sabato 28 febbraio 2009

Mariella Ciulli

Ex moglie del farmacista di San Casciano Francesco Calamandrei. La coppia si separò nel 1985. Nella primavera del 1988, Mariella Ciulli, si recò alla Stazione dei Carabinieri di San Casciano dove riferì di aver visto, anni addietro, l'ex marito con una pistola Beretta e di aver rinvenuto nel frigorifero di casa i feticci strappati alle vittime dei duplici omicidi. Furono effettuati controlli e perquisizioni da cui non emerse niente di significativo. Nel 1991 scrisse un memoriale in cui raccontava che l'ex-marito era "un soggetto malato rovinato dalla frequentazione di un certo gruppo di persone" e di aver notato ferite al volto e agli arti sull'ex marito il giorno successivo l'omicidio di Nadine Mauriot e Jean Michel Kravechvili. Fornì inoltre alcuni dettagli in merito al primo omicidio attribuito al "mostro di Firenze": "Nel 1968, a fine estate, mi trovavo in auto con mio marito, credo la mia Cinquecento, ferma in un viottolo nelle vicinanze di Castelletti di Signa, così mi sembra, anzi ne sono certa. Guidava lui in quanto io non sono molto pratica della zona e presumo che anche lui non lo fosse. Mi sembra che eravamo stati a cena da una nostra amica di Signa che mi aveva dato una pozione di polvere bianca contro il malocchio. Non ricordo come si chiami né dove abiti esattamente. Mentre eravamo in auto abbiamo udito alcuni spari e dopo pochi istanti abbiamo sentito e visto un bambino che piangeva accanto alla nostra auto. Il bambino ci notificò che la sua mamma era morta e ci indicò di andare verso un'altra auto che noi non vedevamo in quanto coperta da una siepe. In effetti notavamo che c'era un'altra macchina parcheggiata dove aveva indicato il bambino, un'auto grossa. Mio marito scese dalla Cinquecento, andò verso questa seconda auto e tornò indietro dicendo che non vi era nessuno a bordo. Con una bicicletta che stava appoggiata a un cespuglio prese il bambino e, fattolo salire in canna, si avviò dicendo che l'avrebbe accompagnato a casa facendosi indicare la strada dal ragazzo stesso. Mentre attendevo in macchina il ritorno di mio marito, vidi transitare un altro uomo in bicicletta: costui indossava una mantella scura e un cappello..."
Nel 2000, in seguito ad una perizia psichiatrica, fu interdetta.
Rif.1 - Dolci colline di sangue pag.
Rif.2 - Corriere della Sera - 23 gennaio 2008 pag.

Cinzia Cambi

Nei primi anni '80 lavorava insieme alla sorella Susanna come telefonista a TV Prato 39. Dopo la morte della sorella scrisse ai quotidiani il messaggio che segue: "Gentile direttore vorremmo ringraziare attraverso la stampa tutti coloro che hanno voluto partecipare al nostro immenso dolore. Susanna e Stefano devono essere le ultime vittime di questa mano omicida. Anche noi dunque ci uniamo all'appello rivolto dagli inquirenti perchè chiunque possa fornire anche una minima traccia che riesca a smascherare l'assassino, si faccia avanti. Susanna e Stefano appartenevano a due famiglie sfortunate, come avete scritto e detto nei vostri resoconti, pubblicati o trasmessi in televisione. Ma spesso sono state dette cose non vere e inesatte, particolari che comunque in simili circostanze potevano benissimo essere omessi. Soprattutto una rete televisiva ha calcato troppo la mano fissando a lungo l'obbiettivo della telecamera sui corpi straziati dei ragazzi, non preoccupandosi se dall'altra parte del video c'erano persone che ancora non sapevano o che volevano ricordare quei bei visi sorridenti e pieni di vita. Avremmo potuto fare a meno di esternare questo nostro rammarico, anche perchè in molti altri casi i giornali hanno preferito essere discreti nel parlare della tragedia che ci ha così duramente colpiti, ma l'angoscia di una famiglia non può tacere di fronte a simili deformazioni. La ringraziamo gentile direttore per la sua attenzione e per l'aiuto che ci vorrà dare nel ricordare degnamente Susanna e Stefano."
Rif.1 - Il mostro di Firenze pag.65

venerdì 27 febbraio 2009

Carlo Lucarelli - Un uomo potente guidava la setta

Intervista pubblicata sul quotidiano La Nazione il 6 settembre 2001.
Giornalista: "Non si sbilancia a dire «l'avevamo scritto quattro anni fa» né tantomeno canta vittoria. Ma le sue parole traspirano soddisfazione. Velata soddisfazione. Carlo Lucarelli, giallista incallito sulle strade dei grandi misteri italiani, nel 1998 pubblicò un libro scritto a quattro mani con il capo della squadra mobile di Firenze, Michele Giuttari: il titolo era Compagni di sangue, il fulcro il mistero del mostro di Firenze, le conclusioni quelle verso cui si stanno lentamente dirigendo le indagini che durano da decenni e che puntano diritto a una potente setta capace di manovrare Pacciani e gli altri "compagni di merende".
Allora Lucarelli, si sono persi 4 anni di indagini?
Dico solo che con Giuttari, quattro anni fa, avevamo già adombrato queste teorie.
Che cosa in particolare?
Ci sono più livelli dietro a quei delitti di coppiette sulle colline di Firenze. Innanzitutto, la manovalanza, gli esecutori: ovvero Pacciani e compagni. Poi, diversi anelli rappresentati da misteriose sette. Ma non è tutto... I vari anelli portano a un'unica persona, forse professionista, protetto e potente.
Che tipo di sette?
E' questo un punto molto importante, perché fino a oggi si è sempre parlato di satanismo. Ma le sette non sono solo sataniche... Ci sono accolite di persone con idee ben precise e alla ricerca di emozioni forti e deviate. Forse, insospettabili.
Su cosa si era basata questa vostra teoria?
Da concreti elementi investigativi, perché ritengo Giuttari un grande poliziotto: innanzitutto il ricchissimo conto di Pacciani, la villa dei misteri di San Casciano, gli strani fenomeni registrati in quella zona, le tante prostitute uccise, le testimonianze di persone terrorizzate.
Pietro Pacciani è stato ucciso?
La morte di Pacciani ha fatto comodo a molte persone. Ma attenzione, ci sono diversi modi di uccidere, non solo l'assassinio: penso, per esempio, all'induzione al suicidio. Pacciani era malato, aveva bisogno di continui farmaci: forse si è fatto convincere a lasciarsi morire.
Non sarebbe la prima volta che un mistero italiano arriva al nulla per la morte improvvisa di una pedina fondamentale...
Esattamente. Malattie o tragedie improvvise del principale sospettato hanno spesso portato alla fine delle indagini. E, ricordiamolo, Pacciani proprio in quei giorni sarebbe dovuto comparire di nuovo in tribunale.
Il mostro di Firenze e il misterioso delitto di Serena Mollicone ad Arce: vede possibili connessioni?
Non mi convince: è vero che un serial killer non smette all'improvviso di uccidere e che è portato dopo un certo periodo a cambiare territorio, ma finora non ho trovato elementi eclatanti che mi portino in questa direzione.
L'improvvisa perquisizione in casa del criminologo Francesco Bruno...
Non mi ha sorpreso: è sicuramente una persona informata dei fatti. Ma non ho una grande stima di lui in quanto criminologo: la sua teoria che Pacciani sia solo una vittima innocente, proprio è fuori strada.
Dopo oltre vent'anni di indagini, crede che il mistero di Firenze potrà essere svelato?
Ne sono sicuro. Ma a una condizione: le indagini devono andare avanti senza guardare in faccia a nessuno.
Le facce di chi?
Siamo di fronte a sette altolocate, formate da persone potenti e protette. E non dimentichiamoci che per due volte Michele Giuttari è stato rimosso dall'incarico.

Carmelo Cutrona

Originario di Marineo, in provincia di Palermo, fu amante di Barbara Locci. Stefano Mele lo dichiarò colpevole dell'omicidio della moglie Barbara. Interrogato, Cutrona, confermò la conoscenza della famiglia Mele ma dichiarò d'essere stato al cinema a Lastra a Signa con lo zio Cannizzaro Antonio la sera del delitto. Sia Cannizzaro Antonio che i familiari del Cutrona confermarono il suo alibi.
Rif.1 - Il mostro di Firenze pag.131

giovedì 26 febbraio 2009

Antonio Lo Bianco

Nacque il 23 novembre 1939 a Palermo. Alla fine degli anni '50 si era trasferito in Toscana con alcuni parenti. Si era sposato con Rosalia Barranca, anch'essa siciliana, ed aveva avuto tre figli con cui abitava in Via Manzoni 116 a Lastra a Signa. Nell'estate del 1968 conobbe una giovane che abitava a Lastra a Signa: Barbara Locci. Il 21 agosto i due, con il piccolo Natalino Mele, figlio della Locci, si recarono al Cinema Giardino Michelacci a Lastra a Signa. Secondo "La leggenda del vampa" quella sera veniva proiettato il film Helga, il miracolo dell'amore, un film tedesco vietato ai minori di 14 anni. Dal testo "Storia delle merende infami" emerge invece che il film proiettato quella sera era Nuda per un pugno d'eroi, un film giapponese di guerra. I tre entrarono al cinema per assistere al secondo spettacolo, il gestore della sala, Elio Pugi, nei giorni successivi, li riconobbe nelle foto pubblicate sui giornali. Al termine della proiezione i tre recuperarono la Giulietta 1660 di proprietà del Lo Bianco e si appartarono poco distanti dal cinema. Natalino Mele dormiva da un pezzo, quando i due giovani, in atteggiamenti intimi, furono raggiunti da 4 colpi di pistola ciascuno, nel primo degli otto omicidi attribuiti al "mostro di Firenze". Nel marzo del 1970, davanti alla Corte di Assise di Firenze ebbe luogo il processo a Stefano Mele, marito di Barbara Locci, imputato per il duplice delitto. Un cognato di Antonio Lo Bianco, Giuseppe Barranca, dichiarò durante il processo a Stefano Mele: "Poche ore prima del delitto avevo invitato a cenare con me in trattoria mio cognato Antonio, ma lui rifiutò adducendo un impegno urgente. Ricordo anche un altro fatto; tempo prima, alle giostre, avevo combinato con Barbara, ma lei mi disse che quando andava in giro con altri c'era qualcuno che la seguiva in motorino e aveva aggiunto: "non voglio che ci sparino in macchina".

