lunedì 13 luglio 2009

Giuseppe Pizzo e Enrico Colagiacomo

Assistente e agente della Polizia di  stato. "Svolgevano un servizio di osservazione dei movimenti del Pacciani nell'orto di via Sonnino, restando celati all'interno della casa di un vicino le cui finestre si affacciavano sulla corte interna: le osservazioni si riferiscono in particolare alle giornate del 23 e 27 gennaio 1992. Nella prima occasione i testi riferivano di aver visto il Pacciani verso le ore 17 circa intrattenersi nell'orto per circa un'ora, senza aver in mano alcun attrezzo da lavoro: egli guardava insistentemente per tutto l'orto, come se cercasse qualcosa, si chinava verso terra ma senza far nulla di particolare, rimanendo sempre nei pressi di una catasta di tegole che si trovava subito sulla destra entrando nella corte interna dove era situato l'orto. I testi riferivano pure che il vicino di casa del Pacciani, quello nel cui appartamento si erano installati per compiere il servizio di osservazione, aveva riferito loro di aver visto nei giorni precedenti l'attuale imputato sondare il terreno per diversi giorni con un'asta di ferro, tipo tondino, che in effetti essi avevano constatato essere ancora conficcata in terra nei pressi della catasta di tegole.
Il giorno 27 gennaio i verbalizzanti avevano visto nuovamente il Pacciani presente nell'orto verso le ore 14, intento questa volta ad un'attività di tipo diverso: egli infatti si trovava chino per terra, nelle immediate vicinanze della catasta di tegole, aveva accanto un piccone ed in mano un attrezzo da muratore, forse una cazzuola, e con quello stava scavando una buca. Il prevenuto aveva continuato a scavare per circa un'ora. La buca, a giudizio dei testi, poteva avere un diametro di 30/40 centimetri e profonda quel tanto sufficiente a che il braccio del Pacciani vi affondasse fino al gomito o a metà avambraccio. Ad un certo punto era sopraggiunta la figlia Rosanna che si era intrattenuta a parlare mezz'ora con il padre, il quale aveva interrotto il lavoro della buca lasciando le cose così come stavano. A fronte delle indicazioni di tali precise attività fornite dai testi, il Pacciani è intervenuto spontaneamente, al termine dell'esame dei teste Colagiacomo, per spiegare che all'uscita dal carcere egli aveva trovato nell'orto una pianta di acacia (una 'cascia', come egli la chiama in puro vernacolo toscano), che era nata da un seme portato dal vento ed era considerevolmente cresciuta durante la sua detenzione. Egli allora aveva tagliato il tronco al pari dei terreno, poi aveva fatto una buca, quella che i verbalizzanti lo avevano visto scavare, per togliere la ceppaia e, in particolare, tutte le radici, onde evitare che da quelle potessero rinascere nuove piante: con un palanchino di ferro egli svelleva le radici, poi le tirava su tagliandole. La giustificazione del Pacciani non apparirebbe di per sé inverosimile, sia perchè, in concreto, dai documenti cinematografici esistenti, sembra in effetti vi fosse nell'orto una pianta di acacia, anche se non nella zona dove il Pacciani fu visto scavare, sia perchè, in astratto, è vera la circostanza riferita dal prevenuto circa la necessità di svellere la ceppaia e le radici della pianta per evitare il rinascere di nuovi germogli. Sta di fatto però che di questa specifica attività, che comportava l'uso di più di un attrezzo (vanga per scavare, palanchino per svellere, forbice per tagliare), e che non sarebbe certo sfuggita all'attenzione dei verbalizzanti, non ve n'è la minima traccia nelle loro deposizioni ed anzi il teste Colagiacomo, a specifica domanda dei difensore del Pacciani, ha escluso di aver visto alcunché del genere, in particolare la ceppaia di un albero diverta. Sull'argomento il Pacciani è poi ritornato in sede di dichiarazioni spontanee finali nelle quali egli mostra di credere tanto poco a quanto in precedenza affermato da moltiplicare per tre il numero delle buche scavate: non più soltanto la buca fatta per svellere la ceppaia e le radici dell'acacia, ma anche un'altra buca vicino alla porta della cantina, dove esisteva una piantina di melograno che lui aveva preso col pane di terra, scavando la terra tutta attorno, per poi trapiantarla in altra zona dell'orto. Infine, ancora, una terza buca che, secondo il Pacciani, poteva essere proprio quella di cui avevano parlato i verbalizzanti, originata dalla necessità di riparare un tubo di scarico delle acque nere che era stato rotto, a dire dell'imputato, durante i precedenti sondaggi che gli inquirenti avevano fatto nell'orto. Narra l'imputato di aver fatto una bella buca grande nell'orto, vicino alla catasta di tegole, di aver sostituito il pezzo di tubo rotto e di avervi fatto sopra una gettata di cemento in modo che nel lavorare non lo si potesse più rompere, lasciando poi la buca aperta cinque o sei giorni per fare asciugare il cemento. Sta di fatto però che di tutte queste attività non esiste traccia agli atti, come sarebbe invece dovuto avvenire trattandosi di attività significative tanto più che i movimenti esterni del Pacciani, dopo la sua scarcerazione, erano tenuti sotto osservazione da parte della P.G., pur se non in modo continuativo, Rileva allora la Corte che quanto riferiscono i testi circa lo strano aggirarsi del Pacciani nell'orto, l'ancor più strano sondaggio che era stato visto compiere col tondino di ferro, lo scavo di una buca di dimensioni e profondità non certo minime, non trova nelle circostanze riferite dal prevenuto alcuna convincente giustificazione: anzi in relazione allo scavo della buca è lo stesso imputato, come si è visto, a contraddirsi, parlando prima dell'acacia e poi del tubo rotto delle acque nere".

Furono ascoltati nell'udienza del 15 giugno 1994 nel processo a Pietro Pacciani.
Rif.1 - Sentenza della Corte di Assise dell'1 novembre 1994 contro Pietro Pacciani (testo in corsivo)
Vedi anche:
-Giuseppe Pizzo - Deposizione del 15 giugno 1994
-Enrico Colagiacomo - Deposizione del 15 giugno 1994

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