa una netta distinzione. C'è un altro elemento che vorrei ben evidenziare a voi Giudici, nel momento in cui dobbiamo esaminare nei dettagli le dichiarazioni fatte in queste sei lunghe udienze. E qui io l'ho fatto nel corso del dibattimento di metterlo sempre bene in luce ogni volta che ho avuto spazio. Ma oggi lo faccio, perché questo è il momento, con grande chiarezza e decisione. Vi è stato proposto questo tema, dalla difesa Vanni: il signor Lotti e il signor Pucci cadono in contraddizione. Perché nei primi verbali hanno detto una cosa e dopo ne hanno detta un'altra, quindi sono in contraddizione e tant'è che si contraddicono. Io ringrazio il Presidente, come sempre perché è un mio dovere farlo, ma perché è la realtà. E' stato il Presidente che, nel corso del controesame, ha fatto presente che le contraddizioni non erano oggettive, ma era una situazione, sicuramente da valutare, ma in cui si contestava a Lotti - e in certi termini è stato fatto anche con Pucci - dichiarazioni che avevano fatto il primo giorno, diverse da quelle che hanno fatto l'ultimo giorno. Signori, è di tutta evidenza che questi signori sono andati, nella loro apertura, nel loro racconto, per gradi. E quindi non gli si può contestare che il primo giorno avevano detto cose diverse. Gli si può contestare solamente che sono andati per gradi nel racconto, ma non che c'è una contraddizione fra il primo e l'ultimo racconto. Questo non corrisponde alla realtà del fatti. E direi che tutto il controesame di questi signori è un controesame che mira a mettere in evidenza queste contraddizioni, che contraddizioni oggettive non sono; sono esclusivamente un iter che questi signori, in special modo Lotti, hanno tenuto nel loro racconto. Direi che essenzialmente l'ha fatto Lotti. Su Pucci, poi abbiamo visto, a parte che è stata una deposizione molto più breve, è stato di tutt'altro spessore. Lotti è vero, il primo giorno disse cose ben diverse dal primo interrogatorio del P.M., ma perché è stato lui che si è aperto lentamente. Non gli si può oggi contestare come fatti oggettivi quelli che ha detto il primo giorno. Gli si deve contestare: come mai ce lo hai detto per tappe? Questo è un metodo corretto. E su questo siamo qui a valutare. Ma non si può dire quale è delle due la verità. No. Non c'è nessuna contraddizione, c'è un'evoluzione. Sull'evoluzione possiamo fare, ed è giusto, fare tutte le considerazioni, che saranno sicuramente fatte. Ma esattamente in questi termini. È Lotti una persona che sa prendere decisioni? Lo avete visto come uno che è capace di decidere cosa fare da solo? No, mi sembra che la sua personalità debole sia emersa fin dal primo momento in tutte le sue condotte. È una personalità chiaramente sottomettibile, ce lo hanno spiegato i consulenti tecnici, ma lo abbiamo visto da soli. È uno che cede chiaramente alle personalità più forti. È di tutta evidenza. Lo ha detto lui, ma emerge dalle condotte oggettive. È uno che è portato naturalmente a subire; qualsiasi tipo di minaccia, anzi la ingigantisce. Vi ricordate quell'episodio? Avevo paura che, dell'episodio Butini poi se ne parlasse in giro. Nei termini che è, eh. Quel fatto, rapporto o no omosessuale con Butini. Ha lo spazio in guesto processo che deve avere, è confinato in un angolo. Però, vi ricordate come vi ha descritto: 'io sono stato costretto perché avevo paura che poi raccontassero che mi avevano visto con Butini'. Qualunque cosa avessero fatto quella sera in quella macchina, e voi avete tutti gli elementi per valutare in che termini è credibile, lo vedremo meglio. È uno che vi ha raccontato che quel solo fatto, che lo avessero visto con un uomo in macchina, in una strada appartata, qualunque cosa avesse fatto, era per lui un elemento che poteva essere oggetto di minaccia. Vero o non vero. Più che vero è ovvio, nella sostanza di questi racconti. È uno che poi non riesce a elaborare conseguentemente alcuna difesa. Subisce. È una persona diffidente. È stato diffidente con gli investigatori. È stato diffidente con voi. È stato diffidente con il suo difensore. È stato diffidente con la Polizia Giudiziaria. È uno che non si fida di nessuno perché non ha rapporti, non ha relazioni. Come si può pensare che possa avere inventato quello che ha detto, sulla base di qualcuno che gliel'ha suggerito. Ma questo non credeva nemmeno alla sua mamma, figuriamoci se poteva avere un rapporto. Io mi rifiuto di pensarlo, ma siccome è stato detto, allora il pensiero ce lo faccio per dovere, che questo abbia potuto avere un rapporto con qualcuno che gli ha insegnato, o gli ha suggerito cosa dire. Questo è diffidente nei confronti di chiunque, figuriamoci se può instaurare con qualcuno un rapporto di sottomissione sotto questo profilo. È