Gian Eugenio Jacchia

Fu primario del Centro traumatologico ortopedico di Firenze e professore universitario. Il 15 ottobre 1997 finì agli arresti domiciliari con l'accusa di aver molestato alcuni suoi giovani pazienti. Per questa vicenda patteggiò una pena di due anni per molestie sessuali. Il 15 novembre 2002 il capo della squadra mobile, Michele Giuttari, fece perquisire le sue abitazioni a Firenze, a Fiesole, a Monte Argentario e a Cortina d' Ampezzo e fece sequestrare alcuni documenti in quanto indagato per favoreggiamento dei mandanti dei delitti del "mostro di Firenze". Il 18 novembre 2002 in un'intervista a La Repubblica dichiarò: "Mai conosciuto Narducci, al ritorno dall' interrogatorio mia moglie mi ha detto che quel medico aveva sposato la figlia di una mia amica di infanzia, che ho incontrato di nuovo per caso due-tre anni fa. In casa mia trovate azioni per 35 miliardi? Magari. Ne avrò al massimo per 60-70 milioni di vecchie lire. Con la liquidazione ho comprato azioni per poco più di 100 milioni, in due anni ho perso il 58 per cento, mi saranno rimasti titoli per 60-70 milioni di lire. Non capisco. Nei giorni scorsi mi ha chiamato la squadra mobile come persona informata sui fatti. Pensavo a qualche strascico di vecchie storie, lamentele di pazienti, ma mi sono trovato davanti al capo della mobile Michele Giuttari e ho capito che doveva essere una cosa importante. Mi ha chiesto a bruciapelo cosa pensassi dell' indagine sul mostro. Ho risposto: «E' iniziata come una tragedia, sta finendo in buffonata». Lui si è offeso. E nei giorni successivi mi hanno perquisito e indagato per favoreggiamento dei mandanti del mostro. E' una cosa fuori dal mondo».

mercoledì 25 febbraio 2009

14 settembre 1974 - Stefania Pettini e Pasquale Gentilcore

Nella notte tra il 14 ed il 15 settembre 1974, in una strada sterrata nella frazione di Rabatta, vicino a Borgo San Lorenzo, furono uccisi, all'interno di una Fiat 127 blu targata FI 598299, Stefania Pettini e Pasquale Gentilcore, rispettivamente di 18 e 19 anni. Nella mattina del 15 settembre, i due cadaveri, furono scoperti dal contadino Pietro Landi (l'avvocato Rosario Bevacqua nelle "dichiarazioni di impugnazione e motivi" inviate alla Corte di Assise di Appello riferisce che i due cadaveri furono scoperti da tale Francesco Fusi). Pasquale Gentilcore era stato raggiunto da tre proiettili che lo avevano colpito nella schiena in un arco che andava dalla spalla sinistra alla scapola destra. Altri due proiettili gli avevano perforato l'emitorace sinistro raggiungendo il cuore ed un polmone. La ragazza era stata attinta da 3 colpi di pistola all'addome e ad una gamba secondo il testo La leggenda del Vampa; da 4 proiettili al braccio destro da quanto si legge su Il Mostro. I carabinieri intervenuti trovarono il finestrino anteriore sinistro in frantumi e la portiera destra aperta. Il sedile anteriore destro aveva lo schienale abbassato. L'autoradio era accesa ed il libretto di circolazione adagiato sul tappetino dell'auto. Nell'abitacolo della vettura furono trovati il portafoglio del ragazzo, contenente 33.800 lire, alcune fotografie dello stesso e della fidanzata Stefania, un'agendina di colore rosso su cui erano stati segnati diversi numeri di telefono, fazzoletti di carta, alcuni all'interno di una scarpa del ragazzo. Le scarpe di Stefania Pettini furono trovate vicino alla pedaliera. Lo specchietto retrovisore divelto fu trovato sul piano della vettura dalla parte del passeggero. Il corpo del ragazzo fu trovato al posto di guida, indossava solo un paio di slip ed un orologio al polso sinistro che indicava le tre e un quarto. Le mani erano unite sotto la coscia sinistra, la testa appoggiata sul finestrino. Stefania Pettini fu trovata supina, nuda, dietro l'auto; l'assassino le aveva inserito un tralcio di vite all'interno della vagina. Non distante dall'auto, sotto ad un pioppo, furono trovati una camicia e tre paia di pantaloni. Fuori dall'auto, accanto allo sportello sinistro venne ritrovato il giubbetto del Gentilcore, sulla destra a 3/4 metri una camicetta e un paio di mutandine ed un pullover bianco della ragazza ed alcuni fazzolettini di carta. Grazie ad una segnalazione anonima, fatta alla Stazione dei Carabinieri di Borgo S.Lorenzo alle ore 18,30 del 15 settembre 1974, fu ritrovata la borsa della ragazza, che era stata gettata a circa 300 metri dal luogo del delitto, in un campo di granturco sulla destra della strada che da Rabatta conduce a Sagginale. La borsa non presentava alcuna traccia di sangue e conteneva il portafogli, la carta d'identità, una piccola agenda del 1974 e delle fotografie. Non furono trovati una catenina d'argento, qualche piccolo anellino in argento a fascetta ed un orologio di acciaio che, secondo la madre di Stefania, la ragazza indossava. La perizia eseguita dal professor Mauro Maurri consentì di definire la dinamica del duplice omicidio. I due giovani stavano facendo l'amore, Pasquale era disteso sopra Stefania, l'assassino una volta vicino all'auto, sparò i primi colpi di pistola dal finestrino anteriore sinistro, colpendo il ragazzo alla schiena; girò quindi intorno all'auto ed aprendo lo sportello destro esplose altri 5 colpi di pistola che uccisero Pasquale Gentilcore. Stefania, seppur ferita, aveva cercato di fuggire ma era stata colpita da 3 fendenti di arma bianca che l'avevano raggiunta al seno sinistro ed al centro del petto, lacerandole mortalmente il cuore. L'assassino con il coltello, aveva quindi colpito nuovamente Pasquale Gentilcore per poi trascinare la ragazza fuori dall'auto ed infierire su di lei penetrandole superficialmente il petto, l'addome ed il pube con uno strumento appuntito 93 (talvolta vengono riportate 96) volte. Il professor Maurri in dibattimento, durante il procedimento contro Pietro Pacciani, parlerà di "ferite inferte sui cadaveri inferte da arma bianca taglientissima, adoperata con estrema precisione, capacità, manualità". Sull'auto non furono rinvenute impronte digitali. Il 16 settembre gli inquirenti si recarono nuovamente sul luogo del duplice omicidio dove trovarono 5 bossoli Winchester serie H, ad ogiva ramata, sparati da una Beretta serie 70, calibro 22, Long Rifle ed un bottone rivestito di cuoio (Ne Il mostro di Firenze i proiettili recuperati risultano essere undici). La sera del sabato 14 settembre 1974, nella zona, a pochi metri dal luogo (circa 50 metri) sarebbe stata vista stazionare un'auto di media cilindrata somigliante ad una Simca o a una BMW o Giulia. Del duplice omicidio furono inizialmente accusati Guido Giovannini, Bruno Mocali e Giuseppe Francini.
Rif.2 - Il mostro di Firenze pag.14
Rif.3 - Il mostro pag.19

Maria Ines Pietrasanta

Moglie del ginecologo Giulio Zucconi. Il 6 febbraio 1998 fu indagata per rapina, furto e sequestro di persona. Era accaduto, che il 22 gennaio 1996, Angiolina Manni, moglie di Pietro Pacciani era stata avvicinata da una donna che si era spacciata per amica della figlia Rosanna, questa si era introdotta in casa e dopo averla narcotizzata con del Tavor aveva frugato in lungo e in largo alla ricerca di non si sa bene cosa. La Procura e la Polizia avevano concentrato le indagini su Maria Ines Pietrasanta ma il 4 luglio 2006 il gip, Anna Favi, la prosciolse "per non aver commesso il fatto".

martedì 24 febbraio 2009

Il mostro, il giudice e il giornalista

Autore: Sandro Provvisionato e Gian Paolo Rossetti
Prima edizione: Theoria - 1996 - 208pp - Brossura

SINOSSI
Da Valpreda a Pacciani fino al caso Rostagno: cinque clamorosi errori giudiziari passati al microscopio da due giornalisti del Tg5. Provvisionato e Rossetti raccontano come si forma l’alleanza tra potere giudiziario e potere informativo: tra magistrati pressati dalla fretta, viziati da superficialità investigativa, innamorati delle proprie tesi accusatorie e giornalisti dipendenti dal magistrato per le informazioni, tendenzialmente colpevolisti, sostenitori a priori dell’infallibilità dei giudici. Una denuncia impietosa e circostanziata, tutta fatti e nomi.

