venerdì 6 marzo 2009

Pietro Pacciani – Memoriale del 7 marzo 1993 – Quinta parte

Segue dalla quarta parte.
Io sono un padre e quando succedevano questi fatti dicevo alle mie figlie: "Di sera non andate in giro". Lo dicevo specie a Rosanna, la maggiore: a lei piaceva andare al circolo del parroco a gettonare il jukebox. "Dopo cena andate a letto, come facciamo noi... lo vedete quello che succede, quello è un pazzo che non sa quello che fa. Vi carica in macchina e vi porta via e se vi succede qualcosa mi si schianterebbe il cuore". E ogni giorno mi raccomandavo, ripetendo le solite parole.
Allora Rosanna non era malata di nervi e lei lo ricorderà certamente pure ora.
Ricordo quello che lessi sul giornale dopo le calunnie che mi buttarono addosso. Lei disse: "Mio padre lo conosco bene, è sempre stato con noi oppure a lavorare e quando parlava la televisione di questo “Mostro”, mio padre diceva che quello era un pazzo. Mio padre sarà stato cattivo con noi, ci avrà maltrattate e picchiate, non è il “mostro”, lo conosco bene".
E su questo fatto voglio dire che è vero che ho dato alle mie figlie dei ceffoni, ma avevo le mie ragioni. Per quanto riguarda Rosanna, ad esempio, aveva messo da parte un bel po’ di soldi che lei aveva guadagnato in quattro anni di lavoro e qualcosa le avevamo dato noi. Ma un vagabondo le stava dietro e le diceva che era innamorato e voleva sposarla. Lei si invaghì di questo sciagurato e si mise a fare all’amore con lui e tutti i giorni andava a farsi dare dei soldi. "Te li rendo appena lavoro, siamo fidanzati e quello che è mio è tuo e quello che è tuo è mio", le diceva, ma in tre mesi le tolse la metà dei soldi che aveva sul libretto.
Quando me ne accorsi e le chiesi spiegazioni, mi rispose male e la picchiai. Allora lei andò da una signora, moglie di un avvocato ora deceduto, che fece chiamare anche Graziella, l’altra mia figliola. Assieme dichiararono ai magistrati che io, quando avevo bevuto, oltre a picchiarle davo loro noia. I giudici credettero alle due ragazze e non a me. Tutto per colpa di quel vagabondo che stava dietro a mia figlia. Ma lui, finito il militare, sposò un’altra ragazza e lei, Rosanna, si ammalò di nervi. Quando tornai a casa nel 1991, dopo aver scontato la pena, lasciai a Rosanna la casa con tutta la mobilia compreso il letto matrimoniale. Io e mia moglie andammo a stare nell’altra casa e con le figlie ci demmo la mano e ci chiedemmo reciprocamente perdono.
Ma poco tempo dopo cominciò il calvario. Qualcuno ce le mise contro dicendo loro di non venire da noi, di non parlare con me e raccontò falsità: che ero pericoloso, che il mostro ero io. Fino a quando una mattina arrivarono con un mandato di perquisizione polizia, carabinieri, vigili del fuoco, 30 persone con martelli pneumatici, apparecchi a ultrasuoni, macchine a raggi infrarossi per poter scavare nell’orto e in ogni luogo: era arrivata una lettera anonima che diceva che nel mio orto c’erano delle armi nascoste.
I carabinieri mi dissero che o le tiravo fuori o le avrebbero trovate loro. Io risposi che non avevo nessuna arma e loro continuarono a scavare tutto quel terreno, palmo a palmo, alla profondità di un metro, rovinandomi tutte le piante, strappando le radici. Ed io piansi dalla disperazione avendo piantato tutto io.
M’ero poi raccomandato di fare attenzione alla casetta, ma me l’hanno sfondata tutta con tanti fori nei muri e nel pavimento. Ci avevo lavorato tanti giorni con tanta fatica, ma loro dissero che non dovevo preoccuparmi, che sarebbe venuta una ditta a rimettere tutto a posto. Venne la ditta Falliani con 4 pensionati, fecero le riparazioni in qualche modo, ed io dovetti rifare tutto il lavoro. Mentre guardavo tutto quel macello, pensavo che questo accadeva proprio quando io ero quasi riuscito a riportare la pace in famiglia, tanto che pure Rosanna ogni tanto veniva a trovarci ed avevamo finalmente trovato la tranquillità.
La mattina del mio arresto ero nell’orto a piantare l’aglio e non avevo neppure fatto colazione per terminare l’ultimo solco. Mi vidi arrivare il maresciallo dei carabinieri che mi disse: "Bisogna che venga con noi". Io, che avevo la coscienza pulita, chiesi se c’era qualcosa di nuovo. "No, solo un foglio da firmare". "Ma devo fare colazione, cambiarmi gli indumenti e le scarpe fangose", dissi. "Si va e si torna, l’accompagniamo noi", disse, ed invece di portarmi in caserma mi portarono al carcere chiudendomi in una cella blindata, solo come un cane, senza televisore e isolato da tutti, malato di cuore, e con il diabete a 190. Lì mi hanno dato un fascicolo con scritto: "Custodia cautelare in carcere" e tante accuse infamanti alle quali voglio rispondere punto per punto.
La prima è che sarei pericoloso e maltratterei la mia famiglia. Ora domando a voi se un povero vecchio di 68 anni può essere pericoloso e in quanto alla famiglia chi l’ha più maltrattata? Eravamo tornati in quella casetta e ci aiutavamo tra noi tanto che, delle volte, quando a letto mi sentivo male per il cuore, mia moglie si alzava a scaldarmi una tazza di latte ed io la mattina facevo il caffè e da mangiare e la spesa, risparmiandole la fatica. Non nego che qualche volta si vociava, siamo entrambi mezzi sordi, ma non è vero che si litigasse. Lei è nervosa, e quando le prendono i nervi non sa più controllarsi e a me toccava alzare la voce per riportarla alla ragione, ma dopo tornava la pace e ci volevamo bene.
Il secondo punto riguarda i coltelli e la pistola che non ho mai avuto, perché in casa mia non c’è mai stata una pistola e questo l’hanno constatato gli stessi inquirenti rovistandola. Mi viene contestata poi la mulilazione dei cadaveri e l’asportazione della mammella sinistra delle donne uccise dal mostro. Il procuratore mi chiese spiegazioni sul fatto successo nel 1951, quando sorpresi la mia fidanzata in intimo adulterio. Vollero sapere l’atteggiamento in cui si trovava. Io spiegai che vidi lui su di lei e vidi una sua mammella scoperta. Il procuratore Vigna mi chiedeva insistentemente quale era, se la destra o la sinistra, ed io risposi che ero ad una distanza non vicina a loro. Vidi biancheggiare il seno ma non sono sicuro se il destro o il sinistro.
Inoltre io non me la presi certo con lei o con il suo seno, tanto che lei le mammelle le ha entrambe tutt’oggi, me la presi con lui che s’era abusato con la forza della donna che avrei dovuto sposare. Fu lei stessa più volte a dirmi: "Mi ha preso con la forza, io non volevo, picchialo, picchialo", e questa cosa la confermò al processo quando affermò: "Io gli dissi picchialo, non ammazzalo", lo mi ero slanciato per dare due pugni a quello lì, non per ucciderlo, ma lui era più forte di me e mi afferrò per la gola e mi dovetti difendere. Non respiravo più, l’ho dichiarato molte volte, per cui persi il controllo e vibrai colpi di coltello. Non capii più niente dalla bile del tradimento e dell’aggressione, ma non ci fu malvagità in me.
Segue...

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