un apatico. Anche questo è un elemento oggettivo. Perché bisogna valutare. Ha assistito a degli omicidi nei modi che ci ha detto, e noi – io lo credo e sono sicuro che siamo in tanti a crederlo - con un atteggiamento di completa apatia. È incapace di qualsiasi slancio su qualsiasi cosa; slanci né positivi, né negativi. Ma alle vostre risposte: indifferente su tutto, sembravano cose che gli scivolano sulle spalle, nonostante i racconti. È incapace di qualsiasi reazione a caldo. Tutt'al più si è arrabbiato qualche volta se gli sono state fatte, nel controesame, qualche domanda ulteriore su cui aveva risposto. È l'unica volta, che ho visto io, da quando, per questi motivi, ho avuto modo di vederlo in questi atti, in cui ha avuto una reazione. Per il resto sempre completamente passivo. Una volta sola ha detto: 'basta, basta, qui mi confondete, io non ne voglio più sapere'. L'unica reazione a caldo che gli ho visto fare. E gliel'avete vista fare anche voi. È una persona che non ha valori, c'è poco da fare, lo ha dimostrato, ma non solo con le azioni, sul modo in cui mi racconta le cose. Non c'è niente, non c'è nessun valore che lo interessa, che lo prende. Il mondo intorno a lui è inesistente. Le uniche cose di cui si occupa, ce lo ha raccontato, sono la soddisfazione dei bisogni elementari. È un soggetto semplice e quindi è chiaro che i bisogni elementari sono i bisogni primari cui tutti sono portati naturalmente a dare soddisfazione. E quali sono le sue necessità, quelle che vi ha raccontato? Un tetto, un tetto qualsiasi. Vi ha raccontato nei dettagli le case che ha avuto; poi, in quella casa, ci pioveva... Quelli sono i suoi interessi. La macchina. Caspita! Come si colorisce quando gli si parla delle macchine! Ne ha avute tre o quattro, tutte usate, tutte vecchie. Però è un argomento che, sempre da soggetto elementare, lavoro, una casa, una macchina. Seppure usata, perché nel mondo moderno, la macchina, soprattutto per soggetti simili, ma purtroppo per tutti noi, è diventata indispensabile. Aggiunge, i suoi bisogni elementari consistono nelle dieci, nelle 50mila lire, a secondo del tempo, per andare con la prostituta. A seconda dei tempi. Anche questo è una cosa che vi ha raccontato. Sta nella comunità gestita da don Poli, mi sembra si chiama, non certo per coltivare sentimenti religiosi. Per carità! Cercare un sentimento, magari religioso, in questo soggetto. Per carità! Sta lì, perché non costa nulla e perché ce lo tengono . Lo ha spiegato : ' chiesi in Comune, andai in Comune...', andava dall'assistente sociale. Questo è il soggetto Lotti. 

venerdì 22 maggio 2015

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 19 febbraio 1998 - Nona parte

Segue dall'ottava parte

P.M.: Ma quello che cercavo di sottolineare poco fa e che ora è necessario ribadire è che, non solo ha fatto una confessione nel momento delle indagini, nell'incidente probatorio, ma è venuto qui e si è fatto vedere in viso, si è fatto interrogare. Voi avete avuto la possibilità di vederlo, le parti di interrogarlo, controinterrogarlo, contestargli quel che gli dovevano contestare. Ma avete avuto la possibilità di vederlo. Non è oggi qui, ma lui, dopo l'incidente probatorio, il suo difensore secondo me aveva tutto il diritto di dire: beh, ora la prova c'è già, ha confessato, non facciamolo venire. Io, se al difensore di Lotti fosse venuto questo dubbio, io penso che sarebbe stato un dubbio più che legittimo. No, Lotti è venuto qua, ha risposto per sei udienze al vostro interrogatorio. Vorrei poi soffermarmi a lungo su questo fatto. Ma è venuto qui. Cioè, non è che ha fatto dichiarazioni e se ne è stato in un angolo. No. Avete qualcosa da chiedermi? Non mi credete? Chiedetemelo, ve lo spiegherò. Questo ha fatto. È uno che viene qua, come minimo, a prendersi una condanna se voi lo crederete. Quindi è uno che in questa situazione si è messo su quella sedia per sei giorni e ha raccontato. Quindi abbiamo ben dire che oggi non è venuto. Però noi e voi avete tutti gli elementi per valutarlo. Si è fatto interrogare, non si è mai rifiutato. Nel corso del suo esame qualche volta ha detto: 'basta, non ce la faccio...'