Gaetano Zucconi

Fu ministro consigliere a Mosca negli Anni Ottanta, e ambasciatore a New Delhi negli Anni Novanta. Dopo le rivelazioni di un investigatore privato francese, venuto in Italia per scoprire la verità sul duplice omicidio di Nadine Mauriot e Jean Michel Kravechvili, ed i dossier di Francesco Bruno per il Sisde, fu sospettato, insieme al fratello Giulio, di aver partecipato alle messe nere organizzate dalla setta esoterica che ordinava feticci al "mostro di Firenze". Il 22 giugno 2002 rilasciò l'intervista che segue a Giuseppe D'Avanzo, giornalista di Repubblica.
Gaetano Zucconi: "In Italia non esiste la pena di morte, ma la morte civile sì e io mi sento condannato a una morte civile. È una condanna che uccide lentamente, che ti porta via quanto hai di più caro, un buon nome costruito dal lavoro e dalla vita di più generazioni, gli amici che hai amato o ami; è una Gehenna che isola la tua famiglia precipitandola nel disonore; è un fantasma che, alla fine, ti divora come un' ossessione. (...) Mi è sembrato naturale e doveroso attendermi giustizia da chi è deputato ad amministrarla. Sono stato per tutta la mia vita un funzionario dello Stato e a quella regola di discrezione personale e di rispetto istituzionale ho ritenuto di tener fede anche in questa penosa circostanza, anche quando c' era chi mi consigliava di reagire, di protestare. No, replicavo, è un lavoro che la legge assegna ai giudici. Prima o poi, mi dicevo, queste «voci di questura» assumeranno la forma di accuse, di contestazioni formali e allora mi difenderò davanti alla magistratura. O, se nessuna contestazione si materializzerà, sarà un giudice a punire la diffamazione del mio nome. Purtroppo, mi sono illuso: non vanno così le cose in Italia... (...) Il mio avvocato continua far la spola con la Procura per sentirsi ripetere dal procuratore aggiunto Paolo Canessa che non c' è niente sul mio conto. Non so come e dove è nata la calunnia che travolge la memoria di mio fratello. So soltanto che per tirare il suo nome dentro questa storia hanno dovuto coinvolgerne la moglie, mia cognata, (Maria Ines Pietrasanta ndr) che da quattro anni risulta indagata, senza seguito alcuno, per aver rapinato la moglie di Pacciani di 200 mila lire. (...) «Comincia qui la mia condanna alla morte civile. Né la polizia né la procura di Firenze mi contestano alcuna accusa. L' assalto, se così si può dire, comincia altrove. Un giorno, un quotidiano pubblica nei dettagli accuse infamanti contro mio fratello. Il tono è vago nel descrivere il sospetto: «Un ginecologo che viveva nelle campagne intorno a Firenze». Passa qualche tempo, altro articolo, stesso quotidiano, ripreso poi da altri e dalla tv in una staffetta diffamatoria. Il tono è ancora vago, ma ci sono sufficienti elementi per identificarmi: «Tra le posizioni all' esame degli inquirenti c' è quella di un ambasciatore ora in pensione legato da rapporti di parentela al ginecologo di San Casciano, amico di Pacciani». Giulio non ha mai conosciuto Pacciani, ma la circostanza non sembra inquietare i cronisti. A quel punto - due fratelli, uno ginecologo, l' altro ambasciatore - è pronta per me la gogna. Sono identificabile da chi mi conosce, nel mio ambiente professionale, nell' ambito dei miei amici. Vedo crescere intorno a me un muro che mi isola dal mondo. Quell' amico non si fa più vivo. Quell' altro tace da tempo. Certo, può dipendere da molte circostanze. Le amicizie non sono eterne. Ma quando il silenzio prende a circondarti come una condanna, cominci a sapere che cos' è la morte civile. Rientrato in Italia, avrei desiderato riprendere contatto, ad esempio, con persone di cui ho amato in passato la compagnia. Mi costringo a non farlo per non creare reciproci imbarazzi. Come posso reagire? Posso dare querela? No, mi dicono gli avvocati, il mio nome non è stato mai fatto. Attendo tra le proteste dei miei familiari e dei miei figli, che vorrebbero una reazione. Scrivo ai giornali che hanno pubblicato quelle cronache. Le mie smentite non vengono mai pubblicate. Mi rivolgo alla Procura di Firenze. Mi rassicurano che non sono indagato, che «sul mio conto non c' è nulla». Un giorno, il telegiornale di un network nazionale dà per certa «la partecipazione di un noto ginecologo e del fratello ambasciatore a messe sataniche». Mi sembra di aver trovato il bandolo della matassa. Querelo. Finalmente potrò liberarmi dal sospetto. Ne ricavo il proscioglimento del direttore del telegiornale con questo argomento: «La frase non appare di per sé offensiva della reputazione di terze persone e, comunque, appariva riportare correttamente un episodio sul quale all' epoca la magistratura stava indagando». Ma come si può sostenere questo? Mi riesce difficile immaginare un' accusa più infamante anche se soltanto si vuole tener conto del fatto che, insinuando che una persona ha partecipato a delle messe nere, gli si conferisce, per lo meno, la patente del cretino. Non basta. C' è quel riferimento alle indagini della magistratura. La Procura sostiene che non sono indagato. Ma ipotizziamo per un attimo che quelle indagini ci fossero, è possibile che io ne sia stato tenuto completamente all' oscuro, mentre i media ne sono stati informati con dovizia di particolari? Mi amareggio quando leggo che il procuratore di Firenze ha emesso un comunicato ufficiale per scagionare il suo collega Piero Luigi Vigna dall' accusa, diffusa da un settimanale, di aver depistato le indagini sul mostro. Mi chiedo perché la Procura non ha emanato un comunicato anche nel mio caso per scagionarmi dalle accuse che mi colpiscono? Ci sono forse due categorie di cittadini: quelli che vengono difesi d' ufficio e quelli che possono essere distrutti? Perché è quello che è accaduto: il mio nome è stato dato dalle «voci di questura» in pasto alla stampa senza una prova, senza un brandello di indizio, senza alcun coinvolgimento. Ora io sento l' obbligo di reagire. Ma come posso riscattare la memoria di mio fratello? Come posso difendere la mia reputazione? Come posso difendermi dalle ombre?"

lunedì 23 febbraio 2009

Blu Notte - Il mostro di Firenze

Il 16 febbraio 2003 andò in onda, su Raitre, la prima puntata di Blu Notte dedicata alla vicenda del "mostro di Firenze". La seconda puntata fu trasmessa il 23 febbraio.
Quello che segue è il comunicato stampa diffuso dalla Rai.
"Per oltre dieci anni, il mostro di Firenze ha terrorizzato l’Italia. Ma il serial killer non era solo: aveva intorno a sé feroci e spietati compagni di sangue legati tra loro da segreti inconfessabili. La storia di questi mostri e dei loro delitti è ancora in parte rimasta oscura, e a quasi vent’anni dall’ultimo duplice omicidio, una nuova ipotesi investigativa apre scenari sempre più inquietanti. Chi c’è dietro il “mostro”, chi ordinava di compiere assurdi delitti e terribili mutilazioni? Magia nera, sesso e folle violenza erano gli unici moventi degli otto duplici omicidi?"
La puntata è stata più volte replicata su Raitre. La sceneggiatura della puntata è stata pubblicata nel, 2004, su "Nuovi misteri d'Italia", Einaudi Stile Libero, ne esiste inoltre una versione in DVD pubblicata da De Agostini nella collana "I misteri italiani di Blu Notte in DVD".

Marco Lagazzi

Marco Lagazzi è nato a Genova nel 1957 è un medico specialista in psicologia, criminologia, psicoterapia e psichiatria forense. Lavora dal 1982 come psichiatra forense, in ambito nazionale e internazionale. E' stato, tra l'altro, consulente tecnico nei procedimenti relativi ai criminali di guerra della ex Jugoslavia (Tribunale Onu dell'Aja), al "Mostro di Firenze", alla "Banda della Magliana" e a molti casi di criminalità organizzata e di omicidi seriali. Il 16 settembre del 1996, la Procura della Repubblica chiese al professor Lagazzi ed al medico psichiatra e analista Ugo Fornari, una consulenza tecnica per cogliere al meglio il profilo psicologico di Giancarlo Lotti. Nella relazione si legge: "(...) in estrema sintesi la realtà clinica del periziando può essere identificata in quella di un uomo apparentemente immune da patologie somatiche e psichiatriche di rilievo, ma orientato in senso omosessuale e connotato da forti istanze di carattere perverso, sicuramente tali da essere parte della sua personalità, delle sue scelte e della sua stessa interazione con l'esterno".
Rif.1 - Compagni di sangue pag. 112

domenica 22 febbraio 2009

Elisabetta Bertol e Francesco Mari

Docenti di tossicologia forense presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Firenze. Autori del libro Veleni. Intrighi e delitti nei secoli. Il PM, Paolo Canessa, chiese una loro consulenza volta a scoprire le cause che condussero alla morte di Pietro Pacciani. I due periti, il 30 ottobre 2001, consegnaro una perizia tecnica di 80 pagine, in cui emerse l'assunzione da parte del Pacciani di un medicinale chiamato Eolus, il cui principio attivo, il formoterolo, risulta letale per quanti soffrano di disturbi cardiaci.

Aurelio Mattei

Criminologo, consulente del Sisde, collega di studio di Francesco Bruno. Si ispirò ai dossier sul "mostro di Firenze", compilati da Francesco Bruno, per pubblicare il libro Coniglio il martedì, edito da Sperling e Kupfer nel 1993. Un giallo che ricostruisce i delitti del mostro ed anticipa la pista esoterica seguita dal capo della squadra mobile, Michele Giuttari solo dal 2001. In una intervista pubblicata sul Corriere della Sera dichiarò: "Il succo della storia e' che gran parte del vissuto dei cosiddetti mostri e' la normalita' , anche quando realizzano come a Firenze sedici omicidi in sedici anni. I delitti eccezionalmente devianti vengono poi circondati da un alone mitico, fino all' assurdo che ci sono persone disposte a passare anni in galera pur di far credere al mondo di essere protagoniste di un fatto eccezionale"(...). "Per descrivere la personalita' di un assassino la scienza da sola non basta. Occorre una pluralita' dei punti di vista che soltanto il romanzo puo' offrire. Mi sono si' serviti la conoscenza dei comportamenti patologici, ma durante la scrittura mi e' stato utile soprattutto un lavoro di autoanalisi: mi sono messo nei panni del mostro, ho pensato a come avrebbe reagito una persona normale in una situazione estrema. In fondo Pan (il nome con cui gli investigatori definiscono il serial killer) e' impegnato in una terribile sfida con il mondo per dimostrare che lui, modesto ricercatore in una casa farmaceutica, non e' una nullita' come credeva suo padre, che gli diceva sempre: io sono artista, violinista, tu sei nessuno. E' invece un uomo che fa tremare il mondo".
Nel 1997 fu accusato di aver ipnotizzato Gabriella Alletto, la supertestimone del delitto di Marta Russo, portandola ad accusare Salvatore Ferraro e Giovanni Scattone. Il 4 settembre 2001, la Squadra mobile perquisì la sua abitazione ed il suo ufficio nel tentativo di scoprire il ruolo dei servizi segreti nella vicenda del "mostro di firenze". Non emerse niente di significativo e non fu mai indagato.
Rif.1 - Corriere della Sera - 18 maggio 1993 pag.31
Rif.2 - Corriere della Sera - 6 settembre 2001 pag.16

sabato 21 febbraio 2009

Coniglio il martedì

Autore: Aurelio Mattei
Prima edizione: Sperling e Kupfer - 1993 - 288pp - Brossurato
 
SINOSSI
Un'afosa domenica mattina di giugno. Una tranquilla città di provincia. Nella questura semivuota il commissario Pino Cadone si prepara a svolgere le solite mansioni. All'improvviso, il rumore di passi rapidi, sempre più vicini, spezza il silenzio e la monotonia di quel giorno di festa. Il maresciallo Ippoliti, trafelato, annuncia la scoperta di due cadaveri, un uomo e una giovane donna, in un paesino poco distante dalla città. Sul luogo del delitto, scarsi gli elementi per identificare l'assassino. Qualche bossolo, H-Winchester, appartenente a una Beretta calibro 22, serie 70; i copri delle vittime, orrendamente straziati e abbandonati in prossimità della loro macchian, una Renault 5 color avana. Alla ragazza è stato asportato il pube, con una precisione e abilità che ricordano gli interventi chirurgici. Il resto appartiene al mondo delle supposizioni, delle ricostruzioni con le quali dovranno misurarsi investigatori ed esperti criminologi.