. No, subito dopo ha preso un bicchier d'acqua e ha continuato. Ha chiesto di riposarsi, gli faceva male la schiena, non gli faceva... Non ha importanza. Ha risposto a tutte le domande. Era anche lì un suo diritto dire: sentite, io ve l'ho detto. Quando l'interrogatorio e il controesame andava sugli stessi identici argomenti, se Lotti avesse detto: beh, queste domande me le avete già fatte, io me ne vado. Secondo me, essendo un imputato, un imputato - lo ricordo a me stesso ma lo ricordo anche a voi -aveva tutti i diritti. No. E' stato qua, presente fino all'ultimo a tutte le domande, fino a arrivare a un punto in cui chi gli faceva il controesame ha detto: 'basta, di Lotti non se ne può più, l'abbiamo sentito abbastanza'. Ecco, questo è il primo elemento che avete. Lo avete visto in viso. Avete avuto la possibilità di vedere cosa dice, di sentirlo con le vostre orecchie e di fargli le domande che volevate e che gli sono state fatte. E in tutto questo tempo, ripeto sei udienze non una, è sempre stato un atteggiamento lineare, costante, che vi permette ampiamente di apprezzare la portata del suo racconto. Ma abbiamo avuto anche la possibilità, sia attraverso l'esame che attraverso gli elementi oggettivi e le testimonianze acquisite, di valutare meglio il suo carattere. E questo, secondo me, è importante per avere la possibilità di capire le sue condotte tenute in questi anni, valutare chi è Lotti, che persona è. Voi vi accingete innanzitutto a emettere una sentenza in cui si vede Lotti imputato di alcuni delitti. Il Codice prevede che, nel valutare questo, dovete valutare la sua personalità innanzitutto: sia come credibilità, sia ai fini della valutazione complessiva, in termini di "tantundem" del suo comportamento. È una persona chiaramente chiusa, lo abbiamo visto, lo ha dimostrato in qualsiasi momento. È una persona isolata, isolatissima. A parte gli amici coinvolti in questa vicenda, sempre che non conosca nessuno, e non è poco. Cioè, chi conosce nella sua vita Lotti? Lo vedremo, abbiamo cercato di capirlo da chiunque, il giro è sempre quello. Sono questi. Sono queste quattro persone, cinque, tre, due, a seconda dei momenti storici. Chiaramente, non solo isolato, ma un uomo solo. Al di là di queste amicizie, se amicizie sono, è un arginato, è uno che ha un vissuto familiare particolarissimo- Teniamoli presenti tutti questi dati, tanto ci servono a un duplice scopo: per crederlo e per valutare il suo comportamento in termini finali. Ha un vissuto familiare talmente particolare - che è riportato nella consulenza e i periti, consulenti Fornari e Lagazzi ce lo hanno riferito in aula - che ha riferito a loro, e è nello loro relazione carte 15, dice: "Il mio passato familiare è questo. Ho vissuto in famiglia fino a 26 anni, sempre in casa. I miei non volevano che uscissi di sera, specie mio padre, non so neppure io perché". È uno che fino a 26 anni, nei tempi, diciamo, attuali, non lo lasciavano nemmeno uscire di casa a 26 anni. Così è nata la sua personalità, perché noi quella dobbiamo capire. Se la personalità è compatibile con il racconto. È uno che ha, lo avete sentito voi, un linguaggio elementare, si esprime al limite della comprensione. Ha un livello di istruzione bassissimo, mi sembra abbia raccontato quante volte ha ripetuto tante classi e poi a 14 anni ha smesso. Ha un'attività lavorativa, questa sì, ma di profilo talmente basso che, anche qui l'ha raccontato lui: "Facevo il manovale, poi ho fatto l'operaio alla draga, la maggior parte del tempo, spessissimo sono stato disoccupato". E sempre ai consulenti tecnici ha dipinto Lotti se stesso, Lotti si è dipinto così: "Ho lavorato per 16 anni e mezzo sotto l'acqua e all'umido e sono stati anni duri. Allora ero giovane, un mestiere non l'ho imparato, facevo quello che trovavo". Isolato, la famiglia è quel che è, questo è il lavoro. Tant'è che va poi ad abitare, da ultimo, in una comunità per assistenza ai bisognosi. Ma è una persona che ha difficoltà di tutti i tipi nei rapporti con gli altri. Si capisce, perché poi le amicizie sono quelle che sappiamo. È uno che ha rapporti pessimi con le donne. O meglio, rapporti difficili. Non mi permetto di giudicare, solo ai fini di questa valutazione. Ai consulenti tecnici darà due indicazioni secche e precise e una la darà in aula, per cui penso non ci sia necessità di dire altro e le sue frasi sono: "Non sono mai stato capace di far godere le donne". Questo va visto sotto il profilo che lui ha questa coscienza, al di là dei risvolti. Secondo: "Le donne le ho avute perché le pagavo". Questa è la sua filosofia, o autocoscienza sul problema. C'è un riscontro obiettivo in quella consulenza. E' affetto da "impotentia coeundi" di natura psicogena. Tutte queste cose ci servono, non ci servono, ai fini della valutazione: sono fatti, teniamolo presenti poi quando dovremo capire chi è questo signore e cosa ha fatto. Eh, volevo dire due parole sul linguaggio. Sul linguaggio di Lotti, che noi abbiamo conosciuto per quelle sei lunghe udienze, io devo dire, fare più di un'osservazione importante, perché vi è stato indicato dalla difesa del Vanni che questo signore al tipico atteggiamento e linguaggio di chi inventa. Vediamo un attimo i dati oggettivi e poi traiamo le conclusioni. Vi è stato detto in aula, dal difensore, con una certa enfasi, come spesso è accaduto in queste udienze, è uno che usa sempre "cosare", parla sempre di "cosare", è il tipico sostantivo e verbo che usano coloro che inventano. Allora esaminiamolo, perché io non voglio assolutamente pensare che, se ci sono degli argomenti che vengono usati dalla difesa, io non li prendo in considerazione. Tutti signori, perché non io li devo prendere in considerazione, voi. Io potrei anche esimermi, però lo faccio perché mi sembra un elemento obiettivo che tutti dobbiamo valutare. Dice "cosa" e "cosare" perché non sa, inventa. Vediamo il modo in cui adopra il proprio linguaggio. Io ho preso degli esempi nel suo esame, che sono chiarissimi, per capire che questo signore non conosce il 50% dei sostantivi della lingua italiana. Altro che inventa, non conosce nemmeno quelli per i quali deve raccontare cose che indubbiamente sa. Ad esempio, ne ho preso qualcuno, ma è indicativo sull'uso di "cosare". Quando gli viene chiesto: "Ma questa scatola che tu dici conteneva la pistola" - è una domanda del Presidente - "ma sei sicuro, ma dove la teneva?" Quindi già siamo in un'ottica in cui noi gli facciamo capire: ma spiegaci bene. Lui, testuali parole: "Pacciani quella scatola la riponeva in quel coso di legno con i chiodi dove si mettono le cose". Questo è lo scaffale. Ecco come usa "coso”. Ancora. Descrive una lampada portatile, che motivo avrebbe... La lampada portatile: “È una di queste cose per far luce, come si chiamano? Quelle che portano, così, per far luce quando gl'è buio”. Deve semplicemente dire una lampadina. Ma ancora. Gli viene chiesto di quell'appendi abiti dove lui ha visto quello spolverino di Vanni in casa. A qualunque scopo fosse in quella casa lo spolverino in questo momento non ha importanza. Non sa spiegare a voi di che cosa si tratta, cos'è un appendi abiti, il termine appendi abiti. E dice: "Sì, nel ripostiglio di Vanni c'è quel... uno di quei cosini apposta, quelle cose apposta, per tenere roba leggera. Quei cosi che poi si piegano e si mettono". Capite che qui non deve inventare nulla. Il suo esclusivo scopo è quello di spiegarvi cos'è uno scaffale, un'attaccapanni. La maggior parte delle volte il suo linguaggio è così. 

giovedì 21 maggio 2015

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 19 febbraio 1998 - Ottava parte

Segue dalla settima parte.
« DOPO LA SOSPENSIONE » 

Presidente: Qui c'è anche l'avvocato Gremigni. Bene... Ah, scusi, non l'avevo vista. Avvocato, scusi. Avvocato: Niente.
Presidente: Avevo guardato il posto e non di là. Allora, prego, Pubblico Ministero.
P.M.: Grazie, Presidente. Mi sembra che, a grandi passi, forse non troppo veloci, cominciamo a avvicinarci al punto fondamentale, è inutile negarlo, di questo processo: alla figura di Lotti. È la seconda figura che io vorrei affrontare - i particolari poi li vedremo con calma dopo - perché penso che incentrare subito l'attenzione doverosa sulla figura dell'imputato Lotti, dopo aver parlato del teste Pucci. È un secondo punto di partenza, solo punto di partenza. Perché dobbiamo parlare di Lotti? Mah, mi sembra, da tutto quello che abbiamo visto in quest'aula e da quello che ho appena sintetizzato, è ora indispensabile, come metodo di analisi del materiale probatorio del dibattimento, perché è chiaro - è veramente inutile ridirlo - è l'imputato che ha confessato. E quindi diventa la figura centrale di questo processo e perché le sue dichiarazioni hanno una rilevanza e un'importanza sulla vostra decisione non comune, basilare, indispensabile. Ma vorrei subito focalizzare ancora meglio quel concetto che ho espresso all'inizio: attenzione, non dobbiamo limitare la nostra impressione e credere che le prove di questo processo sono solo qui. Assolutamente. Io mi diffonderò, dopo, a lungo. Dobbiamo, ora, analizzare bene la figura di Lotti imputato, oltre che chiamante in correità, tenendo presente che è un imputato che fornisce elementi importanti, ma che ci sono tantissimi altri elementi di prova. Cioè, non dobbiamo fare l'errore di credere che noi abbiamo solo visto e capito questi due unici mezzi di prova. Ecco, direi che noi, nell'accingerci a esaminare ciò che ha detto Lotti e chi è Lotti, dobbiamo comunque tener presente, ogni volta che analizzeremo cosa ha detto e cosa ha fatto, che su quasi tutto ciò che dice Lotti il processo ha fornito altri elementi a monte e successivi, altri elementi di prova che sono così eterogenei, complessi, di varia natura, articolati, che ci permettono di valutare qua... Proprio, concretamente, abbiamo visto che Pucci ha detto qualcosa e ci sono riscontri. Per quello che riguarda Lotti direi che non ha aperto bocca e non ha raccontato circostanza che non sia dettagliatamente provata in altro modo. Vediamo. Quindi, noi