Giulio Zucconi

Professore di ginecologia alla clinica universitaria di Careggi, riceveva una volta la settimana a San Casciano, presso un ambulatorio messo a disposizione dal farmacista del paese. Dopo le rivelazioni di un investigatore privato francese, venuto in Italia per scoprire la verità sul duplice omicidio di Nadine Mauriot e Jean Michel Kravechvili, ed i dossier di Francesco Bruno per il Sisde, fu sospettato di far parte della setta esoterica che ordinava feticci al "mostro di Firenze".
Giulio Zucconi, nel 1989, morì di crepacuore a 54 anni.
Nell'indagine fu coinvolto anche il fratello Gaetano.
Rif.1 - Corriere della Sera - 23 gennaio 2002 pag.16

venerdì 20 febbraio 2009

Cesare Marchetti

Matematico e fisico. È membro onorario dell'Ordine degli ingegneri della Toscana, membro della direzione della International Association for Hydrogen Energy, condirettore dell'International Journal of Hydrogen Energy e del Journal of Forecasting. E' autore di oltre 150 articoli scientifici. Nel 1979 ha ricevuto una laurea honoris causa dall'Università di Strathclyde, in Scozia, e nel 1995 è stato insignito a Mosca della medaglia Kondrat'ev. Nel 1985, dopo il duplice omicidio di Nadine Mauriot e Jean Michel Kravechvili, il Comando generale dell'Arma dei Carabinieri di Roma gli chiese una consulenza sul "mostro di Firenze". Cesare Marchetti fu interpellato poichè grazie ad una sua applicazione matematica, denominata "Equazione di Volterra", era in grado di determinare la durata di fenomeni economici e sociali, poichè, a suo dire, ogni avvenimento dispone di una sorta di DNA che ne determina rigorosamente lo sviluppo. Dopo aver studiato il caso del mostro di Firenze sentenziò: "State tranquilli, non colpirà più." E così in effetti fu.

giovedì 19 febbraio 2009

Giovanni Bonechi

Ex muratore residente a San Casciano. Nel gennaio del 1997 rilasciò alcune interviste al Tg1 e al quotidiano La Nazione in cui affermava d'aver trovato, intorno al 1983/1984, dei bossoli di pistola nella piazzola agli Scopeti. Fu ascoltato dal capo della Squadra Mobile, Michele Giuttari e depose durante il processo ai presunti complici del "mostro di Firenze" il 14 luglio 1997.  

Rif.1 - La Repubblica - 05 gennaio 1997 pag. 21 

mercoledì 18 febbraio 2009

Francesco Bruno

Originario di Celico, Cosenza, è psichiatra criminologo e professore associato di Psicopatologia Forense all'Università di Roma la Sapienza. Il 15 luglio 1994 fu ascoltato durante il processo a Pietro Pacciani come consulente della difesa ed esperto di serial killer. Disse di essersi occupato del "mostro di Firenze" fin dal 1984 quando, l'allora capo del Sisde Vincenzo Parisi, gli commissionò un dossier sui duplici omicidi avvenuti intorno a Firenze. Spiegò inoltre che i delitti erano opera di un "serial killer organizzato, capace di prevedere e di pianificare molto bene la sua azione criminale". I dossier per il Sisde emersero solo nel 2001, quando il 4 settembre, fu ordinata una perquisizione nell'abitazione romana di Francesco Bruno, dal capo della squadra mobile Michele Giuttari. Il primo dossier datato 1984 si concludeva con: "Si tratta di delitti rituali compiuti in omaggio ad un qualche rito satanico di cui l' assassino è un seguace o a qualche pratica di stregoneria o magia nera. (...) L' assassino ha a che vedere con una casa di riposo per anziani non autosufficienti, con tutta probabilità nella zona sud di Firenze". Il secondo dossier del 1985 sottolineava invece un probabile movente religioso che andava a punire la donna quale "sorgente di peccato" e "ricettacolo del demonio". Le consulenze, che videro anche il contributo di Simonetta Costanzo, moglie di Bruno, furono consegnate nel 1985 ma furono dimenticate o occultate dalla sezione toscana del Sisde, che non le trasmise nè alla Procura nè alla Polizia.
Nel 1996 durante il Processo d'appello, Francesco Bruno fece parte del pool tecnico investigativo coordinato da Carmelo Lavorino in difesa di Pietro Pacciani. Il 29 gennaio dichiarò: "Pacciani non c' entra. Da un punto di vista scientifico la sua personalità non ha niente a che vedere col mostro di Firenze, soggetto con totale assenza di rapporti col mondo femminile. Pacciani è invece uno che "consuma" . E da un punto di vista giuridico non c' è una prova. Se lo condannano smetto di insegnare all' università questa materia". Nel sequestro del 4 settembre 2001, presso l'abitazione di Francesco Bruno, furono trovate anche due cartelle dattiloscritte, datate 3 marzo 1991, in cui veniva invitato dal direttore della Criminalpol, Luigi Rossi, ad effettuare una perizia psichiatrica, se necessario ricorrendo anche a pratiche ipnotiche, su Graziella e Rosanna Pacciani. Lo psichiatra criminologo non accettò l'incarico.
Il 6 settembre 2001 fu convocato in questura dal capo della squadra mobile Michele Giuttari, dove riferì in merito alle condizioni di salute di Pietro Pacciani, a cui aveva prescritto, il 15 febbraio 1996, il Sanguan per il diabete, un ansiolitico ed un medicinale per la grave cardiopatia di cui soffriva. Fornì inoltre dettagli circa le modalità di pagamento concordate dal Pacciani per le prestazioni del suo pool di difensori e sul coinvolgimento dei servizi segreti nella vicenda del "mostro di Firenze".
Rif.1 - La Repubblica - 05 settembre 2001 pag. 22
Rif.2 - La Repubblica - 07 settembre 2001 pag. 21
Rif.3 - Repubblica - 30 gennaio 1996 pag.16
Vedi anche: 
-Francesco Bruno - Udienza del 15 luglio 1994

-Francesco Bruno - Intervista su La Repubblica - 31 ottobre 2001  
-Il mostro di Firenze - Intervista a Francesco Bruno

47.62.62

Sabato 4 agosto 1984 fu istituito, dal procuratore della Repubblica Carlo Bellitto, un numero telefonico per quanti disponessero di informazioni utili alle indagini. Le chiamate provenienti da tutta Italia furono moltissime ma solo una piccola percentuale corrispondeva a "criteri di concretezza e attendibilità".
Presso la centrale operativa dei Carabinieri fu invece istituita la linea telefonica numero 21.10.25 per quanti avessero informazioni utili ad identificare il "mostro".
Rif.1 - La Repubblica - 07 agosto 1984 pag.11

martedì 17 febbraio 2009

Giuseppe Bevilacqua

Originario del New Jersey, negli anni '60 si trasferì in Italia. Dal 1974 al 1989 fu direttore del cimitero militare U.S.A. dei Falciani (San Casciano). Il 6 giugno 1994, quando fu chiamato a deporre durante il processo a Pietro Pacciani, dirigeva il cimitero di Anzio. Nel 1985 Bevilacqua abitava a 300/400 metri in linea d' aria dal luogo in cui persero la vita Nadine Mauriot e Jean Michel Kravechvili. Durante l'udienza dichiarò: "Io all’epoca di quell’omicidio avevo due cani, uno è campione di difesa e a un certo punto, quella sera, si misero a saltare perché volevano scavalcare la rete alta quasi due metri e mezzo. Forse i cani si resero conto che stava succedendo qualcosa e con le orecchie sentivano il francese che urlava. A quel punto decisi di mettere i cani a catena. Dopo, quando ho sentito la mattina sulla radio tutto il resoconto della faccenda, io volevo parlare con un poliziotto e spiegare più o meno che orario era (...). Sì, la notizia dell’omicidio dei due francesi l’ho sentita al giornale radio la mattina dopo alle sei e trenta, perché io normalmente metto la radio a quell’ora per sentire il notiziario, perché è quella l’ora in cui io andavo a lavorare. Dopo, quando sono andato a prendere il caffè, ho visto che la strada per andare al Ponte Scopeti, in su, era chiusa. Io ho sentito i cani che abbaiavano attorno dalle undici di sera, alle due di mattina, e la notizia dell’omicidio l’ho sentita la mattina dopo". Il mercoledì di quella stessa settimana precedente all'omicidio, aveva visto la ragazza accanto all'auto Golf bianca con targa francese, vicino alla quale era montata la tenda di tipo canadese, in una stradella laterale posta sulla destra salendo, circa 500 metri prima della piazzola ove era avvenuto il delitto. Alcune ore dopo era ripassato ed aveva rivisto la tenda chiusa, ma non aveva più visto né persone né macchina. Uno o due giorni dopo, ripercorrendo la stessa strada, aveva notato che la tenda non era più nel luogo di prima ma si trovava 200/300 metri più avanti su uno spiazzo sterrato poco al di sopra del piano stradale, dove aveva rivisto la stessa giovane donna e il ragazzo: il Bevilacqua riconoscerà poi quest'ultimo luogo come la parte della piazzola del delitto prospiciente e quasi sovrastante la strada degli Scopeti, diversa da quella, più interna e vicina al bosco, dove venne rinvenuta la tenda col cadavere della Mauriot. Riferì:"Volevo fermarmi, spiegare che era una zona pericolosa, tanto è vero che lungo la strada c' erano cartelli che dicevano ' Zona mostro' . Invece non l' ho fatto e ho sbagliato". Disse d'aver visto qualcuno aggirarsi nei dintorni della piazzola: "Sì, quell' uomo mi colpì. Aveva una specie di divisa da operaio dell' Anas o da forestale. Io li conoscevo tutti ma quello non lo conoscevo. Per questo mi fermai, per capire chi fosse. Stava a 10, 15 metri da me, a 4 o 500 metri dallo spiazzo dove erano accampati i due turisti francesi, e credo che il delitto sia avvenuto uno o due giorni dopo quell' incontro. L' uomo era alto più o meno come me, e io sono 5 piedi e 7 pollici (m1,80 - Pacciani era alto m1,64 ndr) (...) era robusto e aveva un profilo aquilino, la pelle abbronzata, i capelli pettinati indietro. In aula riconobbe Pietro Pacciani come l'uomo che aveva visto nel bosco degli Scopeti.
La testimonianza contiene una grave incongruenza, Joseph Bevilacqua disse di aver appreso del duplice omicidio la mattina del 9 settembre ma i corpi dei due ragazzi francesi furono scoperti da Luca Santucci solo intorno alle 13 e 45.
Rif.1 - La Repubblica - 07 giugno 1994 pag. 18
Rif.2 - Visto n.27 - 1994
Rif.3 - Sentenza della Corte di Assise dell'1 novembre 1994 contro Pietro Pacciani
Vedi anche:
Giuseppe Bevilacqua - Deposizione del 06 giugno 1994