dobbiamo a Lotti l'attenzione che dobbiamo, perché - per quarantacinque, quarantasei, non so quante sono le udienze, ho perso il conto - abbiamo spessissimo parlato della sua partecipazione, della sua condotta. E quindi è chiaro che le sue dichiarazioni debbono essere prima capite e poi valutate. Dicevo "capite", e qui ho un motivo per dire "capite", perché i racconti di Lotti, che sono dettagliati come sappiamo, a volte ci hanno dato la sensazione che su alcuni particolari - insisto: particolari - qualcosa non dica. Allora bisogna prima vedere, anche qua, se abbiamo capito, se è possibile capirlo, se è persona che forse non ricorda, non vuole ricordare, o certi fatti non li conosce bene, o si esprime male -anche questo lo vedremo - o non capisce le domande o, peggio ancora, per quello che a noi sembra, o al P.M. sembra, forse alla Corte, a qualcuno sembra che per alcune cose che a noi sembra che non abbia detto, se ha paura, se non dice qualcosa perché ha paura... Io, onestamente, ve lo dico subito, ve lo cercherò di dimostrare, credo che non abbia più paura e tutto quello che poteva dire lo ha detto. E partiamo quindi da quei dati di fatto. Ha sempre ammesso di essere stato presente a quattro duplici omicidi. Questo l'ha detto sempre. Dove troviamo una situazione processuale di questo tipo? L'ha detto nella fase delle indagini preliminari un'infinità di volte, alla Polizia Giudiziaria; lo ha detto al P.M., quindi è cambiato interlocutore. Se qualcuno volesse anche venire dei dubbi: interlocutore cambiato. Poi vedremo, eh, dei dubbi, per carità! Lo ha detto davanti al GIP nella fase dell'incidente probatorio. Stessa identica dovizia di particolari e di racconti. Terzo interlocutore, diverso. Ma lo ha detto soprattutto nel corso - la sua verità, la verità, perché per me non è più la sua verità, ma questo processo ha dimostrato che è la verità - l'ha detta in sei udienze qui, davanti a un sacco di persone, non nel ristretto di una stanza; che ogni tanto c'è questa volontà di porre dei dubbi. No, vediamolo, vediamolo per bene fino in fondo. Il Lotti in sei udienze, davanti a tutti, nel contraddittorio delle parti, non ha ritrattato niente, non se n'è andato; oggi non è venuto, per alcune udienze non è venuto, non verrà, non lo so, non dipende da me. Quando è stato necessario è sempre venuto. È difficile che uno sia sempre contento se ha ammesso delle responsabilità. E se questo sarà il suo esito, è difficile accettare e farsi dare una condanna. Però non è, secondo me, il motivo per cui ha paura di una condanna e non viene. Chissà per quale motivo verrà, non verrà. Ma non è questo il problema. Il momento in cui è stato necessario per l'istruttoria dibattimentale è stato presente. Quindi le illazioni - facciamo dire, mettiamo a verbale che Lotti non c'è - ai fini della vostra decisione, scusate, ma non serve assolutamente a niente. Perché nei momenti importanti, davanti a tutti, nel contraddittorio delle partì, è stato sempre presente. E' un imputato che ha confessato presente qui, davanti ai suoi giudici, e ha detto sempre la stessa cosa. "Ho partecipato a quattro duplici omicidi, quelli dell'82, dell'83, dell'84 e dell'85. Esecutori materiali sono stati Pietro Pacciani, che usava la pistola, Mario Vanni, che tagliava, praticava le escissioni sui corpi delle vittime. Nell'85 a Scopeti portai con me Pucci, gli altri due non lo sapevano, erano all'oscuro, quando lo videro si arrabbiarono molto". E poi tutti i particolari che sappiamo. È rarissimo, lo sappia... lo dicevo all'inizio parlando dei processi in genere, in cui qualcuno confessa. E' rarissimo che, in una serie di omicidi come questi, qualcuno faccia confessioni così chiare, particolareggiate, particolareggiatissime direi, ripetute nel tempo, coerenti nel contraddittorio, senza mai, nella sostanza, alcun tentennamento. Mai. Secondo me nemmeno nei particolari, ma nella sostanza mai. Articolatissime dichiarazioni confessorie. Sono quindi sostanzialmente convincenti queste confessioni. Ma la confessione di Lotti è per me un punto di partenza. Lo dicevo prima, volevo che aveste tutti ben presente che non è un elemento di arrivo: ah, ci abbiamo quella e decidiamo su quella. No, è un punto di partenza, sulla base del quale noi dobbiamo partire, valutare, vedere se lo crediamo e sulla base di quello trarre conclusioni. E per questo noi abbiamo fornito, in questo dibattimento, una massa enorme di dati di fatto, di provenienza eterogenea, che ci forniscono elementi obiettivi, sicuri al riscontro di quello che ha detto e che sarebbero, già da soli, talmente importanti per arrivare alle conclusioni. Vorrei fare un'osservazione, che forse è anche bene fare e tenere bene in mente perché non sfugga