Analisi di un mostro

Autore: Francesco Bruno, Andrea Tornielli
Prima edizione: Edizioni Arbor - 1996 - 128pp - brossura

In copertina:
Il mostro di Firenze. Sedici anni di delitti senza mai lasciare tracce. Come quando e perché uccide. Identikit del superkiller di Firenze e la chiave per risolvere il giallo.
Dalla quarta di copertina: Sul Mostro di Firenze sono state dette e scritte molte cose, ma mai si era arrivati alle conclusioni clamorose contenute in questo libro. Che non avrebbe avuto ragione d’esser pubblicato se non contenesse elementi veramente nuovi che possono dare una svolta definitiva a questo caso. Il libro è il risultato di un esame dettagliato ed approfondito di ogni azione compiuta dal serial kilier durante i delitti e successivamente. Tutti gli elementi raccolti sono stati analizzati, sviscerati e collegati fra loro arrivando ad un mosaico completo e sufficientemente chiaro. Gli autori non hanno tralasciato nulla che sia veramente importante. Il giornalista ha ricostruito gli omicidi delle otto coppie scoprendo particolari che forniscono altre piste per l’approfondimento delle indagini; il criminologo ha invece analizzato la personalità ed il profilo psicologico del superkiller, arrivando a formulare un vero e proprio identikit che mette in luce il volto del feroce assassino. Basta, quindi, seguire i risultati di questa indagine per avere in mano la chiave del giallo e molto probabilmente per arrivare a scrivere la parola fine ad una vicenda che ha dell’incredibile. Perché non si è mai visto, nemmeno nei film, che un individuo possa assassinare sedici persone e restare sempre nell’ombra per trent’anni.

lunedì 16 febbraio 2009

Enigma - Il mostro di Firenze, un Enigma lungo 38 anni

Il 27 luglio 2006 andò in onda, su Raitre, una puntata di Enigma interamente dedicata alla vicenda del "mostro di Firenze". Quello che segue è il comunicato stampa diffuso dalla Rai.
"Il “mostro di Firenze”, un mistero lungo 38 anni. A colui che a torto o a ragione è considerato il primo serial killer italiano, ed ai mille interrogativi che i suoi atroci delitti continuano a suscitare anche dopo la morte di Pietro Pacciani, è dedicata la nuova puntata di Enigma, il settimanale di Raitre condotto da Corrado Augias, in onda domani 27 luglio alle 23.45 su Raitre. Molte le questioni ancora aperte, a partire proprio dalla verità definitiva su Pacciani, dapprima giudicato colpevole e quindi assolto in appello in attesa di un nuovo processo che mai si farà. I “compagni di merende”, Mario Vanni e Giancarlo Lotti, sono stati ritenuti suoi complici e condannati con sentenza definitiva. Ma qual era il movente degli efferati omicidi del “mostro”? E’ possibile che fossero commissionati da una setta satanica? Ci sono dei mandanti insospettabili? Una lunga scia di enigmi per Augias e i suoi ospiti: il giornalista Amadore Agostani ed il suo collega Mario Spezi, che per anni ha seguito i delitti del mostro di Firenze al punto di rimanere egli stesso coinvolto nelle indagini della Procura di Perugia sulla vicenda".

domenica 15 febbraio 2009

I love Pacciani

Nell'estate del 1994, durante il processo a Pietro Pacciani, un imprenditore romano, Paolo Muccifora, mise in commercio t-shirt con le scritte "I love Pacciani" e "Un uomo è e rimane innocente fin quando non è dimostrato il contrario". Renzo Rontini, il padre di Pia scrisse al presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. "Signor Presidente, sono Renzo Rontini, il papà di Pia Rontini, una delle sedici vittime del cosiddetto '"mostro di Firenze". Ho ancora vivo il ricordo (e non potrebbe essere diversamente) della telefonata che Lei mi fece in occasione della Sua venuta a Firenze nel 1985, in qualità di Ministro degli Interni. Allora Lei mi disse che si sarebbe adoperato affinchè nulla rimanesse di intentato per raggiungere la verità sui barbari delitti di Firenze e dispose cinquecento milioni a favore di chi avesse fornito informazioni sufficienti per catturare l' assassino. Lei aggiunse, poi, con un tocco di cristiana solidarietà, che avrebbe fatto celebrare Sante Messe in suffragio della mia figliola e delle altre vittime. Ora è accaduto un fatto che aggiunge al mio dolore un indescrivibile sdegno. Una ditta, credo di Roma, ha messo in commercio magliette che portano scritte come "Io amo Pacciani" e altre simili. Al di là delle diverse valutazioni che ciascuno di noi può avere sul garantismo l' elogio di Pacciani ci sembra assolutamente eccessivo. La sua biografia è comunque contrassegnata da atti di violenza sessuale e fisica che per anni ha inflitto alle figlie e alla moglie. Io non ho mai accusato nessuno. Non so dire se l' assassino sia il Pacciani o un' altra persona. Spero che i giudici riusciranno a scoprire la verità, qualunque essa sia. Ma fino a quel momento, una iniziativa come quella delle scritte sulle magliette mi pare ignobile: per guadagnare qualche soldo, i fabbricanti non hanno esitato a calpestare i nostri più profondi sentimenti, già così straziati. Sono soldi, signor Presidente, che grondano sangue. Alcuni giovani indossano queste magliette come un gioco, ma non si può giocare sulla sofferenza di tante persone. E' per questo che le chiedo di intervenire per fermare questa inqualificabile speculazione. Le sono grato per quanto ha fatto finora e per quanto potrà ancora fare anche in nome della mia figliola Pia e del suo fidanzato Claudio".
Rif.1 - La Repubblica - 26 luglio 1994 pag. 16

Mirko Rubbino

Figlio di Milva Malatesta e Francesco Rubbino. Nacque a Certaldo il 30 agosto 1990. Il 20 agosto 1993 fu trovato morto carbonizzato, in una scarpata a Poneta di Barberino Val D'Elsa. Per il delitto, fu indagato e processato il padre, Francesco, che venne assolto per non aver commesso il fatto.

sabato 14 febbraio 2009

Salvatore Sechi

Nei primi giorni del dicembre 1994, dopo la condanna all'ergastolo, Pietro Pacciani si rivolse al Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, per chiedere la grazia. Gli rispose il direttore dell'ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Salvatore Sechi: "Signor Pacciani Pietro in relazione al suo appello rivolto al presidente della Repubblica ho il rammarico di informarla che non sono ravvisabili interventi nel senso da lei auspicati. Il Capo dello Stato non possiede alcuna facoltà di interferire con l' azione dell' autorità giudiziaria. Posso peraltro assicurare che il Presidente auspica vivissimamente che sulla verità, qualunque essa sia, venga fatta piena luce. Con i migliori saluti, Salvatore Sechi".
Rif.1 - La Repubblica - 28 dicembre 1994 pag. 19

venerdì 13 febbraio 2009

Enrico Ognibene

Magistrato. Originario di La Spezia, classe 1941. Il 14 aprile 1994 fu presidente della Corte d'Assise di Firenze nel processo contro Pietro Pacciani. In tutto 45 udienze. Il primo novembre 1994, dopo quattro giorni di camera di consiglio, emise la sentenza, 526 pagine che giudicavano Pietro Pacciani colpevole per 14 dei 16 delitti attribuiti al "mostro di Firenze" e che lo condannavano alla pena dell'ergastolo.
Nel luglio del 2006 è stato eletto presidente del tribunale di Firenze.

Giampiero Vigilanti

Nel 1948 si arruolò nella legione straniera. Nel 1954 fu catturato dai Viet Cong in Indocina e fu sotterrato vivo, fu salvato da alcuni commilitoni che lo scoprirono per caso. Fu inviato in Algeria e scaduto il fermo rientrò in Italia dove si trasferì a Prato e dove lavorò come operaio tessile. Nel 1994, durante una perquisizione nella sua casa di Prato, furono trovati 176 proiettili calibro 22 marca Winchester serie H, gli stessi usati dal "mostro di Firenze". Le indagini durarono mesi, ma fu ritenuto estraneo alla vicenda e prosciolto. La CNN realizzò un'inchiesta sul "mostro di Firenze" dove si parlava anche del suo coinvolgimento. Un vecchio zio, Joe Vigilanti, abitante a Newark nel New Jersey, nel tentativo di riallacciare i rapporti con la famiglia, si interessò al caso e contattò Giampiero Vigilanti. I due si incontrarono e ristabilirono un rapporto che nel febbraio del 1998, quando Joe Vigilanti morì all'età di 82 anni, assicurò al nipote una eredità di 18 milioni di dollari (circa 30 miliardi di lire).

giovedì 12 febbraio 2009

Il mostro di Firenze

Un film di: Cesare Ferrario
Soggetto: Mario Spezi
Sceneggiatura: Fulvio Ricciardi e Cesare Ferrario
Fotografia: Claudio Cirillo
Montaggio: Cesare Ferrario
Colonna sonora: Paolo Rustichelli
Scenografie: Mario Ambrosino
Costumi: Mario Ambrosino
Effetti speciali: F.lli Corridori
Produzione: Gruppo Milano Produzioni
Distribuzione: Titanus - Capitol International, Video Kineo
Paese: Italia 1986
Durata: 103 Min
Formato: Colore Panoramica

Cast:
Bettina Giovannini
Lydia Mancinelli
Leonard Mann
Anna Orso
Francesca Muzio
Federico Pacifici
Alberto Di Stasio
Antonio Ballerio
Vittorio Capobianco
Gabriele Tinti

Durante la lavorazione di questo film e Firenze! L'assassino è ancora fra noi, iniziarono le riprese di un terzo film: Quel violento desiderio per la regia di Gianni Siracusa. La produzione fallì ed il film rimase incompiuto. Ne erano interpreti Corinne Clery, Marzio Honorato, Sara Sperati e Cristian Borromeo. Nel 1991, Paolo Frajoli recuperò il girato e lo rimontò con spezzoni e sequenze del film Bakterion e Firenze! L'assassino è ancora fra noi. Il "patchwork" uscì solo in videocassetta per Clemi Video con il titolo 28° Minuto.

Severino Bonini

Cenciaiolo di Rostolena in La Leggenda del Vampa, venditore ambulante in I Grandi gialli della storia, commesso viaggiatore che vendeva macchine per cucire in Dolci Colline di sangue. Aveva quattro fratelli, Olinto, Everardo, Mario, Nello ed una sorella, Annunziata. Nel 1951 a quarantuno anni era fidanzato con Laurina, una ragazza che viveva a Poggiosecco. L'11 aprile fu sorpreso, nel bosco di Tassinaia, da Pietro Pacciani mentre lusingava Miranda Bugli, la di lui fidanzata di allora. "Il Pacciani, che quella mattina si era recato in località Tassinaia, frazione di Villore, ad attendere la Bugli che doveva portare le pecore al pascolo, aveva scorto la ragazza arrivare in compagnia del Bonini che le teneva una mano sulla spalla. Nascosto tra i cespugli aveva visto i due sedersi a terra ed il Bonini proporre alla ragazza di stare con lui dietro compenso di duemila lire: a quel punto, secondo il racconto del Pacciani, la Bugli si era sdraiata a terra supina con le gambe aperte, tirando fuori la mammella sinistra. Egli allora, accecato dall'ira, era uscito dai cespugli avventandosi sull'uomo, che a suo dire si era già congiunto carnalmente con la ragazza". Pacciani aggredì il Bonini colpendolo ad una tempia con una pietra e trafiggendolo al cuore con un coltello. Dopo 19 fendenti, tre alla schiena, quattro al petto, dodici al volto e alla testa, Severino Bonini crollò a terra morto. Della vicenda si parlò a lungo nel Mugello ed un cantastorie, detto Giubba, andò di paese in paese a narrare quanto avvenuto.
Rif.1 - La leggenda del Vampa pag.20
Rif.2 - Sentenza della Corte di Assise dell'1 novembre 1994 contro Pietro Pacciani (testo in corsivo)

mercoledì 11 febbraio 2009

Romana Stefanacci

Madre di Claudio Stefanacci. Dopo la morte del figlio rilasciò l'intervista che segue al giornalista Umberto Cecchi.
Romana Stefanacci: "E' importante che continuiate a scrivere. Anche se molte cose mi procurano una grande tristezza. Ma dovete continuare. Solo così l'attenzione di tutti rimarrà desta e le ricerche non verranno abbandonate".
Romana Stefanacci: "C'è una cosa che vorrei al di sopra di ogni altra, vorrei che nessun altro ragazzo dovesse morire per mano di questo individuo. Vorrei che nessun altro genitore dovesse soffrire quello che abbiamo sofferto noi. Perchè vede, si parla di paura, di terrore. A me l'assassino non ha provocato paura, la mia paura l'ho scontata con il dolore, un dolore incredibile che mi auguro nessuno debba provare mai più. Per questo dovete continuare a scrivere. Dovete spingere affinchè venga fatto tutto il possibile perchè l'assassino venga trovato. Non è senso di vendetta, ma di giustizia. Dobbiamo tornare a vivere una vita tranquilla, senza incubi, senza terrore, senza dover piangere dei ragazzi colpevoli solo di essersi voluti bene. Ho altri due figli: devo pensare anche a loro, e loro devono crescere e vivere liberi. Senza terrore".
Il giornalista chiede se la donna abbia un'idea sull'identità dell'assassino.
Romana Stefanacci: "No, non lo immagino. Penso sia un malato. Un uomo con la mente distrutta da chi sa cosa. Purtroppo la sua deve essere una follia difficile da individuare. Così sta fra noi e nessuno lo conosce. Nessuno sa quanto male faccia. Probabilmente è uno psicotico, come sostiene mio cognato, un malato che deve avere enormi problemi che lui avverte, come umani e che invece sono prodotti dalla follia. Possibile che nessun medico abbia curato un uomo così? Che nessuno sappia nulla?"
Il giornalista chiede se la signora abbia fiducia nelle indagini.
Romana Stefanacci: "Ne ho. So che fanno tutto il possibile, ma non so se da soli, senza l'aiuto di nessuno, senza l'aiuto di chi qualcosa sa riusciranno a arrivare alla soluzione".
(...)
Romana Stefanacci: "Dovete scrivere che Pia e Claudio invitano questa società a riscoprire l'amore. Che invitano questa società a riscoprire il rispetto civile. Ecco: a questi due ragazzi uccisi dobbiamo almeno questo. Ma soprattutto lo dobbiamo a coloro che sono ancora vivi e che in questa società debvono crescere. Devono farsi una famiglia. Devono vivere".
Mentre i giornalisti se ne stanno andando.
Romana Stefanacci: "Spero di non vedervi più, perchè assieme ai giornalisti si muovono le notizie e le notizie non sono mai buone, ma se potete far qualcosa fatelo. Ringraziate a nome mio tutti coloro che ci sono stati vicini in questi momenti. Credo che grazie a loro, alla loro amicizia e alla loro sensibilità, sia stato tutto meno crudele".

Silvano Vargiu

Originario di Gonnesa, in provincia di Cagliari, si trasferì in Toscana negli anni '60 con il fratello Angelo. Fu l'amante ed il servo pastore di Salvatore Vinci di cui sostenne l'alibi durante il processo a Stefano Mele per il duplice delitto di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco. Disse di aver trascorso la serata in cui avvenne l'omicidio, in un bar in compagnia di Salvatore Vinci e Nicola Antonucci ma emerse che quella sera il bar era chiuso. Ammise quindi di aver semplicemente detto quanto Salvatore gli aveva ordinato di riferire. Rif.1 - Dolci colline di sangue pag.

martedì 10 febbraio 2009

Miranda Bugli

Figlia di Ida e Gino Bugli. Nel 1948 viveva a Casanova del Poggiosecco con la madre i fratelli ed i figli di Carlo Scarpi, il contadino che la madre sposò dopo la morte del padre. A quattordici anni rimase incinta e fu costretta ad abortire. Nei primi mesi del 1950 incontrò Pietro Pacciani, i due si misero insieme, ma era un rapporto difficile, vissuto con spensierata leggerezza da parte di Miranda e con morbosa gelosia da parte di Pietro. Sono numerosi i litigi tra i due ed altrettanti i tentativi del patrigno e della madre di dividerli. L'11 aprile 1951, Pietro Pacciani la sorprese, mentre era in procinto di congiungersi carnalmente con uno straccivendolo di Vicchio di Mugello, tale Severino Bonini. "Il Pacciani, che quella mattina si era recato in località Tassinaia, frazione di Villore, ad attendere la Bugli che doveva portare le pecore al pascolo, aveva scorto la ragazza arrivare in compagnia dei Bonini che le teneva una mano sulla spalla. Nascosto tra i cespugli aveva visto i due sedersi a terra ed il Bonini proporre alla ragazza di stare con lui dietro compenso di duemila lire: a quel punto, secondo il racconto del Pacciani, la Bugli si era sdraiata a terra supina con le gambe aperte, tirando fuori la mammella sinistra. Egli allora, accecato dall'ira, era uscito dai cespugli avventandosi sull'uomo, che a suo dire si era già congiunto carnalmente con la ragazza", lo colpì ad una tempia con una pietra e lo trafisse al cuore con un coltello. Dopo 19 fendenti, tre alla schiena, quattro al petto, dodici al volto e alla testa, Severino Bonini crollò a terra morto. Pacciani si impossessò del portafogli del Bonini ed obbligò quindi la Bugli ad un rapporto sessuale. Il 13 aprile Pietro Pacciani e Miranda Bugli vennero arrestati. Il processo davanti alla Corte d'Assise di Firenze ebbe luogo dal dicembre del 1951 al 5 gennaio del 1952, Pietro Pacciani fu condannato per omicidio e furto aggravato a 22 anni, 5 mesi e 5 giorni di reclusione. Miranda Bugli fu condannata per concorso in omicidio a 6 anni e 8 mesi. Il 12 dicembre la Corte d'Appello confermò la sentenza. Uscita di prigione grazie ad un'amnistia, l'11 settembre 1957 Miranda Bugli si sposò a Borgo San Lorenzo. Ebbe tre figli, nel 1962 si trasferì a Lastra a Signa dove rimase fino al 1969. Vicino alla sua abitazione, in Via Matteotti, abitavano, Barbara Locci ed il marito Stefano Mele, poco distante risiedevano anche Antonio Lo Bianco e la moglie. Nel 1969, Miranda Bugli si spostò con la famiglia a Londa, nel Mugello, per traslocare nuovamente nel 1970 a Scandicci dove lavorò al bar della casa del popolo gestito dal fratello.
Fu ascoltata il 7 giugno 1994 durante il processo a Pietro Pacciani. Le fu chiesto se avesse rivisto Pacciani dopo essersi sposata, rispose di averlo visto solo una volta nel 1969: "Lo vidi sulla porta. Mi disse che si era sposato, che aveva due figlie. Io gli dissi dei miei tre figli. Tutto qui. Poi non l'ho più visto". Il PM, Paolo Canessa le chiese: "Nel ' 68 ci fu un delitto a Signa, lei ricorda qualcosa?", lei rispose: "No, ero al mare e non leggevo i giornali", insistè il PM: "Ma conosceva le vittime, visto che erano vicini di casa?", rispose la Bugli: "No, ne ho sentito parlare ma solo dopo il delitto. Io lavoravo in casa e avevo tre figli, e non avevo il tempo di andare in giro a sentire le chiacchiere della gente".
Rif.3 - Sentenza della Corte di Assise dell'1 novembre 1994 contro Pietro Pacciani (testo in corsivo)
Vedi anche:
Miranda Bugli - Deposizione del 7 giugno 1994