quando dobbiamo valutarla: le dichiarazioni confessorie di Lotti sono innanzitutto in perfetta sintonia con gli esiti del procedimento a carico del Pacciani. E' un signore che è venuto e ha sostanzialmente integrato elementi su una verità che in parte già conoscevamo. Era una verità che aveva degli elementi di prova molto sfumati, indiziari, lo sappiamo tutti. Ma guardate che Lotti ha continuato quella ricerca e quella formazione di prova. Cioè, è in perfetta sintonia e coerenza, ha aggiunto tutti i particolari che non sapevamo. Quindi il punto di partenza di credibilità primo, volendo o non volendo, a crederlo o ammetterlo, è che è in perfetta sintonia con gli esiti del precedente processo che, sia pure in I Grado, ha visto il complice, coautore, a suo dire, Pacciani, riconosciuto, con tutte le presunzioni di innocenza, colpevole. Cioè, è una verità, quella di Lotti, completamente in sintonia. Lo sappiamo, i processi sono completamente diversi. Vi era un processo in cui ci sono più imputazioni, per fatti che riguardano omicidi ulteriori. È un processo in cui le imputazioni sono parzialmente identiche, ma per il punto in cui sono gli stessi capi di imputazione, sono elementi forniti perfettamente in sintonia. Guardate che è una constatazione che non può assolutamente essere oggi sottovalutata. È vero, c'è anche quella contestazione ex 416, poi lo vedremo, in questo processo. Ma io vorrei fare allora, partendo da questa considerazione, che siamo in sintonia con quanto già provato, con le difficoltà, con tutti i gradi di giudizio che ci saranno, senza nessun esito, né scontato, né prevedibile, assolutamente. È una verità che in quel dibattimento è andata in un certo modo, in questo dibattimento - che oramai è concluso - si è integrata. Non è in contraddizione e ditemi se non è poco. Ma allora, partiamo proprio dal vedere, come abbiamo fatto con Pucci, qui ancora più diffusamente, chi è Lotti. Perché la prima operazione da fare è cercare di capire chi è, perché abbia partecipato a questi fatti e perché li abbia ammessi. Chi è. Perché ha partecipato a delitti simili? Perché poi dopo tanto li ha ammessi? Abbiamo la possibilità oggi, o avete voi, avete elementi oggettivi per valutare la sua persona? Eh, caspita. Abbiamo avuto gli esiti delle indagini su di lui. Abbiamo avuto le testimonianze che ci hanno permesso di inquadrare la sua personalità, numerose. Abbiamo avuto le indicazioni degli esiti della Polizia Giudiziaria. Abbiamo avuto le indicazioni documentali. Abbiamo avuto quella consulenza tecnica che sappiamo. 

mercoledì 20 maggio 2015

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 19 febbraio 1998 - Settima parte

Segue dalla sesta parte

P.M.: Dice, ma, ancora domande che gli son state fatte per vedere se c'era veramente; e anche lì risposte precise : "Ma quei due dentro, cosa è successo, cosa hai visto?" Dice: "Io mi sono allontanato, però si sentì lamentarsi." "Si sentì", no? Lui si fa terzo: noi abbiamo sentito. "Si sentì lamentarsi le persone che erano lì dentro nella tenda. C'era la coppia là dentro, dentro la tenda. Porca miseria, sono sicuro, sicuro, vai! Io i morti non li ho visti." Perché la domanda è: "Ma lei li ha visti i morti?" "No, io ho sentito lamentarsi, poi son scappato." Ecco, allora, la testimonianza di- questo Pucci, che è la persona che sappiamo, è una testimonianza che va avanti con descrizioni dei fatti così particolareggiate che ci lasciano sicuri e tranquilli circa la presenza di Pucci, quella sera, sul luogo dell'omicidio. E poi, dicevo, una volta chiarito che lui c'era e cosa ha visto, che con quelli non c'ha niente a che fare, subito dopo, quando il P.M. comincia a chiedergli . degli altri delitti, si chiude - ecco la seconda fase - completamente a riccio, fa la persona... dimostra anche, col suo atteggiamento, veramente di non saperne niente e muta proprio comportamento. Non vuole rispondere, comincia a sbuffare. "No, io degli altri non so nulla, li hanno fatti loro." Si deve arrivare, per questa seconda parte del suo racconto - che è un racconto de relato, non è racconto della sua presenza - bisogna arrivare alle contestazioni. Ecco come, sentendo - il Pucci - che si parla di altre cose che lui non ha visto, il primo atteggiamento - potrebbe inventare anche quelle, signori, è chiaro lo scopo delle mie osservazioni — no, lui dimostra di essere talmente attento, che ciò che non ha visto lui assolutamente non lo vuole dire. Bisogna fargli le contestazioni. E quando gli si fanno le contestazioni circa i fatti che lui era stato nella piazzola di Vicchio nell'84 insieme al Lotti non ha problemi a raccontarlo; ma su contestazione. Ma poi fa anche una conferma sua, precisa, che ha sempre fatto. Dice di aver anche