Il mostro di Firenze

Autore: Mario Spezi Prima edizione: Sonzogno - 1983 - 174pp - Brossura 
SINOSSI Dieci giovani, cinque coppie, sono le vittime del cosiddetto mostro di Firenze, un caso giudiziario che non ha riscontri negli archivi delle polizie di mezzo mondo. L'assassino, non ancora identificato, ha ucciso nel 1974 due fidanzati che si erano appartati in macchina in un luogo solitario, poi è tornato a colpire nel giugno del 1981, e successivamente tre coppie sono state massacrate in un solo anno. Niente collega le vittime tra loro e al loro carnefice. La tremenda, inspiegata particolarità di questi delitti è che l'assassino, dopo aver ucciso sempre con la stessa pistola, infierisce con un'arma affilatissima (un bisturi?) sul corpo delle ragazze. L'indagine poliziesca, una delle più difficili di questi anni, è narrata dal giornalista che ha seguito passo passo la vicenda, arricchendola qui con particolari inediti e risolvendo con stile elegante anche le situazioni più morbose.

lunedì 9 febbraio 2009

21 agosto 1968 - Barbara Locci e Antonio Lo Bianco

Nella notte tra il 21 ed il 22 agosto del 1968
sulla via di Castelletti, che dal cimitero di Signa conduce a Lecore, furono uccisi all'interno di una Alfa Romeo Giulietta bianca, targata AR 53442, Barbara Locci e Antonio lo Bianco. I due giovani, mentre facevano l'amore, furono raggiunti da 8 proiettili Winchester serie H, ad ogiva ramata, sparati da una Beretta serie 70, calibro 22, Long Rifle. Dall'esame eseguito dal professor Biagio Montalto risultò che Barbara Locci fu colpita da 4 proiettili: 1 alla spalla sinistra in alto, 1 al centro dell'emitorace sinistro, 1 alla base dello stesso emitorace sinistro e l'ultimo tra la regione toracica e quella lombare sinistra. Antonio Lo Bianco fu raggiunto da un colpo all'avambraccio sinistro, da un colpo al braccio sinistro e da due colpi alla cavità sinistra dell'emitorace. I carabinieri intervenuti trovarono l'indicatore di direzione destro acceso, il finestrino dello sportello posteriore sinistro abbassato per metà e lo sportello posteriore destro semichiuso, sul pavimento dell'Alfa Romeo Giulietta, a lato del sedile anteriore destro, fu trovata una borsetta da donna aperta che lasciava intravedere il suo contenuto. Antonio Lo Bianco vestiva una canottiera di cotone bianco, una casacca chiara, slip bianchi, pantaloni scuri, calzini scuri ed era disteso sul sedile anteriore destro il cui schienale era stato completamente abbassato; Barbara Locci giaceva sul sedile di sinistra con la testa piegata a sinistra, indossava abito di stoffa variopinta, sottoveste chiara, reggiseno nero, mutandine bianche; le scarpe sotto il sedile anteriore. La borsa della vittima fu trovata aperta e al suo interno furono rinvenute 24.000 lire. Non furono trovate impronte digitali nè all'interno nè all'esterno dell'auto. A circa un metro dalla fiancata sinistra dell'auto furono trovati tre bossoli, altri due furono rinvenuti all'interno dell'auto sul sedile posteriore. Grazie all'autopsia e alle perizie medico legali si stabilì che l'assassino sparò attraverso il finestrino anteriore sinistro colpendo Antonio Lo Bianco a morte, Barbara Locci che si trovava sopra al Lo Bianco, ebbe il tempo di alzarsi e girarsi verso la portiera nel tentativo di fuggire ma fu colpita dai colpi sparati dall'assassino prima di riuscire ad uscire dall'auto. L'omicida rivestì i due corpi, li ricompose ordinatamente sui sedili, rovistò nella borsetta della donna e strappò dal collo della Locci una catenina d'oro.

Gli inquirenti pensarono ad un omicidio passionale, fu pertanto sospettato il marito di Barbara Locci: Stefano Mele. Costui si dichiarò innocente ed accusò altri amanti della moglie: Carmelo Cutrona, Salvatore e Francesco Vinci.
Rif.1 - La leggenda del Vampa pag.100
Rif.2 - Storia delle merende infami pag. 117



domenica 8 febbraio 2009

Lando Conti

Fu sindaco di Firenze dal 1984 al 1986, quando fu ucciso in un agguato delle Brigate Rosse. Dopo il duplice omicidio che vide coinvolti Pia Rontini e Claudio Stefanacci, inviò al sindaco di Vicchio il telegramma che segue: "Il duplice atroce assassino dei due giovani suoi concittadini compiuto da una mente folle e che si collega in una macabra spirale di violenza a analoghi terribili delitti avvenuti nella nostra provincia ha nuovamente gettato nello sconforto e nel dolore la popolazione fiorentina. Ci uniamo a quanti con voce ferma e responsabile chiedono che siano moltiplicati gli sforzi per giungere all'individuazione e alla cattura del responsabile di così efferati crimini, invitando altresì le nostre popolazioni, che da troppo tempo vivono sotto questo orribile incubo, a collaborare nelle forme consentite dai nostri ordinamenti con forze di polizia e con la magistratura nel loro difficile compito".

Barbarina Steri

Villacidro. Anni ‘50 del secolo scorso. Diecimila abitanti per un paese che si estende a 45 chilometri a nord ovest di Cagliari, sotto le pendici della catena dei monti Linas. In quegli anni molti Villacidresi, come gli abitanti di altri comuni del circondario, sono stati assunti nelle miniere di Montevecchio e Ingurtosu ma l’economia del paese si fonda perlopiù sull’agricoltura e la pastorizia. 17:00 - “Un paese di caprai e di briganti che non hanno mai tollerato padroni. Gente aspra e qualche volta anche cattiva.” Come ebbe a scrivere lo scrittore Giuseppe Dessì, che a Villacidro visse l’infanzia e l’adolescenza. Francesco Steri è uno dei tanti braccianti agricoli di Villacidro. Vive con la moglie ed i cinque figli in Vico II S.Antonio, dietro la chiesa di S.Antonio da Padova, il cui sagrato è il luogo di incontro per tutti gli abitanti del “rione basso”. Anche Salvatore, il figlio maggiore è bracciante agricolo. Giuseppina e Barbarina negli anni hanno lavorato come domestiche presso alcune abitazioni a Villacidro, ma anche a Monserrato e Serramanna. Anna Maria ed Emilia sono ancora delle bambine e tuttalpiù aiutano la madre, Maria Tibet, in casa. Barbarina, da quando ha 13 anni, nutre una simpatia per un giovane di Villacidro, Antonio Pili di due anni più grande. I due si vedono nei pressi di un casello ferroviario, dove il padre di Antonio fungeva da custode. La relazione è eccessivamente prematura e pertanto osteggiata dalla famiglia di Barbarina. Il fratello, Salvatore, vorrebbe legarla ad un caro amico, Salvatore Vinci. Questi da sempre frequenta la sua abitazione; Salvatore Vinci e Salvatore Steri, qualche anno addietro, hanno frequentato un corso di musica ed il sabato sera si ritrovano spesso per suonare assieme delle serenate: il Vinci la fisarmonica, lo Steri il banjo o la chitarra. Antonio Pili, il fidanzatino di Barbara, Salvatore Vinci e Salvatore Steri, in più occasioni, vengono alle mani, volano spesso provocazioni e minacce, fin quando il 5 giugno del 1957, il padre di Antonio per lavoro dovette trasferirsi con tutta la famiglia a Villanova Tulo, a 70 km da Villacidro. Antonio e Barbarina si perdono di vista per due anni fin quando, il 6 agosto 1959, il padre di Antonio, raggiunta l’età pensionabile, fece ritorno con tutta la famiglia a Villacidro. Antonio e Barbarina riprendono a vedersi, benché questa, il 31 gennaio 1959, si sia sposata con Salvatore Vinci nella chiesa di S.Antonio, e due settimane dopo, il 15 febbraio, abbia avuto un figlio a cui ha dato il nome di Antonio.  Barbarina e Salvatore abitano in condizioni precarie in Via Iglesias n.91, in una porzione (due locali) dell’abitazione di proprietà di Raimondo Steri. (Nonostante il medesimo cognome Barbarina e Raimondo non sono parenti). Il 3 dicembre 1959, Barbarina, con la scusa di recarsi a lavare il bucato, ha fissato di vedersi con Antonio presso un lavatoio in località Sa Mitza Manna. I due, vengono sorpresi, sotto un albero di ulivo, da due contadini della zona, Francesco e Ignazio Spada, che li redarguiscono e li obbligano ad allontanarsi. Gli amanti trovano quindi un po’ d’intimità poco più in là, dietro ad una vasca irrigua, su di un terreno di proprietà della famiglia Pili. Qui, all’improvviso, compaiono Mario Aresti, sordomuto e Gesuino Pilleri, quest’ultimo con una macchina fotografica in mano. Il Pilleri è un noto pregiudicato, in passato ha scattato fotografie compromettenti ad alcune donne per poi ricattarle obbligandole a prostituirsi. Verosimilmente, anche in questo caso, ha scattato delle foto. Barbarina, accortasi della malaparata, scoppia a piangere e fugge verso casa. Al marito racconterà la storia di una donna vestita di nero che l’ha attirata in un tranello e di un'aggressione subita da tre individui, di cui uno armato di pistola, intenzionati a violentarla. Salvatore Vinci si precipita alla caserma di Villacidro per denunciare quanto riferito dalla moglie; la storia pare non convincere del tutto i Carabinieri che si recano presso l’abitazione in via Iglesias per riceverne conferma dalla diretta interessata. Barbarina non desiste dalla sua versione dei fatti benchè i militari dell’arma, a seguito di alcuni accertamenti, le contestino talune circostanze. Solo due giorni dopo, il 5 dicembre, racconterà la verità, giustificando la denuncia della falsa aggressione subita, col timore d’essere vittima delle rappresaglie del marito, che in più occasioni, in passato, si è dimostrato violento con lei. Sono noti in paese i brutali litigi tra i due coniugi, come lo sono le privazioni, le umiliazioni e l’indifferenza a cui troppo spesso è costretta Barbarina. Raimondo Steri, verbale del 15 gennaio 1960: “Ero a conoscenza che i predetti coniugi Vinci non andavano troppo d’accordo ed erano soggetti a continui litigi.” Francesco Steri, verbale del 19 gennaio 1960: “Recentemente sono intervenuto per sedare gli screzi sorti fra mia figlia e mio genero poiché la condotta che questi due mantenevano lasciava alquanto a desiderare in considerazione che gli stessi non andavano d’accordo.” Barbarina Steri ed Antonio Pili, a seguito di quanto acccertato dai Carabinieri di Villacidro vengono denunciati a piede libero ed il 10 dicembre 1959 deferiti all’autorità giudiziaria. Barbarina deve rispondere di simulazione di reato ed atti osceni. Antonio Pili di atti osceni e porto abusivo di armi; questi dal 10 ottobre 1959 dispone di una pistola Beretta, calibro 22 modello 948, che ha acquistato a Cagliari. A riguardo, in un verbale del 09 ottobre 1985, il Pili riporta: “Comprai la pistola calibro 22, marca Beretta dall’Armeria Pinna nell’autunno del 1959 per motivi di difesa personale. Io andavo spesso in campagna e pertanto mi faceva comodo un’arma. Tra l’altro, attraverso la Barbara, avevo ricevuto delle minacce, venendo a conoscenza che il fratello ed il marito avevano manifestato l’intenzione di appostarsi in campagna, sorprendermi e tagliarmi le palle, per meglio dire “castrarmi”.  

14 gennaio 1960. È nevicato a Villacidro, fa freddo ed i camini sono accesi fin dalla mattina presto. Barbarina, sta vestendo il piccolo Antonio quando tra le 11:00 e le 11:30, Salvatore giunge a casa assieme ad un amico di Pabillonis e al cognato, Salvatore Steri. Salvatore con un cenno invita la moglie a preparare qualcosa per pranzo, Barbarina neanche lo guarda e presa la porta se ne esce con il figlio verso l’abitazione dei genitori. Amerigo Cadoni, verbale del 15/01/1960 – “Ricordo che verso le ore 12:00 vidi la Steri Barbarina mentre si recava dalla sua casa a quella dei genitori ed aveva il bambino in braccio. La donna nella circostanza mi è sembrata molto triste e depressa.” Tra le 14:00 e le 15.00 Salvatore Steri e Salvatore Vinci raggiungono Barbarina a casa dei genitori, consumano un frugale pasto, dopodiché Salvatore Steri va a coricarsi; Salvatore Vinci torna in paese. Questi si ripresenta a casa dei suoceri intorno alle 17:00 e prelevata la moglie, in compagnia del cognato fa ritorno verso la propria abitazione in via Iglesias. Mentre Salvatore accende il camino, Barbarina si reca dal vicino di casa, Raimondo Steri; la bombola del gas è ormai esaurita e lei deve scaldare del latte per il figlio di undici mesi. Consumata una merenda a base di ravanelli, cardi e pane i due cognati fanno per uscire quando Barbarina, contrariata, si scaglia verbalmente contro il marito rimproverandolo della condotta dissoluta: “Delinquente. Che giudizio di uomo sposato hai a ritornare fuori dopo aver trascorso un'intera serata a diporto?” (Rapporto giudiziario del 19 gennaio 1960).  Il marito ed il fratello escono di casa non badando alle parole della donna. Alle 21:00, Barbarina torna da Raimondo Steri per scaldare nuovamente del latte per il piccolo Antonio. Qui trova anche il vicino di casa, Francesco Usula. I due le offrono un po’ di fave ed un piatto di pasta e fagioli che Barbarina accetta con riconoscenza. Cambio di scena - Esterno notte. Salvatore Vinci e Salvatore Steri appena usciti di casa, in Piazza dello zampillo, hanno incontrato un comune amico, Felice Cannas. Fanno due chiacchiere per poi prendere via Roma e raggiungere la sala biliardi di Pasqualino Collu. Non c’è granchè con cui svagarsi a Villacidro e la gente pare essersi equamente distribuita tra la sala biliardi, affollatissima, ed il cinema, gremito. Sono circa le 22:30 quando Salvatore Vinci e Salvatore Steri si recano al bar di Amerigo Cadoni in via S.Antonio 45. Giocano a dama e consumano dell’anice con alcuni avventori. Intorno a mezzanotte, la televisione ha appena trasmesso il telegiornale della notte, i due cognati escono dal locale e si salutano. Salvatore Vinci torna verso casa. Le dichiarazioni che rilascia il 19 gennaio ai carabinieri della stazione di Villacidro riportano la sua versione dei fatti riguardo quanto avvenuto quella notte. “Varcai l’ingresso di casa. Accesi la luce e notai insolitamente la culla contenente il mio bambino vicino al caminetto privo di fuoco, mentre intravedevo dalla fessura della porta della camera da letto, la luce della lampadina. Rimasi completamente sconvolto, mi precipitai alla porta della camera da letto per chiamare mia moglie. Bussai una sola volta e chiamai Barbarina ma non ebbi nessuna risposta; pensai immediatamente che mia moglie fosse in compagnia dell’amante e così mi precipitai all’esterno della casa temendo di essere aggredito. Nel raggiungere il cortile mi sembra di aver sentito una voce sconosciuta” non escludo però “si sia trattato di un’allucinazione, dato lo stato di agitazone”. Salvatore Vinci, incurante del figlio che ha lasciato solo in casa, corre in strada verso Vico II S.Antonio, che dista circa 600 metri, dove chiede aiuto al suocero e al cognato. I tre tornano in via Iglesias. Non appena varcano l’ingresso notano un intenso odore di gas. Sia Salvatore che Francesco Steri, il 19 gennaio 1960, riferiranno questo dettaglio ai Carabinieri. Il piccolo Antonio piange disperato nella sua culla. Francesco Steri chiede al figlio di chiamare il vicino di casa, Francesco Usula, dopodichè irrompe con una spallata nella camera da letto. “Nella stanza vi era un forte ed irresistibile odore di Gas” riferì Francesco Steri “Un forte ed irresistibile odore di gas inondava la camera” dichiarò il vicino di casa, Francesco Usula. La stanza è sommariamente illuminata da un abat jour. Barbarina giace a terra bocconi, “indossa una maglia di lana, (...) la parte inferiore del corpo, è coperta da un soprabito di color verde”. Si trova ai piedi del letto priva di sensi, ha la testa volta verso la porta d’ingresso. Il padre le solleva il polso destro, dalla mano le cade la chiave della porta. Per lei non c’è più niente da fare. Accostata al letto una bombola marca “LIQUIGAS” da cui diparte un tubo che giunge fino al guanciale destro. Salvatore Vinci, verbale del 19 gennaio 1960: “Mio suocero assicurava il regolatore di pressione della bombola che trovavasi completamente aperto.” Salvatore Steri, verbale del 19 gennaio 1960: “Detta bombola irrogava ancora gas e mio padre assicurò la chiusura” Francesco Steri: “la bombola irrogava gas” Mentre Salvatore Steri si precipita alla caserma dei carabinieri per denunciare l’accaduto, Francesco Steri rinviene sul comodino accanto al letto un foglio manoscritto: “Avevo un grande amore ma nell'ansia tutto m’è svanito ed ecco che non resisto più. Tutto mi è insopportabile nel vivere sotto degli occhi oscuri. Ansiosamente penso e ripenso di essere amata ed anche invidiata eppure nello spasimo prego per il bambino. E Buona fortuna.” Il testo ha la calligrafia di Barbarina ed è scritto su di un foglio, proveniente da un quaderno che risulterà di proprietà di Salvatore Vinci. Da lì a poco giungono in via Iglesias il brigadiere comandante Delio Pisano, il vice brigadiere Gavino Sale ed il carabiniere Vittorio Gallorini. Viene quindi convocato il medico del paese dr Antioco Angelo Vacca. Questi giunto presso l’abitazione dei coniugi Vinci, intorno alle ore 01:20, esaminata la salma e valutato il rigor mortis, fece risalire la morte alle ore 23:00 della notte appena trascorsa. Poco dopo l’ufficiale sanitario, dr Giorgio Zuddas, ordinò la rimozione del cadavere ed il suo trasferimento presso l’obitorio. Il professor Raffaele Camba, aiuto e docente di medicina legale e delle Assicurazioni dell’Università di Cagliari, nella sua relazione di perizia medico legale, disposta dal Sostituto procuratore della Repubblica di Cagliari dr Ubaldo Coi, il 15 gennaio 1960, riporta : “La causa di morte della Steri Barbarina risiede in una sincope respiratoria. A procurarla è stata l’inalazione di gas liquido,” il comune GPL “(formato da una miscela di butano e propano). La Steri non aveva ingerito sostanze alcoliche. La Steri non era incinta. Si tratta di suicidio." Il GPL ha una bassissima tossicità per l’organismo ma quando la concentrazione nell’atmosfera supera il 30%, inizialmente, interviene un effetto narcotico da privazione di ossigeno, dopodichè gli organi inevitabilmente collassano. Al rapporto giudiziario fu allegata anche una lettera datata 24 dicembre 1959 nella quale suor Maria Gabriella del brefotrofio di Cagliari proponeva, dietro la prestazione di servizi collaborativi, un’ospitalità retribuita pari a 120.000 lire annue per la Steri ed il figlio. La lettera si concludeva con “l’attendiamo il 15 gennaio con ansia”. Il 31 marzo 1960, il Giudice Istruttore di Cagliari, su conforme richiesta del P.M., archiviò la morte di Barbarina Steri come suicidio per insussistenza di ipotesi di reato. Non occorre essere Sherlock Holmes per accorgersi di alcune evidenti discrasie, di alcuni aspetti discordanti che fanno sospettare non si sia trattato esattamente di un suicidio. -La Steri prima di suicidarsi si recò due volte dal vicino di casa per riscaldare il latte per il figlio poichè, la bombola di cui disponeva era esaurita. Come fece allora il gas della stessa bombola a provocarle la morte? -La lettera dell’orfanotrofio di Cagliari era l’opportunità che avrebbe consentito alla Steri di chiudere definitivamente con la vita di vessazioni e miseria a cui l’obbligava il marito. Che motivo aveva allora la Steri di uccidersi se una nuova prospettiva le si sarebbe dispiegata di lì a breve? Ma soprattutto, l’alibi di Salvatore Vinci, sorretto dal solo cognato, è davvero così solido da escludere un suo coinvolgimento nella morte della moglie? Salvatore Vinci, dopo aver partecipato come teste al processo di Antonio Pili, rinviato a giudizio per atti osceni e porto abusivo di armi, si trasferì in Toscana, a Lastra a Signa, presso l'abitazione del fratello Giovanni. Molti anni dopo, la giustizia tornerà a chiedergli di rendere conto di quanto avvenuto nella notte tra il 14 ed il 15 gennaio 1960 ma verrà assolto da ogni addebito.