visto quello di Calenzano, il Giovanni di Calenzano. E specifica in dibattimento, come aveva sempre fatto, di averlo visto insieme agli altri a San Casciano, insieme a Vanni e a Pacciani. Descrive - lo descrive chiaramente - di averlo visto nella piazza dell'orologio. Lo aveva riconosciuto nella fotografia e racconta chiaramente quello che ha saputo de relato. Cioè, ecco l'atteggiamento Pucci: guardate, io quello non solo non c'entro nulla, ma quello che so lo so in questo modo. Dice: "Io ho saputo che questa persona era coinvolta nel delitto di Calenzano", nei modi che sappiamo. In questa seconda fase delle contestazioni abbiamo veramente il Pucci che ci dà la dimostrazione che lui su questi fatti non c'entra e sugli altri ha detto la verità. Poi c'è tutta quella fase finale del suo esame, che secondo me è corretto valutare quella persona in termini di uno che è stanco, è sicuramente scocciato, a modo suo, perché lui crede veramente di non entrarci nulla, di aver fatto il suo dovere anche nei confronti vostri e della Giustizia: quel che so, quel che ho visto ve l'ho detto, non mi scocciate di più. E quando si continua, tutti noi, ovviamente ognuno col suo scopo, difensori di parte civile, difensori dell'imputato che cercano di contestargli apparenti contraddizioni - e che non sono contraddizioni perché gli si va a contestare vecchi verbali, le prime dichiarazioni è chiaro che sono diverse al momento in cui lui ha raccontato tutto - è talmente lucido da fare affermazioni di questo tipo, dice: "Io l'ho capito quello che mi dice, me l'ha bell'è domandato dieci volte e mi fa imbrogliare, mi imbroglio. E per forza che m'imbroglio, me l'ha bell'è domandato dieci volte la medesima domanda, cosa vuole da me!" E poi dice: "Ma perché non sei andato dai Carabinieri?", di nuovo contestazione. Dice: "Ma porca miseria, ve l'ho detto diecimila volte!" Anche qui lucidissimo nel controesame. Dice: "Ma lei mi piglia in giro”, gli vien detto. "Lei ha detto in un modo poi ha detto in un altro." "No, guardi, io non piglio in giro nessuno", fa Pucci attentissimo. Che motivo ha uno scocciato a mettersi lì, invece fa proprio i distinguo: "Io non piglio in giro." Poi insiste, siccome è stato provocato, dice 'lei piglia in giro, dice: "No, è lei che mi piglia in giro, la mi piglia per scemo, ma io per scemo non sono." Cioè, è talmente cosciente di tutta la situazione che si permette anche di spiegarsi, di far vedere qual è la sua valutazione. E' una persona che, se noi la esaminiamo sotto questo profilo, è un Pucci che non solo era presente, ma che si è comportato come si doveva comportare in una situazione simile un teste che viene a riferire queste cose. E dà anche in dibattimento, secondo me, ulteriori particolari molto importanti. E oltre a confermare che era andato a Vicchio con Lotti, che aveva visto la coppia, è talmente preciso che spiega, dice: "Ma non ci si andò prima", prima dell'omicidio. Guardate: un personaggio che è così attento nello spiegare, nel voler ricordare che lui c'è andato prima. E poi cosa dice? "Ma chi erano?" La domanda, gli si chiede: "Ma chi erano questi due?" Dice: "E che ne so io, non conoscevo mica i nomi." Cioè, è una persona che è attenta talmente alle domande che risponde sempre a tono. E poi fa quel racconto, dice: "Lotti mi ha detto chi era quella ragazza; non so il nome, era tuia persona che andava con chi voleva lei e c'era qualcuno che gli garbava." Questo è un racconto, si capisce benissimo, fattogli dal Lotti, perché ce lo farà da Lotti. Ma a una domanda specifica, ecco l'ulteriore elemento nuovo che ha, anche questo, un grande riscontro nel dibattimento, ci racconta cosa avevano fatto quel pomeriggio, andando verso la Ghiribelli. Cioè, questo l'ha spiegato bene in dibattimento. Guardate, che a distanza di tempo, il Pucci è persona che ha la possibilità di spiegare nei dettagli e di ricordarsi. Gli è rimasto impresso quel pomeriggio. Dice: "La domenica, di pomeriggio, ci si era fermati con Lotti a guardare la coppia nella tenda, mentre faceva all'amore." Specificando che: "Si vedeva bene perché la tenda era un po' aperta e non erano...lì." Gli si chiede: "Ma non vi hanno notati?" "No, non ci hanno notati perché quelle persone erano impegnate a baciarsi e fare all'amore." Cioè, è un Pucci che, a domanda specifica su questi fatti, di cui non aveva mai parlato, ci dà una versione di cosa avevano fatto quel pomeriggio che trova perfettamente riscontro. Erano stati dalla Ghiribelli: la Ghiribelli ce l'ha confermato. Si erano fermati lì il pomeriggio: abbiamo quella serie di testi che sappiamo che hanno visto la macchina con due che guardavano. E' un Pucci ancora - e ho, direi, terminato l'esame della sua deposizione - che aggiunge un altro elemento, secondo me importantissimo, e l'ha fatto, ripeto, nel dibattimento, Pucci, non è che sia venuto a confermare dei verbali. No, no, ha dato spiegazioni specifiche. E su un altro elemento, oltre che quella domenica pomeriggio cosa avevano fatto, cosa avevano visto, quelli che si baciavano, facevano l'amore, la tenda aperta - di cui non aveva mai parlato, ma ne ha parlato a voi a domande specifiche - è un Pucci i che dice, più avanti: "Quella sera, quando noi si arrivò lì, c'era un'auto con due persone a bordo." Eh, questa è una circostanza importante, molto importante, sotto due profili. Primo, perché è un dato di fatto che Pucci precisa, anche questo, bene in dibattimento; l'aveva detto prima, aveva parlato di questa macchina, ma precisa che c'erano due persone a bordo. Lotti, se non sbaglio, ha, per quel che ha visto lui, parlato di una. La macchina l'hanno vista tutti e due. Eh, c'è un qualcosa da valutare. Sono in contraddizione? Signori, ma pensate come stanno le cose, pensate la scena. Lotti è su a guardare e fa tutto quello che sappiamo. Pucci è colui che se ne va alla strada, subito, e si mette lì a aspettare. Quindi quello che ha visto veramente la macchina e con quante persone c'erano a bordo è sicuramente e solo Pucci. È lì che abbiamo motivo di credere che lui ha visto veramente due persone - saranno state due persone, non lo so - ma il Pucci è sicuramente credibile. Il Lotti, quando vi spiegherà - e ci ha spiegato -che ha visto una macchina più avanti partire, uno che guidava, ecco signori, ma questi dicono entrambi la stessa identica verità. Perché è Pucci che era lì, che era ai piedi della piazzola; è lui che ha visto questa macchina e come stavano le cose. È chiaro che noi dobbiamo pensare che è quello che ha visto meglio, e quindi chi erano queste due. Sappiamo quello che vedremo fra un attimo, però abbiamo motivo di credere entrambi, sia Lotti che Pucci, perché sono persone che ci hanno dimostrato che erano lì. Ma sono persone che ci hanno descritto la scena perché hanno detto come ci erano. Cioè, uno è stato lì a lungo e l'altro ci è arrivato soltanto nel momento in cui dovevano allontanarsi e ha messo in moto la macchina. Signori, io direi che, una volta esaminata la testimonianza di Pucci sotto questo profilo, abbiamo un debito totale di credibilità nei suoi confronti, perché come ho cercato di spiegarvi, sui punti fondamentali che riguardano il prima e il dopo questa fermata alla piazzola - nel quale, è chiaro, c'erano solo loro due, quattro, come sappiamo - su tutto il prima e su tutto il dopo abbiamo riscontri inequivocabili. Ghiribelli, lo stesso Vanni, lo Zanieri e il racconto concorde dei due. Ma io devo essere, comunque, anche onesto, perché da P.M. - e forse il mestiere di P.M. rimane sempre - ho avuto, in un primo momento, qualche sospetto che in fondo il Pucci ne sapesse di più, celasse delle proprie responsabilità. E questa è una sensazione che nel corso del dibattimento, finché non si è precisato tutto, per un po' ho avuto. Forse l'avrete avuta anche voi. Però è un debito che nei confronti di Pucci io, onestamente, mi devo togliere. Cioè, Pucci non è assolutamente persona che ha partecipato a nulla e che deve rispondere di un qualcosa dal punto di vista del Codice penale. Io ammetto, l'ho pensato: chissà quale altra verità nasconde. Signori, ma tutto il dibattimento ci ha dimostrato che Pucci è persona che è stata portata lì, forse non sappiamo perché. Sembra di capire: era un curioso, il Lotti se lo voleva tirare dentro, quello non ci voleva credere. Ma anche quando ci dicono entrambi "il pomeriggio ci fermammo lì", lo stesso Lotti dice: "Io gli dissi che saremmo arrivati la sera, lui non ci voleva credere." Ecco, quindi, il comportamento di Pucci. Ecco un Pucci che, onestamente, come ha raccontato tutto ciò che ha visto è un vero testimone; è una persona alla quale, a mio avviso, non possono essere addebitate responsabilità se non quella di aver taciuto per dieci anni. Ma ci ha spiegato perché. Non vedo come si possa pensare a un Pucci che ha avuto un trattamento processuale diverso da altri. È sicuramente un testimone, è sicuramente persona che ha visto quello che ha visto; ed è talmente cosciente che, nel momento in cui gli si chiede qualcosa di diverso, ci tiene a precisare due cose: "Io con quelli non c'entro nulla, hanno fatto tutto loro." "Io, prima e dopo, quel che hanno fatto non lo so." Quindi, non ci sono elementi di sorta per pensare a un coinvolgimento di Pucci in questi fatti che lo debba far vedere in una ottica diversa da quella del semplice teste. Presidente, se crede, cinque minuti di interruzione. Grazie.
Presidente: Allora, dieci minuti di sospensione.
P.M.: Bene.
Presidente: Grazie.